Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" - Partinico (PA)                         

Circolo di Partinico

APRILE - MAGGIO 2006 #3

Sommario:

Indagati, imputati, arrestati: l'UDC c'entra quasi sempre.

Per una casa. Lotta tra poveri.

La generazione che ha cacciato Berlusconi.

Tre donne e un'ex tuta blu dal PRC nella lista unitaria

Generazione Cpe la lezione francese e i giovani italiani

Beni confiscati alla mafia: un anno di attività dell’Assessore Tranchina

Un partinicese eletto al Senato

 

 

In 5 anni di legislatura è lungo l’elenco di esponenti del partito coinvolti in inchieste

Indagati, imputati, arrestati: l’Udc

c’entra (quasi) sempre

 E’ il 15 febbraio 2006. Gigi Tomasino ascolta la sentenza dei giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo: «Condannato a due anni e 6 mesi di reclusione per turbativa d’asta e falso, con l’aggravante di avere avvantaggiato Cosa nostra». Per l’ex capogruppo dell’Udc alla Provincia di Palermo, dunque, si aprono le porte del carcere. Ma il nome di Tomasino è solo l’ultimo di un lungo elenco di esponenti Udc arrestati, imputati in processi di mafia, indagati o tirati in ballo dai pentiti in questi cinque anni di legislatura del centrodestra in Sicilia. Dal 2001 ad oggi il simbolo del partito di Salvatore Cuffaro, numero 2 a livello nazionale ma deus ex machina degli eredi della Democrazia cristiana, è salito diverse volte alla ribalta della cronaca giudiziaria. Amministratori, deputati e perfino un sottosegretario di Stato sono coinvolti, a vario titolo, in inchieste aperte nei Palazzi di giustizia di mezza Sicilia: da Palermo a Catania, da Trapani a Caltanissetta.

I guai giudiziari di Cuffaro, imputato per favoreggiamento nel processo per le talpe alla Dda di Palermo e che vede al centro dell’inchiesta il “re” della sanità privata Michele Aiello (considerato prestanome del padrino Bernardo Provenzano), sono solo la punta di un iceberg. Vincenzo Lo Giudice, mister 21 mila voti ad Agrigento, è alla sbarra per associazione mafiosa. All’ex assessore regionale Udc sono appena stati sequestrati beni per oltre 5 milioni di euro; sotto il mattone della sua camera, gli investigatori hanno trovato 250 mila euro ritenuti frutto di tangenti. Lo Giudice fu arrestato il 29 marzo 2004 nell’ambito dell’operazione “Alta mafia”, assieme ad altre 42 persone, tra cui altri due colleghi di partito: Salvatore Iacono e Gaetano Scifo, consigliere ed ex consigliere ad Agrigento; Rino Lo Giudice (Udc), figlio del deputato, finì nel registro degli indagati e si dimise da presidente del consiglio provinciale di Agrigento. Giuseppe Salvatore Gambino, sindaco di Roccamena ed eletto in una lista civica vicina all’Udc, sotto il mattone non teneva nulla, in compenso conservava una pistola nel cassetto del suo ufficio in municipio. Arrestato lo scorso 7 febbraio per concorso in associazione mafiosa, Gambino è ritenuto dagli inquirenti il factotum del boss Bartolomeo Cascio. Così come “organico a Cosa nostra” è considerato Vincenzo Giannone, in quota Udc e presidente del Consiglio comunale di Riesi (Caltanissetta), arrestato nel corso dell’operazione “Odessa”. Di maggiore peso, nell’Udc, era David Costa, deputato regionale ed assessore alla presidenza nella giunta Cuffaro, finito in manette nel novembre del 2005, per concorso in associazione mafiosa. Secondo l’accusa Costa «era interessato a ricevere il sostegno della famiglia mafiosa di Marsala (Trapani)» durante la campagna elettorale del 2001 per le regionali, «a fronte di erogazione di somme di denaro». E promesse di denaro oltre che di posti di lavoro per ottenere i voti della mafia del trapanese, avrebbe fatto Onofrio Fratello, altro deputato regionale Udc ed ex vice sindaco a Erice, accusato di concorso in associazione mafiosa. Altro big finito nelle maglie della giustizia è Salvatore Cintola, attuale assessore regionale al Bilancio, indagato per concorso in associazione mafiosa. Per due volte le indagini su Cintola erano state archiviate, ma dopo le dichiarazioni del donna-boss pentita Giusy Vitale, il fascicolo è stato riaperto. L’assessore è indicato come «amico personale» del capomafia Giovanni Brusca (ora pentito) e fra gli uomini politici coinvolti nel progetto di Leoluca Bagarella che voleva realizzare il partito di Cosa nostra “Sicilia Libera”.

