Sommario:
Indagati, imputati, arrestati: l'UDC c'entra quasi sempre.
Per
una casa. Lotta tra poveri.
La generazione
che ha cacciato Berlusconi.
Tre donne e
un'ex tuta blu dal PRC nella lista unitaria
Generazione Cpe
la lezione francese e i giovani italiani
Beni
confiscati alla mafia: un anno di attività dell’Assessore Tranchina
Un partinicese eletto al Senato
In 5 anni di
legislatura è lungo l’elenco di esponenti del partito coinvolti in
inchieste
Indagati, imputati,
arrestati: l’Udc
c’entra (quasi)
sempre
E’ il 15
febbraio 2006. Gigi Tomasino ascolta la sentenza dei giudici della
terza sezione del Tribunale di Palermo: «Condannato a due anni e 6
mesi di reclusione per turbativa d’asta e falso, con l’aggravante di
avere avvantaggiato Cosa nostra». Per l’ex capogruppo dell’Udc alla
Provincia di Palermo, dunque, si aprono le porte del carcere. Ma il
nome di Tomasino è solo l’ultimo di un lungo elenco di esponenti Udc
arrestati, imputati in processi di mafia, indagati o tirati in ballo
dai pentiti in questi cinque anni di legislatura del centrodestra in
Sicilia. Dal 2001 ad oggi il simbolo del partito di Salvatore
Cuffaro, numero
2 a livello
nazionale ma deus ex machina degli eredi della Democrazia cristiana,
è salito diverse volte alla ribalta della cronaca giudiziaria.
Amministratori, deputati e perfino un sottosegretario di Stato sono
coinvolti, a vario titolo, in inchieste aperte nei Palazzi di
giustizia di mezza Sicilia: da Palermo a Catania, da Trapani a
Caltanissetta.
I guai
giudiziari di Cuffaro, imputato per favoreggiamento nel processo per
le talpe alla Dda di Palermo e che vede al centro dell’inchiesta il
“re” della sanità privata Michele Aiello (considerato prestanome del
padrino Bernardo Provenzano), sono solo la punta di un iceberg.
Vincenzo Lo Giudice, mister 21 mila voti ad Agrigento, è alla sbarra
per associazione mafiosa. All’ex assessore regionale Udc sono appena
stati sequestrati beni per oltre 5 milioni di euro; sotto il mattone
della sua camera, gli investigatori hanno trovato 250 mila euro
ritenuti frutto di tangenti. Lo Giudice fu arrestato il 29 marzo
2004 nell’ambito dell’operazione “Alta mafia”, assieme ad altre 42
persone, tra cui altri due colleghi di partito: Salvatore Iacono e
Gaetano Scifo, consigliere ed ex consigliere ad Agrigento; Rino Lo
Giudice (Udc), figlio del deputato, finì nel registro degli indagati
e si dimise da presidente del consiglio provinciale di Agrigento.
Giuseppe Salvatore Gambino, sindaco di Roccamena ed eletto in una
lista civica vicina all’Udc, sotto il mattone non teneva nulla, in
compenso conservava una pistola nel cassetto del suo ufficio in
municipio. Arrestato lo scorso 7 febbraio per concorso in
associazione mafiosa, Gambino è ritenuto dagli inquirenti il
factotum del boss Bartolomeo Cascio. Così come “organico a Cosa
nostra” è considerato Vincenzo Giannone, in quota Udc e presidente
del Consiglio comunale di Riesi (Caltanissetta), arrestato nel corso
dell’operazione “Odessa”. Di maggiore peso, nell’Udc, era David
Costa, deputato regionale ed assessore alla presidenza nella giunta
Cuffaro, finito in manette nel novembre del 2005, per concorso in
associazione mafiosa. Secondo l’accusa Costa «era interessato a
ricevere il sostegno della famiglia mafiosa di Marsala (Trapani)»
durante la campagna elettorale del 2001 per le regionali, «a fronte
di erogazione di somme di denaro». E promesse di denaro oltre che di
posti di lavoro per ottenere i voti della mafia del trapanese,
avrebbe fatto Onofrio Fratello, altro deputato regionale Udc ed ex
vice sindaco a Erice, accusato di concorso in associazione mafiosa.
