Partito della Rifondazione circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

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La biografia. Da Trieste a Nomadelfia. Poi, nel 1952, la scelta definitiva per la Sicilia

Storia di un pacifista globale

 

di Antonella Marrone

 

Danilo Dolci è morto il 30 dicembre 1997. E' stato uno studioso, un poeta, un filosofo e, anche se non riconosciuto, un politico. Dolci non si può comprimere in nessuno schema: aveva una sua grande religiosità e una sua grande concretezza. Univa il digiuno alla lotta contro la mafia, la pedagogia all'azione nonviolenta. La poesia al dibattito. Era un pacifista "globale", uno di quelli che hanno dedicato all' "educazione alla pace" tutta la vita, anche gli anni della contestazione e delle occupazioni. Il suo metodo insegna ad essere se stessi, protagonisti della propria esistenza, insegna a superare i limiti imposti dalle oppressioni politiche e culturali. Molto apprezzato all'estero, collaboratore dei più importanti ed innovativi istituti di ricerca (Università di Berkeley, Ucla di Los Angeles, Scuola di Francoforte, quella di Paolo Freire, Università Gandhiane in India, ecc.), dove era considerato il "Gandhi italiano", ma quasi sconosciuto in Italia, tranne che in ambienti scelti, quelli che avevano seguito le sue lotte per il diritto al lavoro e poi, quando si dedicò alla pedagogia, famoso tra operatori scolastici, insegnanti, intellettuali. Per molti giovani il nome di Danilo Dolci non ricorda più niente. Mentre è proprio oggi che bisogna ricordarlo, oggi quando è ormai chiaro che «in tutte quelle situazioni in cui all'uomo è negata la possibilità di parola lì si esprime, palese o occulta, l'aggressività e la violenza del sistema. La lezione di Dolci rimane più sconcertante e più urgente che mai» (Daniele Novara, Mosaico di Pace). Nasce a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924, padre impiegato nelle Ferrovie dello Stato, madre di origine slava. Liceo artistico, facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Nel '43 i nazifascisti lo arrestano a Genova, riesce a fuggire e si rifugia sulle montagne abruzzesi per poi arrivare a Roma. Con don Zeno Saltini condivide l'esperienza di Nomadelfia, una comunità di accoglienza per i bambini senza genitori, creata a Fossoli in Emilia, in un ex campo di concentramento nazista. Ma Danilo ha nel cuore e nella mente altre regioni. Pensa ad un piccolo paese della Sicilia, Trappeto in provincia di Palermo, dove il padre era stato capostazione, un paese immerso nella miseria. Nel 1952 decide di trasferirsi lì. Sposa Vincenzina, una vedova povera con cinque figli e da lei ne avrà altrettanti. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono gli anni dell'impegno sociale, sono le idee che serviranno al riscatto sociale di una popolazione con poche speranze ed una sola certezza: la miseria. Avviò un progetto di auto organizzazione del lavoro, fondò il Centro Studi e Iniziative a Partinico. I suoi strumenti sono essenzialmente due: nonviolenza attiva - digiuno, sciopero alla rovescia, azioni eclatanti - e educazione, educazione alla cooperazione e al rispetto della comunità. Questa zona della provincia palermitana è una delle tante zone di "confine" dell'Italia degli anni Cinquanta: confine tra legalità e illegalità; confine tra diritto e non diritto (il lavoro era un miraggio, il salario poco più che un'elemosina), l'acqua per pochissime famiglie. Nel febbraio del 1956 Dolci organizza uno sciopero alla rovescia che farà molto scalpore. Con alcuni contadini della zona occupa una vecchia "trezzera" (una strada tra i campi) e comincia ad aggiustarla, per dimostrare che c'è tanto lavoro da fare e che i contadini, così come previsto dall'art. 4 della Costituzione hanno diritto di lavorare. Con gli altri fu processato e condannato. Il processo per occupazione abusiva di suolo pubblico diventa il "caso Dolci". Al suo fianco si schierano avvocati, come Andrea Carandini, Piero Calamandrei e Fausto Tarsitano, intellettuali e studiosi come Silone, Parri, Sylos Labini, Pratolini, Moravia, Fellini, Cagli, Mauriac, Sartre che organizzano comitati e scrivono mozioni di protesta. Alla Camera Li Causi, De Martino e La Malfa pongono interrogazioni parlamentari. Tra tutti anche Aldo Capitini che diventerà suo amico e maestro. L'iter processuale sarà il testo del libro Processo all'art.4 (tra i testimoni a difesa Carlo Levi, Elio Vittorini, Lucio Lombardo Radice).

