Partito della Rifondazione Comunista 

Circolo "Peppino Impastato " Partinico 

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Partito della Rifondazione Comunista di Partinico (PA) circolo "Peppino Impastato"

  Questa Sicilia contraddittoria e omologata, laboratorio per una società alternativa

 I paradossi sociali e politici dell'isola indagati in un seminario promosso dal Prc: capire per agire

Salvatore Bonadonna

E' possibile, in Sicilia, fare uscire la sinistra dal "meccanismo avvolgente" con cui il governo della destra la travolge insieme a tutta la società? Questo sembra essere l'interrogativo cardine di una possibile strategia per costruire un'alternativa fin dalle elezioni regionali del prossimo anno.

Ne abbiamo ragionato in un seminario del gruppo dirigente del Partito, promosso dal Comitato Regionale siciliano e dal Dipartimento Mezzogiorno, molto partecipato, con alcuni esperti e studiosi e con Fausto Bertinotti. Si tratta di capire che cosa è avvenuto e cosa si agita nella società siciliana, e nella politica siciliana, spesso premonitrice ed anticipatrice d'esperienze e di processi contraddittori. La Sicilia di Pirandello e di Sciascia, del Gattopardo; ma anche di Vittorini e di Quasimodo. La Sicilia della mafia e del legame mafia-politica e anche quella di Salvatore Carnevale e Placido Rizzotto, di Li Causi e Colaianni, dell'occupazione delle terre, degli scioperi "al rovescio", degli scioperi della fame e delle marce per l'acqua di Danilo Dolci; dell'autonomia regionale e della sudditanza politica, di Avola, delle stragi e delle primavere antimafia, delle grandi speranze e delle amare delusioni.

Si potrebbe continuare elencando e contrapponendo fatti letterari e atti politici, esperienze di lotte, di vittorie, di sconfitte e di arretramenti. Della Sicilia dei paradossi, dove nulla sembra poter essere declinato se non "in eccesso", fuori le righe. Nulla tranne la politica nel governo regionale. Sembra, questa, essere una lunga e larga zona grigia dove i sobbalzi sono repentini, assorbiti nel breve periodo per dar luogo ad una continuità fatta di asservimento della società civile, permanentemente e strutturalmente dipendente dalla spesa pubblica erogata dalla Regione; si tratti di interventi statali o di fondi europei.

C'è cruda amarezza nelle analisi di una "questione siciliana" che è parte delle "questioni meridionali", come dice Giusto Catania. Una società civile in crisi, scissa tra individualismo indifferente ed affaristico e senso di delusione e di impotenza, perché c'è anche una crisi della cultura, un rifluire opportunistico degli intellettuali che, in questi anni recenti, ha pesato enormemente. In questo, la sinistra politica non elabora una politica alternativa, si omologa nell'amministrazione, quando è al governo, vive di consociativismo quando è all'opposizione. Manca una visibile alterità morale, aggiunge Catania, e, da qui, la delegittimazione sociale e politica della sinistra. E, parlando di Rifondazione, dopo la tornata amministrativa e il fallimento del referendum contro la legge elettorale, conclude che non ne usciamo con una scelta organizzativa, occorre un salto di qualità ed un "simbolico" nuovo, costruire "il popolo dell'alternativa".

Infatti, si tratta di ripartire dai bisogni, dalla materialità delle contraddizioni di una popolazione polarizzata tra chi ha molto e chi nulla. I blocco sociale di riferimento della sinistra si è disperso in virtù delle trasformazioni in agricoltura, delle ristrutturazioni dell'industria nata dalla Cassa per il Mezzogiorno, della fine delle miniere. Ma questo popolo urbanizzato, che vive dentro la società globalizzata, quale rapporto ha con la politica? Quali sono le ragioni sociali nuove che possono creare un legame forte al punto di rompere il vincolo di dipendenza e proporre una progettualità alta ed "altra", capace di parlare di politica e di alternativa di governo fuori dalle logiche di assemblaggio di ceti politici?

