Partito della Rifondazione circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

home iniziativesala rossa vignette foto elezioni rassegna stampa gc contattaci link

Forum sociale antimafia ieri a Cinisi, Terrasini e Partinico a 29 anni dall'assassinio mafioso di Peppino Impastato

C'era un ragazzo che osò sfidare la mafia in casa sua

C'era un ragazzo che forse non amava né i Beatles né i Rolling Stones, pur facendo parte di quell'età e di quella stagione politica che cantava con Joan Baez contro la guerra nel Vietnam. Era un ragazzo che aveva deciso di portare avanti la sua guerra personale contro la mafia. Una guerra senza tregua e condotta con coraggio indomito fin dentro la sua stessa famiglia, persino nei confronti di suo padre, contro i boss mafiosi e gli intrallazzi e i malaffari dell'amministrazione locale con la mafia.

Peppino Impastato, nato a Cinisi il 5 gennaio 1948, in un paesazzo a quaranta chilometri da Palermo dove dominava la banda di don Tano Badalamenti, sarebbe stato completamente solo in quella guerra condotta attraverso le onde di Radio Aut, se non fosse stato per l'appoggio incondizionato e l'amore sconfinato di sua madre Felicia.
Un ragazzo solo contro la mafia e contro la speculazione edilizia che stava già allora devastando quel pezzo di costa ovest che una volta si chiamava Cala Rossa e che sprofondava nel mare "color del vino", dove da ragazzi si andava a pescare a mani nude polipi e ricci.

Un ragazzo solo contro tutti, in quel paesazzo di mafiosazzi, che aveva deciso di candidarsi al consiglio comunale per controllare da vicino quello che andavano facendo i membri della commissione edilizia che, alle cinque della sera, come cantava una canzone che Peppino mandava sempre in onda a quell'ora, decidevano come spartirsi la torta di cemento che andava colando sulla costa e in quel pezzo di territorio tra l'aeroporto di Punta Raisi e quella che sarebbe diventata, di lì a poco, Città del Mare, la città turistica delle cooperative rosse e dell'Unipol.
Un ragazzo solo contro tutti, che la mafia decise di ammazzare in modo "esemplare" quando aveva 29 anni quattro mesi e tre giorni, in una notte già arroventata dallo scirocco. Ché quelli erano tempi e quello era un paese dove o eri mafioso o eri morto. E infatti i sicari mandati da Badalamenti "Tano Seduto", come lui lo sfotteva, la notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978 lo prelevano all'uscita da Radio Aut, lo caricano sulla sua utilitaria e lo portano di forza in località "Feudo". Lì lo legano ai binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani che faranno saltare con il tritolo per un tratto, in modo da simulare un attentato a opera degli "estremisti di sinistra", ovvero dello stesso Peppino Impastato, facendolo passare, com'era avvenuto qualche anno prima con Giangiacomo Feltrinelli ai piedi di un traliccio, per un terrorista saltato in aria mentre preparava il sabotaggio della ferrovia o, nel migliore dei casi, per un pazzo suicida.

Sarà quella la versione sùbito accreditata, meglio "abbracciata", dai carabinieri chiamati sul posto dal conducente del treno che nel cuore della notte, tra l'una e le due, si era accorto dei binari divelti e dei resti umani sparsi attorno. Una versione seguita da lunghi mesi di "oscuramento", anche perché nella stessa data era stato ritrovato a Roma in via Caetani il cadavere del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia e dopo il sequestro con l'uccisione della scorta in via Fani.
Quello era il clima, e in quel clima far passare Peppino per un esaltato, un pazzo, un brigatista - lui che aveva rinnegato l'appartenenza a una famiglia mafiosa e a una comunità democristiana per approdare prima nelle file del Psiup, poi a Lotta Continua con Mauro Rostagno (ammazzato davanti alla Comunità Saman a Trapani) e infine a Democrazia Proletaria - era stato estremamente facile.

Sicché per molti mesi, per anni - se non fosse stato per la voce solitaria della madre e del fratello Giovanni, e dei pochi compagni che nemmeno per un momento hanno creduto alla versione ufficiale e che hanno continuato a gridare nel deserto - le istituzioni hanno fatto finta di niente e solo dopo un tempo infinito - grazie all'istruttoria del procuratore Rocco Chinnici (ucciso con un'autobomba nel luglio dell'83) e del suo successore Antonino Caponnetto, che intuì nell'uccisione di Peppino la mano mafiosa - si sono fatte carico di riaprire il caso e di scoprire i killer e i mandanti.

Molto tempo dopo, l'11 aprile 2002, come sappiamo, per quel delitto il boss Tano Badalamenti, nel frattempo rinchiuso in un carcere americano, verrà condannato all'ergastolo. E sarà quello il momento dell'orgoglio della madre Felicia Bartolotta e del fratello Giovanni, ma anche di un intero paese che per anni aveva sbeffeggiato quel suo figlio "diverso" e lo aveva lasciato colpevolmente solo di fronte a un destino segnato dall'omertà e dall'obbedienza mafiosa.

In questi giorni a Cinisi Terrasini e Partinico si è celebrata una solenne commemorazione organizzata dalla Cgil Sicilia e dal Centro siciliano di documentazione guidato da Umberto Santino, con molte iniziative che hanno coinvolto la scuola media di Cinisi - che ha presentato un progetto per lo studio della storia della mafia e dell'antimafia e per la costruzione di un memoriale-laboratorio intestato a Giuseppe Impastato - e l'intero paese, che ha partecipato a una rappresentazione teatrale nell'atrio del Comune di Cinisi dal titolo emblematico di "Nel nome del figlio", tratta dal libro di Felicia Bartolotta "La mafia in casa mia".
E ancòra, un'iniziativa del Forum antimafia su "le radio libere e l'anomalia di Radio Aut" e, ieri mattina, un convegno della Cgil su "Sindacato e società civile nella lotta contro la mafia" hanno preparato la visita del presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione e del vicepresidente Giuseppe Lumia, che hanno piantato "un albero per Peppino" nel corso di una manifestazione organizzata dalla cooperativa sociale Noe, che si è conclusa con una fiaccolata partita dalla sede di Radio Aut a Terrasini e arrivata alla Casa della Memoria di Cinisi intestata a "Felicia e Peppino Impastato", dove a fine serata ha parlato il fratello Giovanni a nome del Forum sociale antimafia. Per non dimenticare Peppino. Per non dimenticare che la lotta alla mafia o la fa la società civile oppure è una guerra persa.

Gemma Contin


articolo tratto da Liberazione.it 10/05/2007