Ma i suoi metodi di lotta nonviolenta erano già diventati famosi prima del caso del '56. Il suo primo digiuno è del 14 ottobre 1952 sul letto di un bambino morto per fame; nel novembre 1955 un secondo digiuno a Spine Sante (Partinico), per sollevare il problema della diga sul fiume Jato. Si  trattava di questo: nel corso delle sue ricerche Dolci aveva scoperto che per migliorare la situazione agricola ed economica della zona, era stato fatto un progetto, anni prima, rimasto sepolto negli uffici ministeriali    S i trattava di questo: nel corso delle sue ricerche Dolci aveva scoperto che per migliorare la situazione agricola ed economica della zona, era stato fatto un progetto, anni prima, rimasto sepolto negli uffici ministeriali. Era il progetto di una diga sul fiume Jato che avrebbe permesso di creare un bacino per irrigare i campi delle zone vicine, risolvendo così uno dei più gravi problemi della zona. Ma la mafia si era coalizzata contro la diga perché temeva potesse rivoluzionare l'assetto politico-economico della zona. Ci vorrà un altro digiuno, nel 1962, seguito da una grande manifestazione popolare, perché le autorità tirino fuori del cassetto il progetto e autorizzino l'avvio dei lavori. Dolci collabora alla realizzazione della diga con i fondi del Premio Lenin per la pace (che aveva vinto nel 1958) e con quelli di tanti comitati di amici nati in Italia e all'estero. Nel ‘55 pubblica uno dei suoi libri più famosi, Banditi a Partinico e su Nuovi Argomenti , la rivista diretta da Moravia e Carocci, dei racconti autobiografici di ragazzi che vivevano negli ambienti degradati di Palermo, lavoro preliminare di un altro libro, Inchiesta a Palermo (cui collaborarono anche Goffredo Fofi, Albero L'Abate e Grazia Fresco) che otterrà nel ‘58 il premio Viareggio.

