di Antonella Marrone
Danilo Dolci è morto il 30 dicembre 1997. E' stato uno
studioso, un poeta, un filosofo e, anche se non riconosciuto, un
politico. Dolci non si può comprimere in nessuno schema: aveva una sua grande religiosità e una sua grande concretezza. Univa
il digiuno alla lotta contro la mafia, la pedagogia all'azione
nonviolenta. La poesia al dibattito. Era un pacifista "globale", uno di quelli che hanno dedicato all'
"educazione alla pace" tutta la vita, anche gli anni della
contestazione e delle occupazioni. Il suo metodo insegna ad essere se
stessi, protagonisti della propria esistenza, insegna a superare i limiti
imposti dalle oppressioni politiche e culturali. Molto
apprezzato all'estero, collaboratore dei più importanti ed innovativi
istituti di ricerca (Università di Berkeley, Ucla di Los Angeles, Scuola di Francoforte, quella di
Paolo Freire, Università Gandhiane
in India, ecc.), dove era considerato il "Gandhi
italiano", ma quasi sconosciuto in Italia, tranne che in ambienti
scelti, quelli che avevano seguito le sue lotte per il diritto al lavoro
e poi, quando si dedicò alla pedagogia, famoso tra operatori scolastici,
insegnanti, intellettuali. Per molti giovani il
nome di Danilo Dolci non ricorda più niente. Mentre è proprio oggi
che bisogna ricordarlo, oggi quando è ormai chiaro che «in tutte quelle
situazioni in cui all'uomo è negata la possibilità di parola lì si
esprime, palese o occulta, l'aggressività e la
violenza del sistema. La lezione di Dolci rimane più sconcertante e più
urgente che mai» (Daniele Novara, Mosaico di Pace). Nasce a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924, padre impiegato
nelle Ferrovie dello Stato, madre di origine
slava. Liceo artistico, facoltà di architettura
del Politecnico di Milano. Nel '43 i nazifascisti
lo arrestano a Genova, riesce a fuggire e si rifugia sulle montagne
abruzzesi per poi arrivare a Roma. Con don Zeno Saltini
condivide l'esperienza di Nomadelfia, una
comunità di accoglienza per i bambini senza
genitori, creata a Fossoli in Emilia, in un ex
campo di concentramento nazista. Ma Danilo ha
nel cuore e nella mente altre regioni. Pensa ad un piccolo paese della
Sicilia, Trappeto in provincia di Palermo, dove
il padre era stato capostazione, un paese
immerso nella miseria. Nel 1952 decide di trasferirsi lì. Sposa
Vincenzina, una vedova povera con cinque figli e da lei ne avrà altrettanti. Gli anni Cinquanta e Sessanta
sono gli anni dell'impegno sociale, sono le idee che serviranno al
riscatto sociale di una popolazione con poche speranze ed una sola
certezza: la miseria. Avviò un progetto di auto
organizzazione del lavoro, fondò il Centro Studi e Iniziative a Partinico. I suoi strumenti sono essenzialmente due:
nonviolenza attiva - digiuno, sciopero alla rovescia, azioni eclatanti - e educazione, educazione alla cooperazione
e al rispetto della comunità. Questa zona della provincia palermitana è
una delle tante zone di "confine" dell'Italia degli anni
Cinquanta: confine tra legalità e illegalità; confine tra diritto e non
diritto (il lavoro era un miraggio, il salario poco più che
un'elemosina), l'acqua per pochissime famiglie. Nel febbraio del 1956
Dolci organizza uno sciopero alla rovescia che farà molto scalpore. Con
alcuni contadini della zona occupa una vecchia "trezzera"
(una strada tra i campi) e comincia ad aggiustarla, per dimostrare che
c'è tanto lavoro da fare e che i contadini, così come previsto dall'art.
4 della Costituzione hanno diritto di lavorare. Con gli altri fu
processato e condannato. Il processo per occupazione abusiva di suolo
pubblico diventa il "caso Dolci". Al suo fianco si schierano
avvocati, come Andrea Carandini, Piero Calamandrei e Fausto Tarsitano,
intellettuali e studiosi come Silone, Parri, Sylos Labini, Pratolini, Moravia,
Fellini, Cagli, Mauriac,
Sartre che organizzano comitati e scrivono
mozioni di protesta. Alla Camera Li Causi, De Martino e La Malfa pongono interrogazioni parlamentari. Tra tutti anche Aldo Capitini che
diventerà suo amico e maestro. L'iter processuale sarà il testo
del libro Processo all'art.4 (tra i testimoni a difesa Carlo Levi, Elio Vittorini,
Lucio Lombardo Radice).
Ma i suoi metodi di lotta nonviolenta erano già diventati famosi
prima del caso del '56. Il suo primo digiuno è del 14 ottobre 1952 sul
letto di un bambino morto per fame; nel novembre 1955 un secondo digiuno
a Spine Sante (Partinico), per sollevare il
problema della diga sul fiume Jato. Si trattava di questo: nel corso delle sue
ricerche Dolci aveva scoperto che per migliorare la situazione agricola
ed economica della zona, era stato fatto un progetto, anni prima, rimasto
sepolto negli uffici ministeriali
S i trattava di questo: nel corso delle
sue ricerche Dolci aveva scoperto che per migliorare la situazione
agricola ed economica della zona, era stato fatto un progetto, anni
prima, rimasto sepolto negli uffici ministeriali. Era il progetto di una
diga sul fiume Jato che avrebbe permesso di
creare un bacino per irrigare i campi delle zone vicine, risolvendo così
uno dei più gravi problemi della zona. Ma la mafia si era coalizzata contro la diga perché temeva potesse
rivoluzionare l'assetto politico-economico della zona. Ci vorrà un altro
digiuno, nel 1962, seguito da una grande
manifestazione popolare, perché le autorità tirino fuori del cassetto il
progetto e autorizzino l'avvio dei lavori. Dolci collabora alla
realizzazione della diga con i fondi del Premio Lenin per la pace (che
aveva vinto nel 1958) e con quelli di tanti comitati di
amici nati in Italia e all'estero. Nel ‘55 pubblica uno dei suoi
libri più famosi, Banditi a Partinico e su
Nuovi Argomenti , la rivista diretta da Moravia
e Carocci, dei racconti autobiografici di
ragazzi che vivevano negli ambienti degradati di Palermo, lavoro
preliminare di un altro libro, Inchiesta a Palermo (cui collaborarono
anche Goffredo Fofi, Albero L'Abate e Grazia
Fresco) che otterrà nel ‘58 il premio Viareggio.
Un altro drammatico digiuno è quello
cui Dolci (con Franco Alasia) si sottopone per
denunciare lo stato di degrado in cui erano costretti a vivere gli
abitanti del quartiere Cortile Cascino, a
Palermo e anche per chiedere una politica della casa più coraggiosa.