Di Cintola parlano i pentiti Antonino Calvaruso, Balduccio Di Maggio, Mario Santo Di Matteo e Tullio Cannella. Più critiche le posizioni di Antonio Borzacchelli, ex maresciallo dei carabinieri, eletto deputato regionale nell’Udc e arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulle talpe alla Dda, che coinvolge anche il governatore Cuffaro; e quella di Domenico Miceli, ex assessore Udc nella giunta Cammarata a Palermo, arrestato per associazione mafiosa e accusato di essere il referente del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e la cerniera tra il clan e la politica. L’inchiesta su Miceli coinvolge altri esponenti dell’Udc: Roberto Carcione, consigliere comunale a Bagheria, e Leonardo D’Arrigo, consigliere comunale a Palermo, inscritto nel registro degli indagati per rivelazione di segreto d’ufficio e abuso d’ufficio, aggravato dal fatto che avrebbe avvantaggiato Cosa nostra. Tra i due spicca, però, il nome di Saverio Romano, sottosegretario al Lavoro nel governo Berlusconi, anche lui indagato per concorso in associazione mafiosa, e tirato in ballo dal neo pentito Francesco Campanella, ex presidente del Consiglio comunale di Villabate, in quota Udc e gola profonda della Procura di Palermo. Campanella, che ha svelato agli inquirenti particolari sulla latitanza di Provenzano, accusa Romano di essere stato eletto grazie ai voti della cosca mafiosa di Bagheria. Chi non è stato sfiorato da indagini è Massimo Grillo, ex capogruppo Udc in Commissione nazionale Antimafia e acerrimo oppositore di Totò Cuffaro. Con le sue denunce, Grillo ha contribuito a svelare gli intrecci tra mafia e politica nel trapanese, mettendo nei guai suoi colleghi di partito. Ecco perché è stato fatto fuori dal partito.

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PER UNA CASA. LOTTA TRA I POVERI