Altro big finito nelle maglie della giustizia è Salvatore Cintola,
attuale assessore regionale al Bilancio, indagato per concorso in
associazione mafiosa. Per due volte le indagini su Cintola erano
state archiviate, ma dopo le dichiarazioni del donna-boss pentita
Giusy Vitale, il fascicolo è stato riaperto. L’assessore è indicato
come «amico personale» del capomafia Giovanni Brusca (ora pentito) e
fra gli uomini politici coinvolti nel progetto di Leoluca Bagarella
che voleva realizzare il partito di Cosa nostra “Sicilia Libera”.
Di
Cintola parlano i pentiti Antonino Calvaruso, Balduccio Di Maggio,
Mario Santo Di Matteo e Tullio Cannella. Più critiche le posizioni
di Antonio Borzacchelli, ex maresciallo dei carabinieri, eletto
deputato regionale nell’Udc e arrestato nell’ambito dell’inchiesta
sulle talpe alla Dda, che coinvolge anche il governatore Cuffaro; e
quella di Domenico Miceli, ex assessore Udc nella giunta Cammarata a
Palermo, arrestato per associazione mafiosa e accusato di essere il
referente del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e la cerniera
tra il clan e la politica. L’inchiesta su Miceli coinvolge altri
esponenti dell’Udc: Roberto Carcione, consigliere comunale a
Bagheria, e Leonardo D’Arrigo, consigliere comunale a Palermo,
inscritto nel registro degli indagati per rivelazione di segreto
d’ufficio e abuso d’ufficio, aggravato dal fatto che avrebbe
avvantaggiato Cosa nostra. Tra i due spicca, però, il nome di
Saverio Romano, sottosegretario al Lavoro nel governo Berlusconi,
anche lui indagato per concorso in associazione mafiosa, e tirato in
ballo dal neo pentito Francesco Campanella, ex presidente del
Consiglio comunale di Villabate, in quota Udc e gola profonda della
Procura di Palermo. Campanella, che ha svelato agli inquirenti
particolari sulla latitanza di Provenzano, accusa Romano di essere
stato eletto grazie ai voti della cosca mafiosa di Bagheria. Chi non
è stato sfiorato da indagini è Massimo Grillo, ex capogruppo Udc in
Commissione nazionale Antimafia e acerrimo oppositore di Totò
Cuffaro. Con le sue denunce, Grillo ha contribuito a svelare gli
intrecci tra mafia e politica nel trapanese, mettendo nei guai suoi
colleghi di partito. Ecco perché è stato fatto fuori dal partito.
TOP
PER UNA CASA. LOTTA TRA I POVERI
Pur di esprimere pesanti giudizi sull’Amministrazione comunale del
Sindaco Motisi (il che è assolutamente consentito a tutti se ciò
esalta, però, la VERITA’) oramai si utilizzano tutti gli strumenti
disponibili, esasperano le occasioni, si scatenano addirittura le
guerre tra i poveri. Così è avvenuto recentemente a proposito
dell’uso di un alloggio popolare conteso tra due famiglie che,
artatamente, sono state messe di fronte assegnando loro un ruolo di
contendenti piuttosto che accomunarli nello stesso bisogno e,
partendo da questo, costruire un percorso politico che porti alla
soluzione non solo dei singoli problemi ma soprattutto quelli
collettivi. In una parola: piuttosto che esasperare le singole
necessità, serietà vuole che si lavori alla costruzione di un
sistema di solidarietà per mettere insieme le necessità, farle
diventare richiesta collettiva e quindi forza contrattuale nei
confronti di un’Amministrazione comunale che ad oggi, lo avvertiamo
anche noi, non ha messo mano ad “una politica della casa” capace di
mettere ordine, intanto, nel patrimonio di alloggi cosiddetti
popolari di cui la città dispone. Se non altro per porre fine a
speculazioni, clientele, prevaricazioni, confusione. Oggi più che
mai si avverte la necessità di istituire un apposito Assessorato
alla Casa. E’, questa, dunque l’occasione per incominciare a
discutere di questo problema e lo vogliamo fare noi di Rifondazione
Comunista. La nostra città, oggi, dispone di un patrimonio di
alloggi pubblici (cioè di proprietà dell’IACP -Istituto Autonomo
Alloggi Popolari) che si contano a centinaia. Sono, in linea
generale, frutto di lotte dei Comunisti di Partinico non solo e non