Se si segue l'analisi del voto di Catania compiuto dalla professoressa Tomaselli, si coglie con chiarezza che quella fascia grigia - centrista?, moderata? dipendente? - si espande e configura una realtà populista, genericamente interclassista ma sostanzialmente omologata nell'antipolitica, quasi di tipo peronista. In questa fascia grigia le istituzioni e la democrazia perdono connotato e significato e vale il segnale leaderistico trasmesso dall'alto, giù per i rami del clientelismo, del familismo amorale, che chiama ad una solidarietà "interna" contro chiunque e qualunque cosa possano disturbare il fluire del corso di questa fascia. Così prendono corpo liste civiche di centro, promosse da Lombardo che sta a destra, o dal candidato Enzo Bianco che sta nel centro-sinistra. Se si sommano i voti si supera il 50%. E gli interessi, le differenze, le passioni, annegano dentro questa ondata di "civismo" che nega la civiltà della politica, del conflitto; ma, contemporaneamente, l'autonomia delle istituzioni, la separazione dei poteri e dei ruoli, la distinzione tra politica e affari.

Così lo storico Salvatore Lupo traccia un quadro pessimista di tutta la vicenda autonomista regionale e segnala l'omologazione della Sicilia come frutto di una superata, obsoleta, questione meridionale e, anzi, teme che il modello politico siciliano possa diventare un prodotto di esportazione. Guarda al fallimento della esperienza della primavera orlandiana "quando si pensava che la società potesse irrompere nella politica", e vede questo fallimento frutto del maggioritario e del presidenzialismo che hanno portato all'indebolimento dei partiti. Unico antidoto, ricostruire partiti identitari forti per superare il "trasversalismo sociale".

Claudio Riolo, sociologo, propone una lettura più complessa della rottura del blocco sociale e delle ragioni che portano all'indebolimento della sinistra, chiede di approfondire l'analisi ed il confronto. Sul ruolo della mafia, sul ruolo che le politiche industriali ed agricole, anche europee, hanno avuto nel generare trasformismo e subalternità e spingere al "governativismo" come possibilità di controllo della gestione di quei flussi di finanziamento che alimentano la colonizzazione della società da parte della politica. Nota una metamorfosi dei ceti politici dopo tangentopoli e vede la "stagione dei sindaci" come surrogato allo svuotamento della politica. Quindi, se la sinistra vuole vincere, non come mera sostituzione di ceto politico, deve essere in grado di individuare un modello alternativo.

In questa ottica, Alfio Foti, presidente dell'Arci, non ha dubbi che per combattere l'intreccio di clientelismo e mafie, che agiscono sulla destrutturazione sociale, serve la costruzione di un percorso di intrecci solidali. E in Sicilia la questione meridionale è immediatamente anche questione dei migranti. Partire da pezzi di "alterità" che esistono, rivendicare sempre maggiore apertura dello spazio pubblico, rimettere la partecipazione critica alla base della democrazia. Fare "società alternativa", anche a partire dalle nuove municipalità. Su questo concetto insiste anche Tano Grasso che parla apertamente di crisi dell'antimafia anche in rapporto alla disgregazione sociale e alla deregolamentazione che rende, sempre di più, anche le imprese soggette all'azione di ricatto mafioso. "La libertà d'impresa è fattore rivoluzionario rispetto al fenomeno mafioso" e la sinistra, che deve ricostruire un'identità sociale che non ha più, deve essere capace di concretizzare, attraverso una politica di grande serietà e rigore, questa effettiva libertà.

E' evidente che ragionare in chiave di recupero di autonomia della società e dell'impresa rispetto al condizionamento politico-mafioso, significa porre il problema del conflitto e dei conflitti oltre il paradigma della lotta di classe perché, in effetti, si tratta di creare le condizioni minime della legalità entro cui il conflitto sociale si può esplicitare come fattore di democrazia e di libertà. E, in effetti, a questo si riferisce Fausto Bertinotti nell'intervento conclusivo del seminario.

E alle domande che vengono dai dirigenti locali del Partito, agli interrogativi sulla direzione di marcia da imprimere all'apertura dell'area Euro-Mediterranea e al ruolo che, in essa, potrà svolgere la Sicilia, vengono proposte di ricerca ulteriore e risposte non consolatorie e non accomodanti. Così Paolo Ferrero mette l'accento sulla opportunità di approfondire l'analisi strutturale dell'economia siciliana, cogliere i processi di ristrutturazione e gli effetti che producono in Sicilia le crisi di gruppi come la Fiat, indagare le trasformazioni in agricoltura ed i problemi che sorgono dalla mancanza di infrastrutture adeguate di trasporto e di servizi moderni.