Pur di esprimere pesanti giudizi sull’Amministrazione comunale del Sindaco Motisi (il che è assolutamente consentito a tutti se ciò esalta, però, la VERITA’) oramai si utilizzano tutti gli strumenti disponibili, esasperano le occasioni, si scatenano addirittura le guerre tra i poveri. Così è avvenuto recentemente a proposito dell’uso di un alloggio popolare conteso tra due famiglie che, artatamente, sono state messe di fronte assegnando loro un ruolo di contendenti piuttosto che accomunarli nello stesso bisogno e, partendo da questo, costruire un percorso politico che porti alla soluzione non solo dei singoli problemi ma soprattutto quelli collettivi. In una parola: piuttosto che esasperare le singole necessità, serietà vuole che si lavori alla costruzione di un sistema di solidarietà per mettere insieme le necessità, farle diventare richiesta collettiva e quindi forza contrattuale nei confronti di un’Amministrazione comunale che ad oggi, lo avvertiamo anche noi, non ha messo mano ad “una politica della casa” capace di mettere ordine, intanto, nel patrimonio di alloggi cosiddetti popolari di cui la città dispone. Se non altro per porre fine a speculazioni, clientele, prevaricazioni, confusione. Oggi più che mai si avverte la necessità di istituire un apposito Assessorato alla Casa. E’, questa, dunque l’occasione per incominciare a discutere di questo problema e lo vogliamo fare noi di Rifondazione Comunista. La nostra città, oggi, dispone di un patrimonio di alloggi pubblici (cioè di proprietà dell’IACP -Istituto Autonomo Alloggi Popolari) che si contano a centinaia. Sono, in linea generale, frutto di lotte dei Comunisti di Partinico non solo e non tanto per costruirle (anche questo) ma per assegnarle secondo criteri di equità e rispetto delle regole. I Comunisti di Partinico hanno dovuto imporre una politica della casa a cominciare dagli anni ’70, quando della casa si aveva fame ed i poveri della città non erano nella condizione di costruirne una. E sul bisogno della casa si è anche speculato, si sono fatti affari. Affari dentro cui la mafia locale ha anche immerso le mani. Sono, dunque, centinaia gli alloggi dislocati nei punti diversi della città: via Ungaretti, viale Aldo Moro, via Ragona a monte, contrada Raccuglia, 108 alloggi . E poi, negli anni successivi e a cominciare dagli anni ’80, tutto il patrimonio delle cooperative di edilizia popolare. Anni di lotte dei comunisti di Partinico, di lotte e di sacrifici che hanno permesso di dare una risposta, comunque sia, ad una primaria necessità. Certo le Amministrazioni, nessuna esclusa,  hanno mai posto attenzione alla costruzione organica di una politica che valorizzasse, disciplinasse l’uso di questo grande patrimonio. Né alcuno si è mai impegnato nel rendere chiaro il rapporto tra Comune, cittadini, IACP. Per cui, anche oggi, non sempre si definiscono e chiariscono le competenze. Chi deve assegnare un alloggio? Chi deve verificare la legalità dell’assegnazione? Chi deve intervenire nel soddisfare i bisogni di un patrimonio che spesso va in disfacimento? Sono tutti interrogativi su cui bisogna riflettere per costruire quel percorso politico-amministrativo che mette ordine, legalizza, soddisfa. Se non si inizia da questo è difficile che coloro ai quali interessa mestare nel torbido ed approfittare delle situazioni per scatenare le guerre tra poveri, possano venire smascherati.

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La generazione che ha cacciato Berlusconi

Il dato politico più importante è che Berlusconi ha perso. L’esito elettorale del Partito ci obbliga ad alcune riflessioni importanti per la definizione della nostra iniziativa politica e del lavoro che ci attende nel futuro. Lo straordinario (e inatteso) risultato del Senato - oltre 2 milioni e mezzo di voti, pari al 7,4% - così come il dato di sostanziale mantenimento alla Camera, con oltre 2 milioni e duecentomila voti, pari al 5,8%, un dato che in termini assoluti è superiore a quello delle europee. Per questo non ho condiviso alcuni autorevoli interventi pubblicati anche dal nostro giornale. In particolare mi trovo in disaccordo con la tesi che vedrebbe deludente il voto giovanile per Rifondazione. Ma altrettanto in disaccordo con chi legge il successo della lista Ulivo solo con la lente della personalizzazione della politica. Certo c’è stata l’assonanza Ulivo-Prodi, ma quella lista ha rappresentato (e rappresenta tuttora) per molti elettori di sinistra l’embrione di un progetto politico forte: quello del partito democratico. Paolo Natale (docente di studi sociali e politici all’Università di Milano) ha elaborato una prima analisi del voto ricostruendo i flussi elettorali e guardando il flusso di voto “sincronico” (ovvero quelli tra Camera e Senato), Natale sostiene che l’Ulivo è stato scelto da quasi la totalità degli elettori al Senato di DS e Margherita, e da ben oltre il 10% del nostro elettorato superiore ai 25 anni. Certo nulla è scontato, perché non basta il risultato elettorale dell’Ulivo ad inverare la soggettività politica, sarà piuttosto soprattutto la volontà dei gruppi dirigenti di DS e Margherita a definire questo percorso. Insomma ridurre il successo dell’Ulivo nel successo della “personalità” Prodi non credo che ci aiuti a comprendere a fondo la sfida che ci pone l’avvento del partito democratico, proprio per quella capacità attrattiva che ha già dimostrato col suo risultato elettorale, superiore infatti alla somma dei voti di DS e Margherita. Questo progetto ha richiamato anche una parte del nostro elettorato oltre i 25 anni, mentre il risultato di mantenimento alla Camera è dovuto proprio alla nostra capacità di attrarre il voto giovanile.