tanto per costruirle (anche questo) ma per assegnarle secondo
criteri di equità e rispetto delle regole. I Comunisti di Partinico
hanno dovuto imporre una politica della casa a cominciare dagli anni
’70, quando della casa si aveva fame ed i poveri della città non
erano nella condizione di costruirne una. E sul bisogno della casa
si è anche speculato, si sono fatti affari. Affari dentro cui la
mafia locale ha anche immerso le mani. Sono, dunque, centinaia gli
alloggi dislocati nei punti diversi della città: via Ungaretti,
viale Aldo Moro, via Ragona a monte, contrada Raccuglia, 108 alloggi
. E poi, negli anni successivi e a cominciare dagli anni ’80, tutto
il patrimonio delle cooperative di edilizia popolare. Anni di lotte
dei comunisti di Partinico, di lotte e di sacrifici che hanno
permesso di dare una risposta, comunque sia, ad una primaria
necessità. Certo le Amministrazioni, nessuna esclusa, hanno mai
posto attenzione alla costruzione organica di una politica che
valorizzasse, disciplinasse l’uso di questo grande patrimonio. Né
alcuno si è mai impegnato nel rendere chiaro il rapporto tra Comune,
cittadini, IACP. Per cui, anche oggi, non sempre si definiscono e
chiariscono le competenze. Chi deve assegnare un alloggio? Chi deve
verificare la legalità dell’assegnazione? Chi deve intervenire nel
soddisfare i bisogni di un patrimonio che spesso va in disfacimento?
Sono tutti interrogativi su cui bisogna riflettere per costruire
quel percorso politico-amministrativo che mette ordine, legalizza,
soddisfa. Se non si inizia da questo è difficile che coloro ai quali
interessa mestare nel torbido ed approfittare delle situazioni per
scatenare le guerre tra poveri, possano venire smascherati.
TOP
La generazione che ha cacciato
Berlusconi
Il dato
politico più importante è che Berlusconi ha perso. L’esito
elettorale del Partito ci obbliga ad alcune riflessioni importanti
per la definizione della nostra iniziativa politica e del lavoro che
ci attende nel futuro. Lo straordinario (e inatteso) risultato del
Senato - oltre 2 milioni e mezzo di voti, pari al 7,4% - così come
il dato di sostanziale mantenimento alla Camera, con oltre 2 milioni
e duecentomila voti, pari al 5,8%, un dato che in termini assoluti è
superiore a quello delle europee. Per questo non ho condiviso alcuni
autorevoli interventi pubblicati anche dal nostro giornale. In
particolare mi trovo in disaccordo con la tesi che vedrebbe
deludente il voto giovanile per Rifondazione. Ma altrettanto in
disaccordo con chi legge il successo della lista Ulivo solo con la
lente della personalizzazione della politica. Certo c’è stata
l’assonanza Ulivo-Prodi, ma quella lista ha rappresentato (e
rappresenta tuttora) per molti elettori di sinistra l’embrione di un
progetto politico forte: quello del partito democratico. Paolo
Natale (docente di studi sociali e politici all’Università di
Milano) ha elaborato una prima analisi del voto ricostruendo i
flussi elettorali e guardando il flusso di voto “sincronico” (ovvero
quelli tra Camera e Senato), Natale sostiene che l’Ulivo è stato
scelto da quasi la totalità degli elettori al Senato di DS e
Margherita, e da ben oltre il 10% del nostro elettorato superiore ai
25 anni. Certo nulla è scontato, perché non basta il risultato
elettorale dell’Ulivo ad inverare la soggettività politica, sarà
piuttosto soprattutto la volontà dei gruppi dirigenti di DS e
Margherita a definire questo percorso. Insomma ridurre il successo
dell’Ulivo nel successo della “personalità” Prodi non credo che ci
aiuti a comprendere a fondo la sfida che ci pone l’avvento del
partito democratico, proprio per quella capacità attrattiva che ha
già dimostrato col suo risultato elettorale, superiore infatti alla
somma dei voti di DS e Margherita. Questo progetto ha richiamato
anche una parte del nostro elettorato oltre i 25 anni, mentre il
risultato di mantenimento alla Camera è dovuto proprio alla nostra
capacità di attrarre il voto giovanile.
Se fosse vero
il contrario, avremmo almeno dovuto mantenere alla Camera in voti
assoluti il dato del Senato. Insomma ritengo che una parte del
nostro elettorato abbia votato disgiuntamente noi al Senato e
l’Ulivo alla Camera. Guardiamo il dato elettorale alla Camera nelle
realtà metropolitane: a Napoli e Palermo dove in termini assoluti
prendiamo più voti alla Camera che al Senato, mentre Roma, Milano,
Firenze, Torino, Venezia, Bari ci consegnano un risultato superiore
alla media nazionale, e guardiamo anche quello di alcune realtà
protagoniste di forti movimenti sociali, nella Basilicata della
lotta contro le scorie conquistiamo per la prima volta un seggio
alla Camera e uno al Senato, a Bussoleno (il comune protagonista
delle giornate No tav) siamo per la prima volta il primo partito, ad
Acerra (dove siamo stati accanto al movimento contro l’inceneritore)
raddoppiamo il dato rispetto alle regionali. Questo sguardo ci dice
che il voto giovanile ci premia ulteriormente lì dove il nostro
partito ha avuto, per le condizioni sociali e politiche, la
possibilità lavorare con generosità alle iniziative del movimento
dei movimenti. Inoltre secondo Swg tra i giovani (tra 18 e 24 anni)
l’Unione vince sulla Cdl (42,1% contro il 34,6%), e secondo la
stessa analisi tra gli “esordienti” almeno il 13% dichiaravano di
votare per Rifondazione! Un risultato sul quale pesa molto la
capacità del nostro partito, ma soprattutto del movimento, di fare
entrare la precarietà nel lessico della politica. Di fronte alla
precarietà come prospettiva di vita per molti giovani, l’Unione -
anche grazie alla nostra iniziativa - ha saputo controbattere all’arrocamento
della Cdl a difesa della legge 30. Eppure l’astensione è ancora la
scelta di tanti giovani. Il 23,3% degli elettori esordienti (e
quindi in un’età compresa tra 18 e 23 anni) ha disertato le urne,
mentre l’astensione media è stata del 17%. E’ un dato alto che non
va sottovalutato: la politica non riesce a stabilire con tanti
giovani nessuna relazione, rimane distante, anzi il disinteresse
reciproco aumenta. Riconquistare alla politica chi oggi la vede con
diffidenza, diventa per noi prioritario nella costruzione
dell’iniziativa politica, anche da qui passa il rafforzamento della
sinistra d’alternativa in questo paese e in Europa.
Sergio
Boccadutri, esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti/e
TOP
“Uniti per la
Sicilia”, collegio di Palermo. L’impegno antimafia, le battaglie
pacifiste
e ambientaliste, il legame con la fabbrica nei profili dei candidati
di Rifondazione
Tre donne e
un’ex tuta blu dal Prc nella lista unitaria
Sono quattro, tre donne e un uomo, i candidati di Rifondazione
comunista inseriti nella lista “Uniti per la Sicilia” nel collegio
di Palermo per le elezioni regionali del 28 maggio. La più giovane è
Cecilia Giordano,
trentaduenne, psicologa, nata a Corleone. Si dichiara «tenacemente
convinta della possibilità di cambiamento della nostra terra e della
necessità di un diverso sviluppo dell’isola». Originaria del paese
che ha dato i natali ai più noti boss di Cosa Nostra, da Totò Riina
e Bernardo Provenzano, si è dedicata a condurre specifiche ricerche
sui contesti familiari in cui si sviluppa l’organizzazione
criminale. Il superamento della cultura mafiosa, quindi, è uno dei
temi al centro della sua vita e dei suoi impegni professionali
all’Università di Palermo, dove insegna, come precaria, presso le
facoltà di Scienze della formazione e Medicina. Ha lavorato anche
come educatrice di strada e per la salute psichica. Ha trascorsi da
“tuta blu” Rosario Rappa, segretario regionale del partito,
cinquant’anni, perito chimico, palermitano. Dal lavoro in fabbrica è
passato, poi, all’esperienza sindacale. E’ stato per dieci anni
leader dei metalmeccanici palermitani e siciliani. Poi, nel 2002, è
stato nominato responsabile nazionale del settore aerospazio della
Fiom-Cgil. Carica che ha ricoperto fino al 2005. E’ tra i fondatori
del partito nell’isola e tra i membri del direttivo del Cepes di
Nicola Cipolla. E’ archeologa, invece, Francesca Valbruzzi, 42 anni,
funzionaria della Sovrintendenza di Palermo che vanta attività di
ricerca nella catalogazione dei beni culturali, oltre che di
insegnamento. «Il mio impegno politico - racconta - nasce dal
movimento pacifista che si è sviluppato in Sicilia contro
l’installazione dei missili a Comiso». Una scelta che si è
naturalmente evoluta con l’adesione a Rifondazione comunista. Oggi,
Francesca Valbruzzi fa parte della segreteria regionale del partito
ed ha l’incarico di responsabile del settore Ambiente e territorio.
«I beni culturali vivono una stagione di incertezza e precarietà -
continua. - Il governo Cuffaro, infatti, ha contribuito a
determinare questa crisi attraverso politiche fondate sul primato
dell’economia e del mercato rispetto al campo del sociale che hanno
prodotto l’utilizzo dei fondi di Agenda 2000 per astratti progetti
di “valorizzazione” avulsi e spesso in contrasto con la tutela e la
conservazione del territorio». Ultima candidata in “rosa” è Franca
Maria Tranchina Aguglia. Funzionaria dell’Asl 6 di Palermo, in
servizio presso l’ospedale di Partinico, dove vive con i due figli,
studenti universitari. Attualmente ricopre un incarico
istituzionale. E’ infatti, assessora alla Legalità e ai Beni
confiscati alla mafia proprio
presso il comune di Partinico.
TOP
Generazione Cpe la lezione
francese e i giovani italiani
In Francia resiste un’idea di bene pubblico, mentre in Italia il
berlusconismo diffuso lo ha sostituito con il privato. Ora la
chiamano “generazione Cpe”: ha vinto uno scontro durissimo con in
governo di centro destra francese e può giocare un ruolo
fondamentale nel voto delle elezioni presidenziali dell’anno
prossimo. Dicevano che i giovani sono individualisti e passivi, ora
si impongono nel dibattito politico, costringendo tutti, destra e
sinistra, a interrogarsi sulle caratteristiche di questo movimento,
che ha tenuto in scacco la Francia per tre mesi e fatto cambiare la
legge. Uno scontro sociale che già ha influito sui rapporti tra e
nei singoli schieramenti facendo sprofondare il presidente della
repubblica Jacques Chirac e il suo primo ministro Dominique de
Villepin. La maggior parte di loro si dichiara di sinistra, ma senza
un partito specifico: “La nostra vittoria più grande - dichiarano i
portavoce degli studenti - non è la morte del Cpe, ma la presa di
coscienza politica dei giovani”. E in Italia, esiste una
“generazione contro la precarietà”? E perché non ha dato luogo a una
stessa vertenza generale? E quanto hanno contato i voti dei giovani
nella vittoria dell’Unione? Cominciamo allora col precisare che,
dalle prime indagini sui flussi elettorali, i votanti tra i 18 e i
23 anni avrebbero premiato l’Unione per il 42,1%, mentre alla CdL
sarebbe andato il 34,6%, e allo stesso tempo aumenterebbe la
percentuale di astensioni che passa da una media del 17% al 23,3%.
Cosa ci sta, dunque, dentro questo voto e questo non voto? Chi ha
fatto la campagna elettorale ha colto come la condizione di
precarietà sia decisamente la più sentita: quella che ti segna nel
lavoro e nella vita, che ti nega l’autonomia economica e la dignità,
i desideri e i progetti. E non vi è dubbio che l’attesa più grande
del programma del governo Prodi, fra i giovani e le loro famiglie,
riguarda la questione della legge 30. La precarietà è il cuore delle
politiche neo-liberiste in Europa e nel mondo. Per questo, già in
questi giorni, prima ancora di insediare il governo, il confronto
tra economisti e politici, anche all’interno dell’Unione, riguarda
questo nodo. Perché, allora, una vicenda che costringe milioni di
ragazzi a lavorare con contratti capestro e a vivere in famiglia
fino ai 30 anni non esplode con le caratteristiche francesi? La
risposta sta forse in una diversa concezione dello Stato. “Lo Stato
siamo noi” dicono i cittadini francesi, e dalla rivoluzione francese
in poi hanno una idea della polis che non li rende disponibili a
farsi mettere i piedi in testa dal governo e pretendono da questo,
di qualunque colore sia, di uniformarsi alla loro volontà. In
Italia, abbiamo un sud dove, da sempre, sono abituati ad
arrangiarsi, a non far conto sui diritti che le istituzioni
dovrebbero garantire e a scambiare questi come favori, ad emigrare
quando non ce la si fa più. E infatti sono riprese le migrazioni
verso il nord. E abbiamo un nord, in cui comunque permangono le
conquiste delle generazioni precedenti, perciò la famiglia può
svolgere un’azione di supplenza, e assorbire i disastri delle
politiche neo-liberiste, diventando a tutti gli effetti un modello
di welfare sostitutivo. Così, in Italia, le grandi manifestazioni di
piazza sono state quelle contro la guerra e contro la riforma
Moratti, e le occupazioni di scuole e università riguardano la
parcellizzazione del sapere e la selezione di classe. Gli anni del
dopo Genova 2001 hanno conosciuto vertenze straordinarie: da quelle
alla Fiat di Melfi e Termini Imerese a quelle territoriali di
Scanzano e della Val di Susa, a quelle de metalmeccanici. Ma è
mancata l’unificazione di queste lotte e solo le realtà più
politicizzate dei movimenti hanno ragionato sulla precarietà in
tutti i suoi aspetti. Solo recentemente la May Day milanese,
iniziativa propria di qualche centro sociale, è cresciuta e si è
trasformata in un appuntamento anche per la Fiom e qualche partito
come Rifondazione comunista. Le lotte francesi hanno invece alle
spalle un lungo percorso di lotte per l’inclusione sociale: dalla
marcia contro il razzismo al movimento altermondialista passando per
le lotte dei sans-papiers e quelle degli intermittenti. I francesi
hanno riconosciuto la faccia del liberismo nelle centinaia di pagine
del trattato costituzionale europeo e perciò lo hanno bocciato e
oggi vincono sul Cpe. Vi sono tante ragioni politiche, anche
soggettive, su cui interrogarci, ma la principale riguarda forse la
cultura delle istituzioni, che se da una parte non impedisce
l’esplodere del dramma dell’esclusione, nelle banlieuses parigine,
dall’altra dà luogo a mediazioni sociali, tipiche di una società
post-fordista di lontana memoria. Un’idea di bene pubblico cioè, che
in Francia ancora sopravvive alla crisi dello Stato nazione, mentre
in Italia il berlusconismo diffuso lo ha sostituito con il privato,
nel senso dell’interesse personale, e con una devastazione culturale
tendente a deprivare i giovani di qualsiasi capacità oppositiva o
esercizio critico. Non ci si può meravigliare dunque, se, dentro una
preferenza di voto a sinistra, aumenta in Italia la percentuale
delle astensione fra i giovani. Parliamo di ragazzi che non hanno
conosciuto lo stato sociale, e che perciò nel sud posssono
incontrare la rassegnazione e in un nord ancora produttivo vivere
uno smarrimento complessivo che si rifugia nei localismi e produrre
“comunità guardaroba” e “personalità liquide” (Z. Bauman). Se
Rifondazione Comunista, in una società dell’incertezza che produce
rifiuti umani, ancora riesce a intercettare una parte di questi
voti, lo deve a questi anni di movimento, al senso di appartenenza
che per qualche tempo hanno saputo determinare Genova e i
disobbedienti. Oggi, molti di questi giovani hanno votato a sinistra
non solo per interessi materiali, ma sperando che cambi un clima
politico e culturale, che si inverta una tendenza autoritaria che ti
mette in galera per uno spinello, che non tollera alcuna forma di
cosiddetta illegalità, o che considera trasgressioni intollerabili
le scelte affettive o sessuali fuori dalle regole di Santa romana
chiesa. Ma quanti, in quel 10% dell’elettorato tra i 18 e i 23 anni
che aveva per la prima volta diritto al voto, vengono raggiunti dai
protagonisti dei movimenti di questi anni? E fino a che punto i
luoghi di incontro che sopravvivono nelle metropoli, in particolare
i tanti e diversi centri sociali, riescono a parlare il linguaggio
della politica vera, quella che ti aiuta a prendere coscienza?
Naturalmente non sono questioni che riguardano i giovani comunisti.
Riguardano invece tutti noi, la Sinistra europea, e anche il
prossimo governo dell’Unione. Se è vero che in ricerche prodotte su
un terreno più filosofico o sociologico, si può affermare che i
giovani di oggi avvertono un vuoto di autorità, intesa come figura
autorevole e che in generale avvertono la mancanza di “adulti
attraenti“ che non indulgano ad atteggiamenti giovanilistici,
potremmo provare a trasferire analisi e interrogativi sul piano più
politico. C’è un bisogno di “fare società” che investe le
responsabilità di governo e c’è un’urgenza di rinnovamento nella
cultura politica che investe anche noi e il progetto della sinistra
europea. L’Unione per ora riesce a dare speranza alla maggioranza di
questi giovani, ma il problema del consenso non é risolto. Le
rivolte giovanili si possono esprimere in diversi modi e tra qualche
tempo si manifesteranno anche in Italia: se porteranno in piazza
milioni di persone potremo dire di aver lavorato bene, se viceversa
si consumeranno silenziosamente nelle competizioni e negli egoismi
individuali, vorrà dire che Berlusconi sarà sopravvissuto a sé
stesso.
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Beni
confiscati alla mafia: un anno di attività dell’Assessore Tranchina
In conformità
allo spirito della Legge 31.05.65 n.575 e successive modifica ed
integrazioni e alle prescrizioni dei decreti di destinazione, che
prevedono un utilizzo per finalità sociali dei beni confiscati alla
mafia, nonché per l’alto valore simbolico che rappresenta nel
territorio il pieno utilizzo di tutti i beni confiscati alla mafia,
il Comune vuole fare nascere da quei terreni improduttivi e da quei
fabbricati abbandonati, confiscati ai mafiosi, un’opportunità di
sviluppo, mediante il loro utilizzo in modo produttivo e a fini
sociali con l’obbiettivo di creare nuove opportunità occupazionali
tra i disoccupati del territorio prevenendo e recuperando condizioni
di disagio ed emarginazione. Coerentemente con questo programma
tanto è stato fatto da giugno 2005 ad oggi. Così si è proceduto fin
dall’insediamento ad effettuare il monitoraggio di tutti i beni
confiscati alla mafia assegnati al Comune di Partinico. Effettuato
il monitoraggio si è proceduto ad identificare immediatamente tutti
i beni con l’apposizione di tabelle identificative ed a effettuare
interventi di pulizia degli stessi, per manifestare alla società
civile che ciò che le era stato sottratto con la forza
dell’intimidazione veniva restituito alla stessa. Si sono attivate e
portate a termine favorevolmente le procedure volte a tutelare la
proprietà su taluni beni confiscati alla mafia e siti in Contrada
Parrini. In particolare si è proceduto allo sgombero di circa
5 ettari
di terreni da chi li deteneva senza titolo, e si è posto fine ad una
questione irrisolta che si protraeva da tempo. I terreni una volta
sgomberati sono rientrati nella disponibilità della Cooperativa alla
quale erano stati concessi per metterli finalmente in produzione
dopo tanti anni.
In costante
rapporto con la Polizia Municipale si sono effettuati continui
controlli su tutti i beni per prevenire possibili turbative da parte
di terzi.
Si sono
attivate le procedure per assumere finalmente dopo anni tutti i
giovani che dovranno essere assunti nell’ambito delle Stanze della
legalità. In particolare su un bene confiscato sito a Partinico in
Via Pia sorgerà la Stanza della Legalità di Partinico. Si verrà a
creare una rete tra i 22 Comuni della Convenzione tra Comuni “Nuove
Generazioni” che consentirà di diffondere e rafforzare la cultura
della legalità nel territorio con iniziative a sostegno della
stessa.
È stato
concesso dal Ministero dell’Interno con i fondi del PON SICUREZZA,
un finanziamento di quasi 80.000 euro per la ristrutturazione del
bene confiscato su Partinico in Via Enrico Fermi dove sorgerà un
centro di aggregazione delle associazioni, presenti nel territorio
dei comuni aderenti al Progetto Nuove Generazioni, impegnate nella
lotta per rafforzare la cultura della legalità nel territorio
(associazioni antiracket, associazioni antimafia, ecc…) affinché si
crei un luogo che costituisca momento di incontro e di analisi delle
stanze provenienti da tutto il territorio in materia di legalità,
ossia un front office delle associazioni al servizio del territorio
che oltre a dare informazioni agli utenti su tutte le iniziative
inerenti la legalità che si attuano nel territorio si possa rendere
promotore di nuove iniziative con il coinvolgimento del tessuto
associativo della zona, volta a diffondere la cultura della
legalità.
Si procederà a breve ad assegnare tutti gli altri beni mediante
appositi bandi pubblici che ne consentiranno l’uso per finalità
produttive e sociali a giovani del territorio. Al fine di
incrementare il patrimonio confiscato alla mafia insistente sul
territorio di Partinico è stato avanzata formale richiesta allo
Stato per l’assegnazione al Comune.
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UN PARTINICESE ELETTO AL SENATO
Non tutti lo
sanno ma un partinicese è stato eletto al Senato della Repubblica
nelle liste del Partito della Rifondazione Comunista. Si tratta di
Salvatore Bonadonna, compagno che negli anni è stato prima impegnato
nel sindacato e poi nel nostro Partito. Ma conosciamolo meglio in
questa sua breve biografia.
“Sono nato a Partinico nel 1942. Mio padre, insegnante, e mia madre,
casalinga, curavano anche una piccola azienda agricola ereditata dal
nonno. Ho due fratelli. Da studente liceale ho iniziato l’attività
politica collaborando con il Centro studi e iniziative per la piena
occupazione di Danilo Dolci e con l’Ufficio studi regionali della
Cgil siciliana. Ho partecipato all’inchiesta sui proprietari
espropriandi per la costruzione della diga sullo Jato e poi, sotto
la direzione di Carlo Doglio, alle ricerche per il Piano di sviluppo
dell’Alto e Medio Belice. Nel ’65, ho coordinato l’inchiesta operaia
sul Petrolchimico di Priolo. Ho militato nella sinistra di Riccardo
Lombardi nella Federazione Giovanile Socialista e nel PSI. In quegli
anni inizia la comunanza politica e l’amicizia con Fausto
Bertinotti. Ho scelto l’impegno nella Cgil, prima come segretario
della Camera del lavoro di Siracusa, fino alla strage di Avola, poi
nella segreteria della Camera del lavoro di Venezia. Contrario
all’unificazione socialdemocratica, nel ’67, ho aderito nel Psiup,
fino alla confluenza nel PCI. Dal ’72 al ’79 ho diretto il Centro
studi e formazione sindacale di Ariccia. In seguito, sono stato
segretario della Cgil di Roma e del Lazio e poi segretario generale
aggiunto del sindacato delle telecomunicazioni. Come responsabile
del “progetto diritti” della Cgil ho partecipato al primo campo
della solidarietà per i lavoratori immigrati a Villa Literno.
Promotore, assieme a Fausto Bertinotti, della costruzione della
sinistra sindacale che ha dato vita alla mozione “Essere Sindacato”,
nel ’91 sono stato eletto alla Segreteria nazionale del sindacato
trasporti. Nel ’92, insieme al gruppo dei sindacalisti che si erano
opposti allo scioglimento del Pci, ho aderito a Rifondazione
Comunista. Chiamato dal partito a guidare la lista per le elezioni
regionali del ’95 nel Lazio, sono stato Assessore all’Urbanistica e
alla casa. Capogruppo nella legislatura che si è conclusa nel 2005,
ho rappresentato l’opposizione comunista alla politica della destra
e di Storace. Attualmente sono responsabile del Dipartimento
Mezzogiorno del Partito. Sono divorziato, ho un figlio e attualmente
convivo. Tre argomenti che mi stanno a cuore: sono le politiche
territoriali partendo dal diritto all’abitare per tutte e per tutti;
i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente; il sistema di
regole e di rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie.
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