E Nicola Cipolla, dirigente storico comunista, lancia l'invito forte di pensare ad un nuovo ed autonomo progetto per la Sicilia ed il Mezzogiorno a partire dalla difesa dei beni comuni e dalla riconversione energetica che svincoli il Sud dalla dipendenza dal petrolio; ambiente ed energia pulita, cardini di un modello nuovo ed autonomo di sviluppo.

Emilio Arcuri, che dell'esperienza "orlandiana" è stato uno dei pilastri, invita ad aggiornare l'analisi sulla trasformazione della società siciliana e sulla politica. Perché l'intreccio tra politica ed economia, il ruolo dei finanziamenti pubblici e la gestione dei fondi strutturali della Unione europea, hanno creato una condizione nella quale "alternativa fa rima con solitudine" e, quindi, la sinistra, per guadagnare l'autonomia necessaria a costruire l'alternativa deve avere la forza e la capacità di pagare i prezzi necessari e "rischiare, rischiare, rischiare". Bertinotti parlerà di "traversata del deserto". E sullo stesso tema insiste Peppino Di Lello denunciando come «il consociativismo ha neutralizzato la sinistra» e, in questo, «anche noi paghiamo le incoerenze tra il dire e il fare».


Per questo anche la prospettiva delle elezioni regionali spinge al rigore e alla coerenza nella scelta delle politiche e delle intese necessarie per superare lo sbarramento imposto dalla legge elettorale. Utile ed opportuno proporre le "primarie" anche a livello regionale, ma senza compromessi che condizionino la fisionomia di un'alternativa che rappresenti la necessaria discontinuità.

Su questi temi si interroga ed interroga Daniela Dioguardi ponendo il problema del rapporto con le altre forze di sinistra e con i movimenti, sulla qualità di questi rapporti ed il loro spessore. E se «anche al nostro interno sono pessime», che relazioni siamo in grado di costruire con gli altri? «Perché, mentre qui ci misuriamo con una ricerca difficile, senza "ricette" preconfezionate, talvolta mi viene detto "sei fuori linea"»? E se Franco Drago dice che la prospettiva non è rassicurante perché il Partito non ha sostenuto i conflitti sociali, Francesco Forgione assegna alla ricerca in corso nel seminario il compito di fare luce sul percorso che il partito deve intraprendere e le scelte che deve compiere. «Anche se non avessimo subito le sconfitte, avremmo dovuto fare un punto severo e rigoroso», dice Forgione, perché siamo ad un bivio: «O siamo in grado di sviluppare un'iniziativa di massa o affondiamo nella grave crisi della politica. Il tema della precarizzazione del lavoro e della società, anche in Sicilia, costituisce il bandolo della matassa da dipanare per ricostruire una nostra iniziativa».

Eccola, dunque, la Sicilia, un continente che concentra problemi politici e sociali complessi. I braccianti, che avevano costituito una delle forze motrici delle lotte sociali, fino a conquistare, con la lotta di Avola, la partecipazione alle Commissioni Provinciali per il controllo del collocamento, contro il mercato del lavoro di piazza gestito dai caporali, oggi sono sostituiti dagli immigrati, spesso in nero e senza diritti e potere. I minatori non ci sono più. La classe operaia dei poli industriali di Gela, di Priolo, di Milazzo, di Palermo si è dispersa sotto i colpi della ristrutturazione anche se difende, dove può e come può, il proprio diritto al lavoro. E anche i nuclei di operai e ricercatori che operano nei pochi centri di eccellenza nella produzione dei microprocessori, che rapporto hanno con il tessuto sociale, che ruolo svolgono in una città come Catania?

I processi di urbanizzazione hanno cambiato il volto di larga parte dell'isola e la modernizzazione ha omologato molto i comportamenti ed acuito altrettanto le contraddizioni sociali. La politica ha seguito questi processi e spesso ne è stata soggiogata. Il patto tra una parte della Democrazia Cristiana ed il Pci, alla fine degli anni '50, il cosiddetto Milazzismo, forse sta all'origine di quel consociativismo che connota la politica fino ai nostri giorni e che ora, però, si scontra con la globalizzazione e la sua crisi. In Sicilia, forse in maniera più marcata, la politica ha subito una torsione verso le pratiche di amministrazione e di gestione che offuscano, in un indistinto "fare per chi e per conto di chi" le ragioni e i soggetti dei conflitti classici.