Se fosse vero il contrario, avremmo almeno dovuto mantenere alla Camera in voti assoluti il dato del Senato. Insomma ritengo che una parte del nostro elettorato abbia votato disgiuntamente noi al Senato e l’Ulivo alla Camera. Guardiamo il dato elettorale alla Camera nelle realtà metropolitane: a Napoli e Palermo dove in termini assoluti prendiamo più voti alla Camera che al Senato, mentre Roma, Milano, Firenze, Torino, Venezia, Bari ci consegnano un risultato superiore alla media nazionale, e guardiamo anche quello di alcune realtà protagoniste di forti movimenti sociali, nella Basilicata della lotta contro le scorie conquistiamo per la prima volta un seggio alla Camera e uno al Senato, a Bussoleno (il comune protagonista delle giornate No tav) siamo per la prima volta il primo partito, ad Acerra (dove siamo stati accanto al movimento contro l’inceneritore) raddoppiamo il dato rispetto alle regionali. Questo sguardo ci dice che il voto giovanile ci premia ulteriormente lì dove il nostro partito ha avuto, per le condizioni sociali e politiche, la possibilità lavorare con generosità alle iniziative del movimento dei movimenti. Inoltre secondo Swg tra i giovani (tra 18 e 24 anni) l’Unione vince sulla Cdl (42,1% contro il 34,6%), e secondo la stessa analisi tra gli “esordienti” almeno il 13% dichiaravano di votare per Rifondazione! Un risultato sul quale pesa molto la capacità del nostro partito, ma soprattutto del movimento, di fare entrare la precarietà nel lessico della politica. Di fronte alla precarietà come prospettiva di vita per molti giovani, l’Unione - anche grazie alla nostra iniziativa - ha saputo controbattere all’arrocamento della Cdl a difesa della legge 30. Eppure l’astensione è ancora la scelta di tanti giovani. Il 23,3% degli elettori esordienti (e quindi in un’età compresa tra 18 e 23 anni) ha disertato le urne, mentre l’astensione media è stata del 17%. E’ un dato alto che non va sottovalutato: la politica non riesce a stabilire con tanti giovani nessuna relazione, rimane distante, anzi il disinteresse reciproco aumenta. Riconquistare alla politica chi oggi la vede con diffidenza, diventa per noi prioritario nella costruzione dell’iniziativa politica, anche da qui passa il rafforzamento della sinistra d’alternativa in questo paese e in Europa.

Sergio Boccadutri, esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti/e

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“Uniti per la Sicilia”, collegio di Palermo. L’impegno antimafia, le battaglie pacifiste
e ambientaliste, il legame con la fabbrica nei profili dei candidati di Rifondazione

Tre donne e un’ex tuta blu dal Prc nella lista unitaria

Sono quattro, tre donne e un uomo, i candidati di Rifondazione comunista inseriti nella lista “Uniti per la Sicilia” nel collegio di Palermo per le elezioni regionali del 28 maggio. La più giovane è Cecilia Giordano, trentaduenne, psicologa, nata a Corleone. Si dichiara «tenacemente convinta della possibilità di cambiamento della nostra terra e della necessità di un diverso sviluppo dell’isola». Originaria del paese che ha dato i natali ai più noti boss di Cosa Nostra, da Totò Riina e Bernardo Provenzano, si è dedicata a condurre specifiche ricerche sui contesti familiari in cui si sviluppa l’organizzazione criminale. Il superamento della cultura mafiosa, quindi, è uno dei temi al centro della sua vita e dei suoi impegni professionali all’Università di Palermo, dove insegna, come precaria, presso le facoltà di Scienze della formazione e Medicina. Ha lavorato anche come educatrice di strada e per la salute psichica. Ha trascorsi da “tuta blu” Rosario Rappa, segretario regionale del partito, cinquant’anni, perito chimico, palermitano. Dal lavoro in fabbrica è passato, poi, all’esperienza sindacale. E’ stato per dieci anni leader dei metalmeccanici palermitani e siciliani. Poi, nel 2002, è stato nominato responsabile nazionale del settore aerospazio della Fiom-Cgil. Carica che ha ricoperto fino al 2005. E’ tra i fondatori del partito nell’isola e tra i membri del direttivo del Cepes di Nicola Cipolla. E’ archeologa, invece, Francesca Valbruzzi, 42 anni, funzionaria della Sovrintendenza di Palermo che vanta attività di ricerca nella catalogazione dei beni culturali, oltre che di insegnamento. «Il mio impegno politico - racconta - nasce dal movimento pacifista che si è sviluppato in Sicilia contro l’installazione dei missili a Comiso». Una scelta che si è naturalmente evoluta con l’adesione a Rifondazione comunista. Oggi, Francesca Valbruzzi fa parte della segreteria regionale del partito ed ha l’incarico di responsabile del settore Ambiente e territorio. «I beni culturali vivono una stagione di incertezza e precarietà - continua. - Il governo Cuffaro, infatti, ha contribuito a determinare questa crisi attraverso politiche fondate sul primato dell’economia e del mercato rispetto al campo del sociale che hanno prodotto l’utilizzo dei fondi di Agenda 2000 per astratti progetti di “valorizzazione” avulsi e spesso in contrasto con la tutela e la conservazione del territorio». Ultima candidata in “rosa” è Franca Maria Tranchina Aguglia. Funzionaria dell’Asl 6 di Palermo, in servizio presso l’ospedale di Partinico, dove vive con i due figli, studenti universitari. Attualmente ricopre un incarico istituzionale. E’ infatti, assessora alla Legalità e ai Beni confiscati alla mafia proprio presso il comune di Partinico.

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Generazione Cpe la lezione francese e i giovani italiani

In Francia resiste un’idea di bene pubblico, mentre in Italia il berlusconismo diffuso lo ha sostituito con il privato. Ora la chiamano “generazione Cpe”: ha vinto uno scontro durissimo con in governo di centro destra francese e può giocare un ruolo fondamentale nel voto delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Dicevano che i giovani sono individualisti e passivi, ora si impongono nel dibattito politico, costringendo tutti, destra e sinistra, a interrogarsi sulle caratteristiche di questo movimento, che ha tenuto in scacco la Francia per tre mesi e fatto cambiare la legge. Uno scontro sociale che già ha influito sui rapporti tra e nei singoli schieramenti facendo sprofondare il presidente della repubblica Jacques Chirac e il suo primo ministro Dominique de Villepin. La maggior parte di loro si dichiara di sinistra, ma senza un partito specifico: “La nostra vittoria più grande - dichiarano i portavoce degli studenti - non è la morte del Cpe, ma la presa di coscienza politica dei giovani”. E in Italia, esiste una “generazione contro la precarietà”? E perché non ha dato luogo a una stessa vertenza generale? E quanto hanno contato i voti dei giovani nella vittoria dell’Unione? Cominciamo allora col precisare che, dalle prime indagini sui flussi elettorali, i votanti tra i 18 e i 23 anni avrebbero premiato l’Unione per il 42,1%, mentre alla CdL sarebbe andato il 34,6%, e allo stesso tempo aumenterebbe la percentuale di astensioni che passa da una media del 17% al 23,3%. Cosa ci sta, dunque, dentro questo voto e questo non voto? Chi ha fatto la campagna elettorale ha colto come la condizione di precarietà sia decisamente la più sentita: quella che ti segna nel lavoro e nella vita, che ti nega l’autonomia economica e la dignità, i desideri e i progetti. E non vi è dubbio che l’attesa più grande del programma del governo Prodi, fra i giovani e le loro famiglie, riguarda la questione della legge 30. La precarietà è il cuore delle politiche neo-liberiste in Europa e nel mondo. Per questo, già in questi giorni, prima ancora di insediare il governo, il confronto tra economisti e politici, anche all’interno dell’Unione, riguarda questo nodo. Perché, allora, una vicenda che costringe milioni di ragazzi a lavorare con contratti capestro e a vivere in famiglia fino ai 30 anni non esplode con le caratteristiche francesi? La risposta sta forse in una diversa concezione dello Stato. “Lo Stato siamo noi” dicono i cittadini francesi, e dalla rivoluzione francese in poi hanno una idea della polis che non li rende disponibili a farsi mettere i piedi in testa dal governo e pretendono da questo, di qualunque colore sia, di uniformarsi alla loro volontà. In Italia, abbiamo un sud dove, da sempre, sono abituati ad arrangiarsi, a non far conto sui diritti che le istituzioni dovrebbero garantire e a scambiare questi come favori, ad emigrare quando non ce la si fa più. E infatti sono riprese le migrazioni verso il nord. E abbiamo un nord, in cui comunque permangono le conquiste delle generazioni precedenti, perciò la famiglia può svolgere un’azione di supplenza, e assorbire i disastri delle politiche neo-liberiste, diventando a tutti gli effetti un modello di welfare sostitutivo. Così, in Italia, le grandi manifestazioni di piazza sono state quelle contro la guerra e contro la riforma Moratti, e le occupazioni di scuole e università riguardano la parcellizzazione del sapere e la selezione di classe. Gli anni del dopo Genova 2001 hanno conosciuto vertenze straordinarie: da quelle alla Fiat di Melfi e Termini Imerese a quelle territoriali di Scanzano e della Val di Susa, a quelle de metalmeccanici. Ma è mancata l’unificazione di queste lotte e solo le realtà più politicizzate dei movimenti hanno ragionato sulla precarietà in tutti i suoi aspetti. Solo recentemente la May Day milanese, iniziativa propria di qualche centro sociale, è cresciuta e si è trasformata in un appuntamento anche per la Fiom e qualche partito come Rifondazione comunista. Le lotte francesi hanno invece alle spalle un lungo percorso di lotte per l’inclusione sociale: dalla marcia contro il razzismo al movimento altermondialista passando per le lotte dei sans-papiers e quelle degli intermittenti. I francesi hanno riconosciuto la faccia del liberismo nelle centinaia di pagine del trattato costituzionale europeo e perciò lo hanno bocciato e oggi vincono sul Cpe. Vi sono tante ragioni politiche, anche soggettive, su cui interrogarci, ma la principale riguarda forse la cultura delle istituzioni, che se da una parte non impedisce l’esplodere del dramma dell’esclusione, nelle banlieuses parigine, dall’altra dà luogo a mediazioni sociali, tipiche di una società post-fordista di lontana memoria. Un’idea di bene pubblico cioè, che in Francia ancora sopravvive alla crisi dello Stato nazione, mentre in Italia il berlusconismo diffuso lo ha sostituito con il privato, nel senso dell’interesse personale, e con una devastazione culturale tendente a deprivare i giovani di qualsiasi capacità oppositiva o esercizio critico. Non ci si può meravigliare dunque, se, dentro una preferenza di voto a sinistra, aumenta in Italia la percentuale delle astensione fra i giovani. Parliamo di ragazzi che non hanno conosciuto lo stato sociale, e che perciò nel sud posssono incontrare la rassegnazione e in un nord ancora produttivo vivere uno smarrimento complessivo che si rifugia nei localismi e produrre “comunità guardaroba” e “personalità liquide” (Z. Bauman). Se Rifondazione Comunista, in una società dell’incertezza che produce rifiuti umani, ancora riesce a intercettare una parte di questi voti, lo deve a questi anni di movimento, al senso di appartenenza che per qualche tempo hanno saputo determinare Genova e i disobbedienti. Oggi, molti di questi giovani hanno votato a sinistra non solo per interessi materiali, ma sperando che cambi un clima politico e culturale, che si inverta una tendenza autoritaria che ti mette in galera per uno spinello, che non tollera alcuna forma di cosiddetta illegalità, o che considera trasgressioni intollerabili le scelte affettive o sessuali fuori dalle regole di Santa romana chiesa. Ma quanti, in quel 10% dell’elettorato tra i 18 e i 23 anni che aveva per la prima volta diritto al voto, vengono raggiunti dai protagonisti dei movimenti di questi anni? E fino a che punto i luoghi di incontro che sopravvivono nelle metropoli, in particolare i tanti e diversi centri sociali, riescono a parlare il linguaggio della politica vera, quella che ti aiuta a prendere coscienza? Naturalmente non sono questioni che riguardano i giovani comunisti. Riguardano invece tutti noi, la Sinistra europea, e anche il prossimo governo dell’Unione. Se è vero che in ricerche prodotte su un terreno più filosofico o sociologico, si può affermare che i giovani di oggi avvertono un vuoto di autorità, intesa come figura autorevole e che in generale avvertono la mancanza di “adulti attraenti“ che non indulgano ad atteggiamenti giovanilistici, potremmo provare a trasferire analisi e interrogativi sul piano più politico. C’è un bisogno di “fare società” che investe le responsabilità di governo e c’è un’urgenza di rinnovamento nella cultura politica che investe anche noi e il progetto della sinistra europea. L’Unione per ora riesce a dare speranza alla maggioranza di questi giovani, ma il problema del consenso non é risolto. Le rivolte giovanili si possono esprimere in diversi modi e tra qualche tempo si manifesteranno anche in Italia: se porteranno in piazza milioni di persone potremo dire di aver lavorato bene, se viceversa si consumeranno silenziosamente nelle competizioni e negli egoismi individuali, vorrà dire che Berlusconi sarà sopravvissuto a sé stesso.

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Beni confiscati alla mafia: un anno di attività dell’Assessore Tranchina

In conformità allo spirito della Legge 31.05.65 n.575 e successive modifica ed integrazioni e alle prescrizioni dei decreti di destinazione, che prevedono un utilizzo per finalità sociali dei beni confiscati alla mafia, nonché per l’alto valore simbolico che rappresenta nel territorio il pieno utilizzo di tutti i beni confiscati alla mafia, il Comune vuole fare nascere da quei terreni improduttivi e da quei fabbricati abbandonati, confiscati ai mafiosi, un’opportunità di sviluppo, mediante il loro utilizzo in modo produttivo e a fini sociali con l’obbiettivo di creare nuove opportunità occupazionali tra i disoccupati del territorio prevenendo e recuperando condizioni di disagio ed emarginazione. Coerentemente con questo programma tanto è stato fatto da giugno 2005 ad oggi. Così si è proceduto fin dall’insediamento ad effettuare il monitoraggio di tutti i beni confiscati alla mafia assegnati al Comune di Partinico. Effettuato il monitoraggio si è proceduto ad identificare immediatamente tutti i beni con l’apposizione di tabelle identificative  ed a effettuare interventi di pulizia degli stessi, per manifestare alla società civile che ciò che le era stato sottratto con la forza dell’intimidazione veniva restituito alla stessa. Si sono attivate e portate a termine favorevolmente  le procedure volte a tutelare la proprietà su taluni beni confiscati alla mafia e siti in Contrada Parrini. In particolare si è proceduto allo sgombero di circa 5 ettari di terreni da chi li deteneva senza titolo, e si è posto fine ad una questione irrisolta che si protraeva da tempo. I terreni una volta sgomberati sono rientrati nella disponibilità della Cooperativa alla quale erano stati concessi per metterli finalmente in produzione dopo tanti anni.

In costante rapporto con la Polizia Municipale si sono effettuati continui controlli su tutti i beni per prevenire possibili turbative da parte di terzi.

Si sono attivate le procedure per assumere finalmente dopo anni tutti i giovani che dovranno essere assunti nell’ambito delle Stanze della legalità. In particolare su un bene confiscato sito a Partinico in Via Pia sorgerà la Stanza della Legalità di Partinico. Si verrà a creare una rete tra i 22 Comuni della Convenzione tra Comuni “Nuove Generazioni” che consentirà di diffondere e rafforzare la cultura della legalità nel territorio con iniziative a sostegno della stessa.

È stato concesso dal Ministero dell’Interno con i fondi del PON SICUREZZA, un finanziamento di quasi 80.000 euro per la ristrutturazione del bene confiscato su Partinico in Via Enrico Fermi dove sorgerà un centro di aggregazione delle associazioni, presenti nel territorio dei comuni aderenti al Progetto Nuove Generazioni, impegnate nella lotta per rafforzare la cultura della legalità nel territorio (associazioni antiracket, associazioni antimafia, ecc…) affinché si crei un luogo che costituisca momento di incontro e di analisi delle stanze provenienti da tutto il territorio in materia di legalità, ossia un front office delle associazioni al servizio del territorio che oltre a dare informazioni agli utenti su tutte le iniziative inerenti la legalità che si attuano nel territorio si possa rendere promotore di nuove iniziative con il coinvolgimento del tessuto associativo della zona, volta a diffondere la cultura della legalità.

Si procederà a breve ad assegnare tutti gli altri beni mediante appositi bandi pubblici che ne consentiranno l’uso per finalità produttive e sociali a giovani del territorio. Al fine di incrementare il patrimonio confiscato alla mafia insistente sul territorio di Partinico è stato avanzata formale richiesta allo Stato per l’assegnazione al Comune.

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UN PARTINICESE ELETTO AL SENATO

Non tutti lo sanno ma un partinicese è stato eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito della Rifondazione Comunista. Si tratta di Salvatore Bonadonna, compagno che negli anni è stato prima impegnato nel sindacato e poi nel nostro Partito. Ma conosciamolo meglio in questa sua breve biografia.

“Sono nato a Partinico nel 1942. Mio padre, insegnante, e mia madre, casalinga, curavano anche una piccola azienda agricola ereditata dal nonno. Ho due fratelli. Da studente liceale ho iniziato l’attività politica collaborando con il Centro studi e iniziative per la piena occupazione di Danilo Dolci e con l’Ufficio studi regionali della Cgil siciliana. Ho partecipato all’inchiesta sui proprietari espropriandi per la costruzione della diga sullo Jato e poi, sotto la direzione di Carlo Doglio, alle ricerche per il Piano di sviluppo dell’Alto e Medio Belice. Nel ’65, ho coordinato l’inchiesta operaia sul Petrolchimico di Priolo. Ho militato nella sinistra di Riccardo Lombardi nella Federazione Giovanile Socialista e nel PSI. In quegli anni inizia la comunanza politica e l’amicizia con Fausto Bertinotti. Ho scelto l’impegno nella Cgil, prima come segretario della Camera del lavoro di Siracusa, fino alla strage di Avola, poi nella segreteria della Camera del lavoro di Venezia. Contrario all’unificazione socialdemocratica, nel ’67, ho aderito nel Psiup, fino alla confluenza nel PCI. Dal ’72 al ’79 ho diretto il Centro studi e formazione sindacale di Ariccia. In seguito, sono stato segretario della Cgil di Roma e del Lazio e poi segretario generale aggiunto del sindacato delle telecomunicazioni. Come responsabile del “progetto diritti” della Cgil ho partecipato al primo campo della solidarietà per i lavoratori immigrati a Villa Literno. Promotore, assieme a Fausto Bertinotti, della costruzione della sinistra sindacale che ha dato vita alla mozione “Essere Sindacato”, nel ’91 sono stato eletto alla Segreteria nazionale del sindacato trasporti. Nel ’92, insieme al gruppo dei sindacalisti che si erano opposti allo scioglimento del Pci, ho aderito a Rifondazione Comunista. Chiamato dal partito a guidare la lista per le elezioni regionali del ’95 nel Lazio, sono stato Assessore all’Urbanistica e alla casa. Capogruppo nella legislatura che si è conclusa nel 2005, ho rappresentato l’opposizione comunista alla politica della destra e di Storace. Attualmente sono responsabile del Dipartimento Mezzogiorno del Partito. Sono divorziato, ho un figlio e attualmente convivo. Tre argomenti che mi stanno a cuore: sono le politiche territoriali partendo dal diritto all’abitare per tutte e per tutti; i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente; il sistema di regole e di rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie.

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