Grazie a questa azione il quartiere sarà
risanato. Il Centro Studi e Iniziative di Partinico
diventa in breve un punto di ricerca e di progettualità che coinvolge la popolazione e molti
amici di Dolci. Così lo ricorda un suo amico, Giuseppe Casarrubea, preside della scuola media Privitera di Partinico:
«Per quanto possa sembrare paradossale per un
uomo abituato a girare il mondo, per imparare a diffondere il metodo
della lotta nonviolenta, la sua casa di Borgo di Dio, come ebbero a
battezzarlo subito i pescatori del luogo, umile e dimessa, tra gli
eucalipti, fu la culla del suo mondo, la sua nicchia protettiva. Essa
domina su Trappeto e sul golfo di Castellamare. Qui ci riunivamo, prima ancora che
sorgesse il Centro residenziale da lui fondato, per progettare il futuro,
da educatori. Ricordo ancora le baracche dove
dormivamo: sorgevano su un terreno acquistato con un'offerta fatta da
Elio Vittorini, suo amico. Poi fu
costruito il Centro frequentato da molti suoi amici: Lucio Lombardo
Radice, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Paolo Sylos Labini, Emma Castelnuovo,
Clotilde Pontecorvo, Paulo Freire,
e tanti altri. Piccole e grandi sale di discussione, con enormi tavoli
circolari, dove nessuno potesse sentirsi al
centro; una grande sala mensa, dove spesso si pranzava o cenava con lui,
si continuava in altra forma il lavoro di sempre; il laboratorio
artistico, l'auditorium con le belle pitture murali di Ettore De Conciliis: contro la repressione, il potere mafioso,
l'uccisione della vita. Qui si tenevano concerti o incontri culturali. Ricordo, tra i tanti, quelli col maestro Sollima
o Carlo Levi. Sullo sfondo, restavano sempre, come filo
conduttore, gli insegnamenti di Gandhi e Aldo Capitini. Aveva rispetto per tutte le forme
dell'intelligenza, dei grandi come degli umili. Era amico degli umili e
nemico giurato dei potenti, di quelli che intendono
il potere come dominio. Per questo fu acerrimo nemico della mafia, contro
la quale combatté in tempi non sospetti, quando era solo contro un mondo
ostile, a lottare contro democristiani potenti come Messeri, Volpe e Mattarella, dei quali documentava, con un lavoro
porta a porta, come avessero costruito un
sistema clientelare-mafioso, principale
impedimento allo sviluppo. Fu denunciato per diffamazione, e i giudici
gli diedero torto. Ma la condanna era nel suo
calcolo dei rischi. Ciò che contava per lui era ciò che andava fatto, a
qualunque costo».
Con l'ingresso negli anni Settanta e fino al
giorno della sua morte, si immerge nell'impegno educativo che prenderà
forma con il Centro sperimentale di Mirto. Sono gli anni dell'azione
pedagogica e della poesia. E gli anni duri dello
"scontento", quando la scuola fatica ad andare avanti, quando
manca il riconoscimento istituzionale e tutto diventa più difficile, a
cominciare dalla gestione economica delle iniziative. Ma la scuola di Mirto e il suo fondatore sono ormai
una "risorsa" pedagogica internazionale, un esempio da seguire
o da studiare. I suoi libri - Dal trasmettere al comunicare , e Variazioni sul tema Comunicare - lo portano a
condurre seminari e incontri di formazione ovunque. Nel frattempo si
separa dalla moglie e va a convivere con una giornalista svedese (da cui
ebbe altri figli) che, dopo qualche anno, lo lascia. In Scandinavia nel 1981, è proposto per il premio Nobel
alla pace.
Con le sue antenne orientate sul fluire della comunicazione e
sui pericoli di una televisione onnivora e onnipresente, lancia nel 1988
un'iniziativa per la costituzione di un Manifesto sulla comunicazione. E'
molto preoccupato dall'unilateralità del nuovo modo di comunicare che
influenza i destini relazionali ed impedisce un rapporto diretto e
immediato. Ma più che altro ne faceva una questione di potere: chi
controlla la comunicazione globale acquista un
potere enorme che va messo in discussione e controllato. Al manifesto
prendono parte i suoi amici di tutto il mondo, grandi personaggi della
cultura internazionale tra i quali Galtung, Chomsky, Freire, scienziati come Rubbia,
Levi Montalcini, Cavalli Sforza, protagonisti
della cultura della solidarietà come don Ciotti
e monsignor Bello in Italia e Ernesto Cardenal
in Sudamerica. Prosegue la sua attività seminariale, arrivano premi e riconoscimenti (una
seconda laurea honoris causa, dopo quella di
Berna, in Scienze dell'Educazione a Bologna). A causa del diabete la
salute di Dolci peggiora, il suo cuore si ferma e lui svanisce
silenziosamente così come, silenziosamente, era apparso
in quel misero paese della Sicilia, quarantacinque anni prima.
Raccontano gli amici che amava molto un
proverbio cinese che dice: "Chi guarda avanti dieci anni pianta
alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini".
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