Si tratta di colmare la separatezza presente tra società e politica, tra popolo e ceto politico; si tratta di sapere se siamo un partito che accoglie e si confronta o, invece, separa ed esclude in nome di prerogative di omogeneità del e nel gruppo dirigente.

Su questo panorama, Fausto Bertinotti sviluppa un ragionamento di forte spessore politico partendo dalla constatazione del bisogno di studiare di più e meglio, liberandoci delle approssimazioni definitorie che non analizzano né fanno comprendere i processi reali. «La Sicilia - dice - non è solo un caso. Né un'anticipazione». Per questo c'è bisogno di selezionare e mettere a fuoco i problemi reali scartando materiali che non fanno capire e confondono l'analisi. Tra questi: la dimensione antropologica; lo Statuto Speciale; la dinamica trasformistico-clientelare del ceto politico. «Da queste dimensioni non ricaviamo nulla di utile e di originale», si tratta di capire, invece, «in che popolo siamo». Per questo occorre uscire dall'autoreferenzialità e sviluppare una nuova "capacità di ascolto". Senza demonizzare l'Autonomia, occorre indagare, oggi, che cosa essa rappresenta e può rappresentare. In qualche modo si tratta di reinventare i percorsi d'indagine e di azione sperimentati da Danilo Dolci nel suo approccio con la Sicilia degli anni '50 e '60: il lavoro nella e con la comunità locale, oggi diversamente organizzata anche nelle forme del Centro Sociale o del collettivo o del comitato cittadino che compie esperienze di resistenza o di iniziativa politica. E se è vero che c'è una patologia, in Sicilia, nel rapporto tra le forze politiche, questo ci deve spingere ad esaminare congiuntamente il rapporto tra società civile e politica. «Che cosa è diventata la società civile?». Rispondere a questa domanda può rappresentare la chiave per procedere nella costruzione dell'alternativa.

Possiamo partire dalla "rottura orlandiana", e dalla ambiguità che quella rottura conteneva, dice Bertinotti; ma per fare "la mappa" delle situazioni, dei conflitti, delle forze in campo allora e di quelle attivate, senza disperdere il prodotto di quella esperienza. Anzi, utilizzandolo per indagare l'oggi. E vedere come la precarizzazione del lavoro ha fatto sì che la precarietà sia diventata il paradigma dell'intera organizzazione sociale. E vediamo che la borghesia mafiosa è diventata il cardine del modello siciliano, sia quando ne connota i tratti politici sia quando ne condiziona il modello di economia ed il sistema di relazioni.

Abbiamo visto, continua Bertinotti, come si sia scompaginata la nomenclatura dei ceti e delle classi protagoniste dei conflitti sociali dei decenni passati e come il conflitto di classe non sia l'unico ed in grado di farci comprendere l'insieme della realtà e di individuare le forze per l'alternativa. Abbiamo parlato della "costruzione di un nuovo popolo", oltre la tradizionale definizione del blocco storico; ma, in concreto, che cosa ci proponiamo quando diciamo che esso rappresenta "l'alternativa di società"?

In sostanza si tratta di attivare una società "altra", alludiamo ad un "interclassismo" che sia motore di un nuovo modello di sviluppo. Un rapporto diverso tra società e politica, fatto di rapporto dialettico e non di subalternità; tra economia ed ambiente, per valorizzare le risorse e sottrarre i beni comuni al condizionamento discriminatorio del mercato; un sistema di democrazia capace di battere l'antipolitica e rompere il diaframma tra il popolo e la politica costituita in èlite. Per questo l'inchiesta non è un mero strumento cognitivo ma un motore della rivendicazione e della costruzione dell'alternativa.

Per questo è necessario acqusire e praticare la partecipazione, come agire soggettivo e conflittuale, contro il populismo che subordina la società alla politica. Ma "per battere il populismo, devi essere popolare"!

da Liberazione del 26/08/2005