Un altro drammatico digiuno è quello cui Dolci (con Franco Alasia) si sottopone per denunciare lo stato di degrado in cui erano costretti a vivere gli abitanti del quartiere Cortile Cascino, a Palermo e anche per chiedere una politica della casa più coraggiosa. Grazie a questa azione il quartiere sarà risanato. Il Centro Studi e Iniziative di Partinico diventa in breve un punto di ricerca e di progettualità che coinvolge la popolazione e molti amici di Dolci. Così lo ricorda un suo amico, Giuseppe Casarrubea, preside della scuola media Privitera di Partinico: «Per quanto possa sembrare paradossale per un uomo abituato a girare il mondo, per imparare a diffondere il metodo della lotta nonviolenta, la sua casa di Borgo di Dio, come ebbero a battezzarlo subito i pescatori del luogo, umile e dimessa, tra gli eucalipti, fu la culla del suo mondo, la sua nicchia protettiva. Essa domina su Trappeto e sul golfo di Castellamare. Qui ci riunivamo, prima ancora che sorgesse il Centro residenziale da lui fondato, per progettare il futuro, da educatori. Ricordo ancora le baracche dove dormivamo: sorgevano su un terreno acquistato con un'offerta fatta da Elio Vittorini, suo amico. Poi fu costruito il Centro frequentato da molti suoi amici: Lucio Lombardo Radice, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Paolo Sylos Labini, Emma Castelnuovo, Clotilde Pontecorvo, Paulo Freire, e tanti altri. Piccole e grandi sale di discussione, con enormi tavoli circolari, dove nessuno potesse sentirsi al centro; una grande sala mensa, dove spesso si pranzava o cenava con lui, si continuava in altra forma il lavoro di sempre; il laboratorio artistico, l'auditorium con le belle pitture murali di Ettore De Conciliis: contro la repressione, il potere mafioso, l'uccisione della vita. Qui si tenevano concerti o incontri culturali. Ricordo, tra i tanti, quelli col maestro Sollima o Carlo Levi. Sullo sfondo, restavano sempre, come filo conduttore, gli insegnamenti di Gandhi e Aldo Capitini. Aveva rispetto per tutte le forme dell'intelligenza, dei grandi come degli umili. Era amico degli umili e nemico giurato dei potenti, di quelli che intendono il potere come dominio. Per questo fu acerrimo nemico della mafia, contro la quale combatté in tempi non sospetti, quando era solo contro un mondo ostile, a lottare contro democristiani potenti come Messeri, Volpe e Mattarella, dei quali documentava, con un lavoro porta a porta, come avessero costruito un sistema clientelare-mafioso, principale impedimento allo sviluppo. Fu denunciato per diffamazione, e i giudici gli diedero torto. Ma la condanna era nel suo calcolo dei rischi. Ciò che contava per lui era ciò che andava fatto, a qualunque costo».

Con l'ingresso negli anni Settanta e fino al giorno della sua morte, si immerge nell'impegno educativo che prenderà forma con il Centro sperimentale di Mirto. Sono gli anni dell'azione pedagogica e della poesia. E gli anni duri dello "scontento", quando la scuola fatica ad andare avanti, quando manca il riconoscimento istituzionale e tutto diventa più difficile, a cominciare dalla gestione economica delle iniziative. Ma la scuola di Mirto e il suo fondatore sono ormai una "risorsa" pedagogica internazionale, un esempio da seguire o da studiare. I suoi libri - Dal trasmettere al comunicare , e Variazioni sul tema Comunicare - lo portano a condurre seminari e incontri di formazione ovunque. Nel frattempo si separa dalla moglie e va a convivere con una giornalista svedese (da cui ebbe altri figli) che, dopo qualche anno, lo lascia. In Scandinavia nel 1981, è proposto per il premio Nobel alla pace.

Con le sue antenne orientate sul fluire della comunicazione e sui pericoli di una televisione onnivora e onnipresente, lancia nel 1988 un'iniziativa per la costituzione di un Manifesto sulla comunicazione. E' molto preoccupato dall'unilateralità del nuovo modo di comunicare che influenza i destini relazionali ed impedisce un rapporto diretto e immediato. Ma più che altro ne faceva una questione di potere: chi controlla la comunicazione globale acquista un potere enorme che va messo in discussione e controllato. Al manifesto prendono parte i suoi amici di tutto il mondo, grandi personaggi della cultura internazionale tra i quali Galtung, Chomsky, Freire, scienziati come Rubbia, Levi Montalcini, Cavalli Sforza, protagonisti della cultura della solidarietà come don Ciotti e monsignor Bello in Italia e Ernesto Cardenal in Sudamerica. Prosegue la sua attività seminariale, arrivano premi e riconoscimenti (una seconda laurea honoris causa, dopo quella di Berna, in Scienze dell'Educazione a Bologna). A causa del diabete la salute di Dolci peggiora, il suo cuore si ferma e lui svanisce silenziosamente così come, silenziosamente, era apparso in quel misero paese della Sicilia, quarantacinque anni prima.

Raccontano gli amici che amava molto un proverbio cinese che dice: "Chi guarda avanti dieci anni pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini".