Karl Marx - Friedrich Engels
Prefazione all'edizione tedesca del
1872
La "Lega dei Comunisti", associazione
internazionale operaia che, com'è ovvio date le condizioni di
allora, poteva essere soltanto associazione segreta, incaricò
i sottoscritti, al congresso tenuto a Londra nel novembre
1847, di redigire un programma teorico e pratico
particolareggiato del partito, destinato alla pubblicità. Così
nacque il Manifesto che segue, il cui manoscritto partì
per Londra per esservi stampato, poche settimane prima della
rivoluzione di febbraio. Pubblicato dapprima in tedesco, il
Manifesto è stato ristampato in questa lingua in
Germania, Inghilterra e America, in almeno dodici differenti
edizioni. In inglese apparve per la prima volta a Londra nel
1850, nel "Red Republican", tradotto da Miss Helen Macfarlane,
e poi in America nel 1871, in almeno tre differenti
traduzioni. In francese la prima volta a Parigi, poco prima
della insurrezione di giugno del 1848, e nuovamente nel "Le
Socialiste" di New York. E' in preparazione una nuova
tradizione. In polacco apparve a Londra, poco dopo la prima
edizione tedescca; in russo a Ginevra, negli anni dopo il '60.
Anche in danese venne tradotto poco dopo la prima
pubblicazione.
Per quanto negli ultimi venticinque anni la
situazione sia cambiata, i principi generali svolti in questo
Manifesto conservano anche oggi, nelle grandi linee,
tutta la loro giustezza. Qua e là si potrebbe correggere
qualche particolare. L'applicazione pratica di questi
principi, come dichiara il Manifesto stesso, dipenderà
sempre e dovunque dalle circostanze storiche del movimento;
quindi non si dà alcuna importanza particolare alle misure
rivoluzionarie proposte alla fine della sezione seconda.
Questo passo suonerebbe oggi diversamente sotto molti
rapporti. Di fronte all'immenso progresso della grande
industria negli ultimi venticinque anni e all'organizzazione
in partito della classe operaia che con quella è progredita,
di fronte alle esperienze pratiche della rivoluzione di
febbraio prima, e poi ancora molto più della Comune di Parigi,
nella quale il proletariato ha tenuto per la prima volta il
potere politico, per due mesi, questo programma è oggi
invecchiato in vari punti. La Comune ha, specialmente, fornito
la prova che "la classe operaia non può semplicemente prender
possesso della macchina statale bell'e pronta e metterla in
moto per i propri fini" (si veda la Guerra Civile in
Francia , Indirizzo del consiglio generale
dell'Associazione Internazionale degli operai, edizione
tedesca, p. 19, dove questo concetto è svolto più ampiamente).
Inoltre è ovvio che pei giorni nostri la critica della
letteratura socialista presenta delle lacune, perchè giunge
soltanto fino al 1847; così è ovvio che le osservazioni sulla
posizione dei comunisti rispetto ai vari partiti d'opposizione
(capitolo IV), benchè siano giuste anche oggi nelle linee
generali, tuttavia sono ormai invecchiate nei particolari, già
per la sola ragione che la situazione politica si è
trasformata totalmente, e perchè lo svolgimento della storia
ha fatto scomparire la maggior parte dei partiti ivi elencati.
Tuttavia, il Manifesto è un documento
storico, al quale non ci riconosciamo più il diritto di
apporre modifiche. Un'ulteriore edizione uscirà forse
accompagnata da un'introduzione che colmi il distacco fra il
1847 e oggi; ma la presente ristampa ci è giunta troppo
inaspettata per lasciarcene il tempo.
Londra, 24 giugno 1872.
Al lettore italiano
La pubblicazione del Manifesto del Partito
Comunista coincidette, si può dire, con la giornata del 18
marzo 1848, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino, che
furono l'alzata di scudi delle due nazioni situate nel centro,
l'una del continente europeo, l'altra del Mediterraneo, due
nazioni, fino allora infiacchite dalla divisione e dalle
discordie intestine, e passate, per conseguenza, sotto il
dominio straniero. Se l'Italia era soggetta all'imperatore
d'Austria, la Germania subiva il giogo, non meno effettivo
benchè più indiretto, dello zar di tutte le Russie. Le
conseguenze del 18 marzo 1848 liberarono l'Italia e la
Germania da codesta vergogna; se dal 1843 al 1871, queste due
grandi nazioni furono ricostituite e, in qualche modo, rese a
se stesse, ciò avvenne, come diceva Carlo Marx, perchè gli
uomini che hanno abbattuta la rivoluzione del 1848, ne furono,
loro malgrado, gli esecutori testamentari.
Dappertutto quella rivoluzione fu l'opera
della classe operaia; fu questa, che fece le barricate e pagò
di persona. Solo gli operai di Parigi, rovesciando il Governo,
avevano l'intenzione ben determinata di rovesciare il regime
della borghesia. Ma, per quanto essi avessero coscienza
dell'antagonismo fatale che esisteva fra la loro propria
classe e la borghesia, né il progresso economico del paese, né
lo sviluppo intellettuale delle masse operaie francesi, erano
giunti al grado che avrebbe resa possibile una ricostruzione
sociale. I frutti della rivoluzione furono dunque, in ultima
analisi, raccolti dalla classe capitalista. Nelle altre
nazioni, in Italia, in Germania, in Austria, gli operai non
fecero, da principio, che portare al potere la borghesia. Ma
in qualsiasi paese il regno della borghesia non è possibile
senza l'indipendenza nazionale. La rivoluzione del 1848 doveva
dunque trarsi dietro l'unità e l'autonomia delle nazioni che
fino allora ne mancavano: l'Italia, la Germania, l'Ungheria.
La Polonia seguirà alla sua volta.
Se dunque, la rivoluzione del 1842 non fu una
rivoluzione socialista, essa spianò la via, preparò il terreno
a quest'ultima. Collo slancio dato, in ogni paese, alla grande
industria, il regime borghese di questi ultimi quarantacinque
anni ha creato, dovunque, un proletariato numeroso,
concentrato e forte; allevò dunque, per usare l'espressione
del Manifesto , i suoi propri seppellitori. Senza
l'autonomia e l'unità restituite a ciascuna nazione né
l'unione internazionale del proletariato, né la tranquilla e
intelligente cooperazione di coteste nazioni verso fini comuni
potrebbero compiersi. Immaginate, se vi riesce, un'azione
internazionale comune degli operai italiani, ungheresi,
tedeschi, polacchi, russi, nelle condizioni politiche
precedenti al 1848!
Così, le battaglie del 1848 non furono date
indarno; del pari non passarono indarno i quarantacinque anni
che ci separano oggi da quella tappa rivoluzionaria. I frutti
vengono a maturanza, e tutto ciò ch'io desidero è che la
pubblicazione di questa versione italiana sia di buon augurio
per la vittoria del proletariato italiano, quanto la
pubblicazione dell'originale lo fu per la rivoluzione
internazionale.
Il Manifesto rende piena giustizia
all'azione rivoluzionaria che il capitalismo ebbe nel passato.
La prima nazione capitalista è stata l'Italia. Il chiudersi
del medioevo feudale, l'aprirsi dell'èra capitalista moderna
sono contrassegnati da una figura colossale; è quella di un
italiano, il Dante, al tempo stesso l'ultimo poeta del
medioevo e il primo poeta moderno. Oggidì, come nel 1300, una
nuova èra storica si affaccia. L'Italia ci darà essa il nuovo
Dante, che segni l'ora della nascita di questa nuova èra
proletaria?
Friedrich Engels
Londra, 1° febbraio 1893
Prefazione
Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo
spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa
si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo
spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e
poliziotti tedeschi.
Quale partito d'opposizione non è stato
tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual
partito d'opposizione non ha rilanciato l'infamante accusa di
comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell'opposizione
stessa, quanto sui propri avversari reazionari?
Da questo fatto scaturiscono due specie di
conclusioni.
Il comunismo è di già riconosciuto come
potenza da tutte le potenze europee.
E` ormai tempo che i comunisti espongano
apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere,
i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla
favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito
stesso.
A questo scopo si sono riuniti a Londra
comunisti delle nazionalità più diverse e hanno redatto il
seguente manifesto che viene pubblicato in inglese, francese,
tedesco, italiano, fiammingo e danese.
II. Proletari e Comunisti
In che rapporto sono i comunisti con i
proletari in genere?
I comunisti non sono un partito particolare
di fronte agli altri partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti
dagli interessi di tutto il proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui
quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri
partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi
mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni,
indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato,
nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il
fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento
complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi
dalla lotta fra proletariato e borghesia.
Quindi in pratica i comunisti sono la parte
progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi,
e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante
massa del proletariato, di comprendere le condizioni,
l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.
Lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso
di tutti gli altri proletari: formazione del proletariato in
classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista
del potere politico da parte del proletariato.
Le proposizioni teoriche dei comunisti non
poggiano affatto su idee, su princìpi inventati o scoperti da
questo o quel riformatore del mondo.
Esse sono semplicemente espressioni generali
di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di
un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.
L'abolizione di rapporti di proprietà esistiti fino a un dato
momento non è qualcosa di distintivo peculiare del comunismo.
Tutti i rapporti di proprietà sono stati
soggetti a continui cambiamenti storici, a una continua
alterazione storica.
Per esempio, la rivoluzione francese abolì la
proprietà feudale in favore di quella borghese.
Quel che contraddistingue il comunismo non è
l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione
della proprietà borghese.
Ma la proprietà privata borghese moderna è
l'ultima e la più perfetta espressione della produzione e
dell'appropriazione dei prodotti che poggia su antagonismi di
classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri.
In questo senso i comunisti possono
riassumere la loro teoria nella frase: abolizione della
proprietà privata. Ci si è rinfacciato, a noi comunisti che
vogliamo abolire la proprietà acquistata personalmente, frutto
del lavoro diretto e personale; la proprietà che costituirebbe
il fondamento di ogni libertà, attività e autonomia personale.
Proprietà frutto del proprio lavoro,
acquistata, guadagnata con le proprie forze! Parlate della
proprietà del minuto cittadino, del piccolo contadino che ha
preceduto la proprietà borghese? Non c'è bisogno che
l'aboliamo noi, l'ha abolita e la va abolendo di giorno in
giorno lo sviluppo dell'industria.
O parlate della moderna proprietà privata
borghese?
Ma il lavoro salariato, il lavoro del
proletario, crea proprietà a questo proletario? Affatto. Il
lavoro del proletario crea il capitale, cioè quella proprietà
che sfrutta il lavoro salariato, che può moltiplicarsi solo a
condizione di generare nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo
di nuovo. La proprietà nella sua forma attuale si muove entro
l'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i
due termini di questo antagonismo. Essere capitalista
significa occupare nella produzione non soltanto una pura
posizione personale, ma una posizione sociale.
Il capitale è un prodotto collettivo e può
essere messo in moto solo mediante una attività comune di
molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante l'attività
comune di tutti i membri della società.
Dunque, il capitale non è una potenza
personale; è una potenza sociale.
Dunque, se il capitale viene trasformato in
proprietà collettiva, appartenente a tutti i membri della
società, non c'è trasformazione di proprietà personale in
proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale
della proprietà. La proprietà perde il suo carattere di
classe.
Veniamo al lavoro salariato.
Il prezzo medio del lavoro salariato è il
minimo del salario del lavoro, cioè è la somma dei mezzi di
sussistenza che sono necessari per mantenere in vita l'operaio
in quanto operaio. Dunque, quello che l'operaio salariato
s'appropria mediante la sua attività è sufficiente soltanto
per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto
abolire questa appropriazione personale dei prodotti del
lavoro per la riproduzione della esistenza immediata,
appropriazione che non lascia alcun residuo di profitto netto
tale da poter conferire potere sul lavoro altrui. Vogliamo
eliminare soltanto il carattere miserabile di questa
appropriazione, nella quale l'operaio vive solo allo scopo di
accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige
l'interesse della classe dominante.
Nella società borghese il lavoro vivo è
soltanto un mezzo per moltiplicare il lavoro accumulato. Nella
società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per
ampliare, per arricchire, per far progredire il ritmo
d'esistenza degli operai.
Dunque nella società borghese il passato
domina sul presente, nella società comunista il presente
domina sul passato. Nella società borghese il capitale è
indipendente e personale, mentre l'individuo operante è
dipendente e impersonale.
E la borghesia chiama abolizione della
personalità e della libertà l'abolizione di questo rapporto! E
a ragione: infatti, si tratta dell'abolizione della
personalità, della indipendenza e della libertà del borghese.
Entro gli attuali rapporti di produzione
borghesi per libertà s'intende il libero commercio, la libera
compravendita.
Ma scomparso il traffico, scompare anche il
libero traffico. Le frasi sul libero traffico, come tutte le
altre bravate sulla libertà della nostra borghesia, hanno
senso, in genere, soltanto rispetto al traffico vincolato,
rispetto al cittadino asservito del medioevo; ma non hanno
senso rispetto alla abolizione comunista del traffico, dei
rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia.
Voi inorridite perché vogliamo abolire la
proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la
proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri;
la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove
decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire
una proprietà che presuppone come condizione necessaria la
privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della
società.
In una parola, voi ci rimproverate di volere
abolire la vostra proprietà.
Certo, questo vogliamo.
Appena il lavoro non può più essere
trasformato in capitale, in denaro, in rendita fondiaria,
insomma in una potenza sociale monopolizzabile, cioè, appena
la proprietà personale non può più convertirsi in proprietà
borghese, voi dichiarate che è abolita la persona.
Dunque confessate che per persona non
intendete nient'altro che il borghese, il proprietario
borghese. Certo questa persona deve essere abolita.
Il comunismo non toglie a nessuno il potere
di appropriarsi prodotti della società, toglie soltanto il
potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale
appropriazione.
Si è obiettato che con l'abolizione della
proprietà privata cesserebbe ogni attività e prenderebbe piede
una pigrizia generale.
Da questo punto di vista, già da molto tempo
la società borghese dovrebbe essere andata in rovina per
pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano, non guadagnano,
e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo
sbocca nella tautologia che appena non c'è più capitale non
c'è più lavoro salariato.
Tutte le obiezioni che vengono mosse al
sistema comunista di appropriazione e di produzione dei
prodotti materiali, sono state anche estese alla
appropriazione e alla produzione dei prodotti intellettuali,
come il cessare della proprietà di classe è per il borghese il
cessare della produzione stessa, così il cessare della cultura
di classe è per lui identico alla fine della cultura in
genere.
Quella cultura la cui perdita egli rimpiange,
è per la enorme maggioranza la preparazione a diventar
macchine.
Ma non discutete con noi misurando
l'abolizione della proprietà borghese sul modello delle vostre
idee borghesi di libertà, cultura, diritto e così via. Le
vostre idee stesse sono prodotti dei rapporti borghesi di
produzione e di proprietà, come il vostro diritto è soltanto
la volontà della vostra classe elevata a legge, volontà il cui
contenuto è dato nelle condizioni materiali di esistenza della
vostra classe.
Voi condividete con tutte le classi dominanti
tramontate quell'idea interessata mediante la quale
trasformate in eterne leggi della natura e della ragione, da
rapporti storici quali sono, transeunti nel corso della
produzione, i vostri rapporti di produzione e di proprietà.
Non vi è più permesso di comprendere per la proprietà borghese
quel che comprendete per la proprietà antica e per la
proprietà feudale.
Abolizione della famiglia! Anche i più
estremisti si riscaldano parlando di questa ignominiosa
intenzione dei comunisti.
Su che cosa si basa la famiglia attuale, la
famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Una
famiglia completamente sviluppata esiste soltanto per la
borghesia: ma essa ha il suo complemento nella coatta mancanza
di famiglia del proletario e nella prostituzione pubblica.
La famiglia del borghese cade naturalmente
col cadere di questo suo complemento ed entrambi scompaiono
con la scomparsa del capitale.
Ci rimproverate di voler abolire lo
sfruttamento dei figli da parte dei genitori? Confessiamo
questo delitto. Ma voi dite che sostituendo l'educazione
sociale a quella familiare noi aboliamo i rapporti più cari.
E anche la vostra educazione, non è
determinata dalla società? Non è determinata dai rapporti
sociali entro i quali voi educate, dalla interferenza più o
meno diretta o indiretta della società mediante la scuola e
così via? I comunisti non inventano l'influenza della società
sull'educazione, si limitano a cambiare il carattere di tale
influenza, e strappano l'educazione all'influenza della classe
dominante.
La fraseologia borghese sulla famiglia e
sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli
diventa tanto più nauseante, quanto più, per effetto della
grande industria, si lacerano per il proletario tutti i
vincoli familiari, e i figli sono trasformati in semplici
articoli di commercio e strumenti di lavoro.
Tutta la borghesia ci grida contro in coro:
ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne.
Il borghese vede nella moglie un semplice
strumento di produzione. Sente dire che gli strumenti di
produzione devono essere sfruttati in comune e non può
naturalmente farsi venire in mente se non che la sorte della
comunanza colpirà anche le donne.
Non sospetta neppure che si tratta proprio di
abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di
produzione.
Del resto non c'è nulla di più ridicolo del
moralissimo orrore che i nostri borghesi provano per la
pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I
comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle
donne; essa è esistita quasi sempre.
I nostri borghesi, non paghi d'avere a
disposizione le mogli e le figlie dei proletari, per non
parlare neppure della prostituzione ufficiale, trovano uno dei
loro divertimenti principali nel sedursi reciprocamente le
loro mogli.
In realtà il matrimonio borghese è la
comunanza delle mogli. Tutt'al, più ai comunisti si potrebbe
rimproverare di voler introdurre una comunanza delle donne
ufficiale e franca al posto di una comunanza delle donne
ipocritamente dissimulata. del resto è ovvio che, con
l'abolizione dei rapporti attuali di produzione, scompare
anche quella comunanza delle donne che ne deriva, cioè la
prostituzione ufficiale e non ufficiale.
Inoltre, si è rimproverato ai comunisti
ch'essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità.
Gli operai non hanno patria. Non si può
togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che
il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico,
di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in
nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel
senso della borghesia.
Le separazioni e gli antagonismi nazionali
dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo
della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato
mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e
delle corrispondenti condizioni d'esistenza.
Il dominio del proletariato li farà
scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua
emancipazione è l'azione unita, per lo meno dei paesi civili.
Lo sfruttamento di una nazione da parte di
un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito
lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro.
Con l'antagonismo delle classi all'interno
delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra
le nazioni.
Non meritano d'essere discusse in particolare
le accuse che si fanno al comunismo da punti di vista
religiosi, filosofici e ideologici in genere.
C'è bisogno di una profonda comprensione per
capire che anche le idee, le opinioni e i concetti, insomma,
anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle
loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della
loro esistenza sociale?
Cos'altro dimostra la storia delle idee, se
non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a
quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca sono sempre
state soltanto le idee della classe dominante.
Si parla di idee che rivoluzionano un'intera
società; con queste parole si esprime semplicemente il fatto
che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di
una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di
pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti
d'esistenza.
Quando il mondo antico fu al tramonto, le
antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana.
Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle
idee dell'illuminismo, la società feudale dovette combattere
la sua ultima lotta con la borghesia allora rivoluzionaria. Le
idee della libertà di coscienza e della libertà di religione
furono soltanto l'espressione del dominio della libera
concorrenza nel campo della coscienza.
Ma, si dirà, certo che nel corso dello
svolgimento storico le idee religiose, morali, filosofiche,
politiche, giuridiche si sono modificate. Però in questi
cambiamenti la religione, la morale, al filosofia, la
politica, il diritto si sono sempre conservati.
Inoltre vi sono verità eterne, come la
libertà, la giustizia e così via, che sono comuni a tutti gli
stati della società. Ma il comunismo abolisce le verità
eterne, abolisce la religione, la morale, invece di
trasformarle; quindi il comunismo si mette in contraddizione
con tutti gli svolgimenti storici avuti sinora.
A cosa si riduce quest'accusa? La storia di
tutta quanta la società che c'è stata fino ad oggi s'è mossa
in contrasti di classe che hanno avuto un aspetto differente a
seconda delle differenti epoche.
Lo sfruttamento d'una parte della società per
opera dell'altra parte è dato di fatto comune a tutti i secoli
passati, qualunque sia la forma ch'esso abbia assunto. Quindi,
non c'è da meravigliarsi che la coscienza sociale di tutti i
secoli si muova, nonostante ogni molteplicità e differenza, in
certe forme comuni: forme di coscienza, che si dissolvono
completamente soltanto con la completa scomparsa
dell'antagonismo delle classi.
La rivoluzione comunista è la più radicale
rottura con i rapporti tradizionali di proprietà; nessuna
meraviglia che nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee
tradizionali nella maniera più radicale.
Ma lasciamo stare le obiezioni della
borghesia contro il comunismo.
Abbiamo già visto sopra che il primo passo
sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che
il proletariato s'eleva a classe dominante, cioè nella
conquista della democrazia.
Il proletariato adoprerà il suo dominio
politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il
capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione
nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come
classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile
la massa delle forze produttive.
Naturalmente, ciò può avvenire, in un primo
momento, solo mediante interventi despotici nel diritto di
proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, cioè per
mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti
dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso del
movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono
inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema
di produzione.
Queste misure saranno naturalmente differenti
a seconda dei differenti paesi.
Tuttavia, nei paesi più progrediti potranno
essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti:
1.- Espropriazione della proprietà fondiaria
ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.
2.- Imposta fortemente progressiva.
3.- Abolizione del diritto di successione.
4.- Confisca della proprietà di tutti gli
emigrati e ribelli.
5.- Accentramento del credito in mano dello
Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e
monopolio esclusivo.
6.- Accentramento di tutti i mezzi di
trasporto in mano allo Stato.
7.- Moltiplicazione delle fabbriche
nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e
miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo.
8.- Eguale obbligo di lavoro per tutti,
costituzione di eserciti industriali, specialmente per
l'agricoltura.
9.- Unificazione dell'esercizio
dell'agricoltura e della industria, misure atte ad eliminare
gradualmente l'antagonismo fra città e campagna.
10.- Istruzione pubblica e gratuita di tutti
i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle
fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione
dell'istruzione con la produzione materiale e così via.
Quando le differenze di classe saranno
scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione
sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico
potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il
potere politico è il potere di una classe organizzato per
opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in
classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe
dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la
forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di
produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le
condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè
abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e
così anche il suo proprio dominio in quanto classe.
Alla vecchia società borghese con le sue
classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una
associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è
condizione del libero sviluppo di tutti.
III. Letteratura
Socialista e Comunista 1. Il socialismo reazionario a)
Il socialismo feudale.
Data la sua posizione storica, l'aristocrazia
francese e inglese era chiamata a scrivere libelli contro la
moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del
luglio 1830, nel movimento inglese per la riforma elettorale,
l'aristocrazia era soggiaciuta ancora una volta all'aborrito
nuovo venuto. Non c'era più da pensare a una seria lotta
politica. Le rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche
nel campo della letteratura la vecchia fraseologia dell'età
della restaurazione era ormai impossibile. Per destare qualche
simpatia, l'aristocrazia era costretta a distogliere gli
occhi, in apparenza, dai propri interessi e a formulare il suo
atto d'accusa contro la borghesia solo nell'interesse della
classe operaia sfruttata. Così essa preparava la soddisfazione
di poter intonare invettive contro il nuovo signore, e di
potergli mormorare nell'orecchio profezie più o meno gravide
di sciagura.
A questo modo sorse il socialismo
feudalistico, metà lamentazione, metà libello; metà
riecheggiamento del passato, metà minaccia del futuro. A volte
colpisce al cuore la borghesia con un giudizio amaro e
spiritosamente sarcastico, ma ha sempre effetto comico per la
sua totale incapacità di comprendere il corso della storia
moderna.
Questi aristocratici hanno impugnato la
proletaria bisaccia da mendicante, agitandola come bandiera
per raggruppare dietro a sé il popolo. Ma tutte le volte che
li ha seguiti, il popolo ha visto sulle loro parti posteriori
i vecchi blasoni feudali e s'è sbandato con forti e
irriverenti risate.
Una parte dei legittimisti francesi e la
Giovine Inghilterra hanno offerto questo spettacolo.
Quando i feudali dimostrano che il loro
sistema di sfruttamento era diverso dallo sfruttamento
borghese, dimenticano soltanto che essi esercitavano lo
sfruttamento in circostanze e condizioni totalmente differenti
e che ora han fatto il loro tempo. Quando dimostrano che il
proletariato moderno non è esistito al tempo del loro dominio,
dimenticano soltanto che la borghesia moderna fu appunto un
necessario rampollo del loro ordine sociale.
Del resto, essi celano tanto poco il
carattere reazionario della loro critica, che la loro
principale accusa contro la borghesia è proprio che sotto il
suo regime si sviluppa una classe che farà saltare in aria
tutto quanto il vecchio ordine sociale.
Rimproverano alla borghesia più il fatto che
essa genera un proletariato rivoluzionario che non il fatto
ch'essa produce un proletariato in genere.
Nella pratica della vita politica, prendono
parte perciò a tutte le misure di forza contro la classe
operaia, e nella vita ordinaria, ad onta di tutti i loro gonfi
frasari, si adattano a raccogliere le mele d'oro, e a
barattare fedeltà, amore, onore col traffico della lana di
pecora, della barbabietola e dell'acquavite.
Come il prete si è sempre accompagnato al
signore feudale, così il socialismo pretesco si accompagna a
quello feudalistico.
Non c'è cosa più facile che dare una tinta
socialistica all'ascetismo cristiano. Il cristianesimo non se
l'è presa forse anch'esso con la proprietà privata, con il
matrimonio, con lo Stato? Non ha predicato, in loro
sostituzione, la beneficenza, la mendicità, il celibato e la
mortificazione della carne, la vita claustrale e la Chiesa? Il
socialismo sacro è soltanto l'acquasanta con la quale il prete
benedice la rabbia degli aristocratici.
b) Il socialismo piccolo-borghese.
L'aristocrazia feudale non è l'unica classe
che sia stata abbattuta dalla borghesia e le cui condizioni di
esistenza siano deperite e si siano estinte nella società
borghese moderna. La piccola borghesia medievale e l'ordine
dei piccoli contadini furono i precursori della borghesia
moderna. Questa classe continua ancora a vegetare accanto alla
sorgente borghesia nei paesi meno sviluppati industrialmente e
commercialmente.
Nei paesi dove s'è sviluppata la civiltà
moderna, si è formata una nuova piccola borghesia, sospesa fra
il proletariato e la borghesia, che torna sempre a formarsi da
capo, in quanto è parte integrante della società borghese; ma
i suoi membri vengono costantemente precipitati nel
proletariato dalla concorrenza, anzi, con lo sviluppo della
grande industria vedono addirittura avvicinarsi un momento nel
quale scompariranno totalmente come parte indipendente della
società moderna, e verranno sostituiti da sorveglianti e
domestici nel commercio, nella manifattura, nell'agricoltura.
In paesi come la Francia, dove la classe dei
contadini costituisce molto più della metà della popolazione,
era naturale che alcuni scrittori i quali scendevano in campo
per il proletariato contro la borghesia usassero la scala del
piccolo borghese e del piccolo contadino per la loro critica
del regime borghese e che prendessero partito per gli operai
dal punto di vista della piccola borghesia. Così s'è formato
il socialismo piccolo-borghese. Capo di questa letteratura,
non solo per la Francia, ma anche per l'Inghilterra, è il
Sismondi.
Questo socialismo ha anatomizzato con estrema
perspicacia le contraddizioni insite nei rapporti moderni di
produzione. Ha smascherato gli ipocriti eufemismi degli
economisti. Ha dimostrato irrefutabilmente i deleteri effetti
delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione
dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovraproduzione,
le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli borghesi e dei
piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia
della produzione, le stridenti sproporzioni nella
distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di
sterminio fra le varie nazioni, la dissoluzione dei vecchi
costumi, dei vecchi rapporti familiari, delle vecchie
nazionalità.
Tuttavia, quanto al suo contenuto positivo,
questo socialismo o vuole restaurare gli antichi mezzi di
produzione e di traffico, e con essi i vecchi rapporti di
proprietà e la vecchia società, o vuole rinchiudere di nuovo,
con la forza, entro i limiti degli antichi rapporti di
proprietà i mezzi moderni di produzione e di traffico, che li
han fatti saltare in aria, che non potevano non farli saltare
per aria. In entrambi i casi esso è insieme reazionario e
utopistico.
Corporazioni nella manifattura e economia
patriarcale nelle campagne: ecco la sua ultima parola.
Nel suo ulteriore sviluppo questa tendenza è
andata a finire in una vile depressione dopo l'ebbrezza.
c) Il socialismo tedesco ossia il vero
socialismo.
La letteratura socialista e comunista
francese, ch'è sorta sotto la pressione d'una borghesia
dominante ed è l'espressione letteraria della lotta contro
questo dominio, venne introdotta in Germania proprio mentre la
borghesia stava cominciando la sua lotta contro l'assolutismo
feudale.
Filosofi, semifilosofi e begli spiriti
tedeschi s'impadronirono avidamente di quella letteratura,
dimenticando solo una piccola cosa: che le condizioni
d'esistenza francesi non erano immigrate in Germania insieme a
quegli scritti che venivano dalla Francia. Nei confronti delle
condizioni tedesche, la letteratura francese perdette ogni
significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente
letterario. Non poteva non apparire un'oziosa speculazione
sulla vera società, sulla realizzazione dell'essere umano.
Allo stesso modo le rivendicazioni della prima rivoluzione
francese avevano avuto per i filosofi tedeschi del secolo
XVIII soltanto il senso di essere rivendicazioni della "ragion
pratica" in generale, e le manifestazioni di volontà della
borghesia francese rivoluzionaria avevano significato ai loro
occhi di leggi di pura volontà, della volontà come deve
essere, della volontà veramente umana.
Il lavoro dei letterati tedeschi consistette
unicamente nel concordare le nuove idee francesi con la loro
vecchia coscienza filosofica, o, anzi, nell'appropriarsi delle
idee francesi dal loro punto di vista filosofico.
Questa appropriazione avvenne nella stessa
maniera che si usa in genere per appropriarsi una lingua
straniera: mediante la traduzione.
E` noto come i monaci ricoprissero di
insipide storie di santi cattolici i manoscritti che
contenevano le opere classiche dell'antichità pagana. Con la
letteratura francese profana i letterati tedeschi usarono il
procedimento inverso; scrissero le loro sciocchezze
filosofiche sotto l'originale francese. Per esempio, sotto la
critica francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero
"alienazione dell'essere umano", sotto la critica francese
dello stato borghese scrissero "superamento del dominio
dell'universale in astratto", e così via.
Battezzarono questa insinuazione del loro
frasario filosofico negli svolgimenti francesi con i nomi di
"filosofia dell'azione", "vero socialismo", "scienza tedesca
del socialismo", "motivazione filosofica del socialismo" e
così via.
Così la letteratura francese socialista e
comunista fu letteralmente evirata. E poiché essa nelle mani
dei tedeschi aveva smesso di esprimere la lotta d'una classe
contro l'altra, il tedesco era consapevole d'aver superato
l'unilateralità francese, d'essersi fatto rappresentante non
di veri bisogni, ma anzi del bisogno della verità, non degli
interessi del proletariato, ma anzi degli interessi
dell'essere umano, dell'uomo in genere; dell'uomo che non
appartiene a nessuna classe, anzi neppure alla realtà, e
appartiene soltanto al cielo nebuloso della fantasia
filosofica.
Questo socialismo tedesco, che prendeva così
solennemente sul serio le sue goffe esercitazioni scolastiche,
e tanto ciarlatanescamente le strombazzava, perdette tuttavia,
a poco a poco, la sua pedantesca innocenza.
La lotta della borghesia tedesca,
specialmente di quella prussiana, contro i feudali e contro la
monarchia assoluta, in una parola, il movimento liberale,
divenne più serio.
Così al vero socialismo si offrì l'auspicata
occasione di contrapporre le rivendicazioni socialiste al
movimento politico, di lanciare i tradizionali anatemi contro
il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la
concorrenza borghese, contro la libertà di stampa borghese, il
diritto borghese, la libertà e l'eguaglianza borghesi; e di
predicare alla massa popolare come essa non avesse niente da
guadagnare, anzi tutto da perdere con quel movimento borghese.
Il socialismo tedesco dimenticava in tempo che la critica
francese della quale esso era l'insulso eco, presuppone la
società borghese moderna con le corrispondenti condizioni
materiali d'esistenza e l'adeguata costituzione politica:
tutti presupposti che in Germania si trattava appena di
conquistare.
Il vero socialismo servì ai governi assoluti
tedeschi, col loro seguito di preti, di maestrucoli, di
nobilucci rurali e di burocrati, come gradito spauracchio
contro la borghesia che avanzava minacciosa.
Costituì il dolciastro complemento delle acri
sferzate e delle pallottole di fucile con le quali quei
governi rispondevano alle insurrezioni operaie.
Mentre il vero socialismo diventava così
un'arma nelle mani dei governi contro la borghesia tedesca,
esso rappresentava d'altra parte anche direttamente un
interesse reazionario, l'interesse del popolo minuto tedesco.
In Germania la piccola borghesia, che è un'eredità del secolo
XVI, e sempre vi riaffiora, da quell'epoca in poi, in varie
forme, costituisce il vero e proprio fondamento sociale della
situazione attuale.
La sua conservazione è la conservazione della
situazione tedesca attuale. Essa teme la sicura rovina dal
dominio industriale e politico della borghesia, tanto in
conseguenza della concentrazione del capitale, quanto
attraverso il sorgere di un proletariato rivoluzionario. Le
sembrò che il vero socialismo prendesse entrambi i piccioni
con una fava. Ed esso si diffuse come un'epidemia.
La veste ordita di ragnatela speculativa,
ricamata di fiori retorici di begli spiriti, impregnata di
rugiada sentimentale febbricitante di amore, questa veste di
esaltazione nella quale i socialisti tedeschi avviluppavano il
loro paio di ossute verità eterne, non fece che aumentare lo
spaccio della loro merce presso quel pubblico.
Per conto suo, il socialismo tedesco
riconobbe sempre meglio la propria vocazione d'essere il
burbanzoso rappresentante di questa piccola borghesia.
Esso ha proclamato la nazione tedesca la
nazione normale; il filisteo tedesco l'uomo normale. Ha
conferito ad ogni abiezione di costui un senso celato,
superiore, socialistico pel qual l'abiezione significava il
contrario di quel che era. Ed ha tratto le ultime conseguenze
prendendo direttamente posizione contro la tendenza
brutalmente distruttiva del comunismo e proclamando la propria
imparziale superiorità a tutte le lotte di classe. Quanto
circola in Germania di pretesi scritti socialisti e comunisti
appartiene, con pochissime eccezioni, alla sfera di questa
sordida e snervante letteratura.
2. Il socialismo conservatore o borghese
Una parte della borghesia desidera di portar
rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza
della società borghese.
Rientrano in questa categoria economisti,
filantropi, umanitari, miglioratori della situazione delle
classi lavoratrici, organizzatori di beneficenze, protettori
degli animali, fondatori di società di temperanza e tutta una
variopinta genìa di oscuri riformatori. E in interi sistemi è
stato elaborato questo socialismo borghese.
Come esempio citeremo la Philosophie de la
misère del Proudhon.
I borghesi socialisti vogliono le condizioni
di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che
necessariamente ne derivano. Vogliono la società attuale
sottrazion fatta degli elementi che la rivoluzionano e la
dissolvono. Vogliono la borghesia senza proletariato. La
borghesia si raffigura naturalmente il mondo ov'essa domina
come il migliore dei mondi. Il socialismo borghese elabora
questa consolante idea in un semi-sistema o anche in un
sistema intero. Quando invita il proletariato a mettere in
atto i suoi sistemi per entrare nella nuova Gerusalemme, il
socialismo borghese non fa in sostanza che pretendere dal
proletariato che esso rimanga fermo nella società attuale, ma
rinunci alle odiose idee che di essa s'è fatto.
Una seconda forma di socialismo meno
sistematica e più pratica cercava di far passare alla classe
operaia la voglia di qualsiasi movimento rivoluzionario,
argomentando che le potrebbe essere utile non l'uno o l'altro
cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle
condizioni materiali della esistenza, cioè dei rapporti
economici. Ma questo socialismo non intende affatto, con il
termine di cambiamento delle condizioni materiali
dell'esistenza, l'abolizione dei rapporti borghesi di
produzione, possibile solo in via rivoluzionaria, ma
miglioramenti amministrativi svolgentisi sul terreno di quei
rapporti di produzione, che dunque non cambiano nulla al
rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma che, nel migliore
dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve
sostenere per il suo dominio e semplificano il suo bilancio
statale.
Il socialismo borghese giunge alla sua
espressione adeguata solo quando diventa semplice figura
retorica.
Libero commercio! nell'interesse della classe
operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia;
carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia. Questa
è l'ultima parola, l'unica detta seriamente, del socialismo
borghese.
Il loro socialismo consiste appunto
nell'affermazione che i borghesi sono borghesi -nell'interesse
della classe operaia
3. Il socialismo e comunismo
critico-utopistico
Qui non parleremo della letteratura che ha
espresso le rivendicazioni del proletariato in tutte le grandi
rivoluzioni moderne (scritti di Babeuf e così via).
I primi tentativi del proletariato di far
valere direttamente il suo proprio interesse di classe in
un'età di generale effervescenza, nel periodo del
rovesciamento della società feudale, non potevano non fallire
per la forma poco sviluppata del proletariato stesso, come
anche per la mancanza delle condizioni materiali della sua
emancipazione, che sono appunto solo il prodotto dell'età
borghese. La letteratura rivoluzionaria che ha accompagnato
quei primi movimenti del proletariato è per forza reazionaria,
quanto al contenuto; insegna un ascetismo generale e un rozzo
egualitarismo.
I sistemi propriamente socialisti e
comunisti, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen,
ecc., emergono nel primo periodo, non sviluppato, della lotta
fra proletariato e borghesia, che abbiamo esposto sopra (vedi:
Borghesia e proletariato).
Certo, gli inventori di quei sistemi vedono
l'antagonismo delle classi e anche l'efficacia degli elementi
dissolventi nel seno della stessa società dominante. Ma non
vedono nessuna attività storica autonoma dalla parte del
proletariato, non vedono nessun movimento politico proprio e
particolare del proletariato.
Poiché lo sviluppo dell'antagonismo fra le
classi va di pari passo con lo sviluppo dell'industria, essi
non trovano neppure le condizioni materiali per
l'emancipazione del proletariato, e vanno in cerca d'una
scienza sociale, di leggi sociali, per creare queste
condizioni.
Alla attività sociale deve subentrare la loro
attività inventiva personale, alle condizioni storiche
dell'emancipazione del proletariato, devono subentrare
condizioni immaginarie, e alla organizzazione del proletariato
in classe con un processo graduale deve subentrare una
organizzazione della società da essi escogitata a bella posta.
La storia universale futura si dissolve per essi nella
propaganda e nell'esecuzione pratica dei loro progetti di
società.
E` vero ch'essi sono coscienti di sostenere
nei loro progetti sopratutto gli interessi della classe
operaia, come della classe che più soffre. Il proletariato
esiste per essi soltanto da questo punto di vista della classe
che più soffre.
Ma è inerente tanto alla forma non evoluta
della lotta di classe quanto alla loro propria situazione,
ch'essi credano d'essere di gran lunga superiori a
quell'antagonismo di classe. Vogliono migliorare la situazione
di tutti i membri della società, anche dei meglio situati.
Quindi fanno continuamente appello alla società intera, senza
distinzione, anzi, di preferenza alla classe dominante.
Giacché basta soltanto comprendere il loro sistema per
riconoscerlo come il miglior progetto possibile della miglior
società possibile.
Quindi essi respingono qualsiasi azione
politica, e specialmente ogni azione rivoluzionaria; vogliono
raggiungere la loro meta per vie pacifiche e tentano di aprir
la strada al nuovo vangelo sociale con piccoli esperimenti che
naturalmente falliscono, con la potenza dell'esempio.
Tale descrizione fantastica della società
futura corrisponde al primo impulso presago del proletariato
verso una trasformazione generale della società, in un periodo
nel quale il proletariato è ancora pochissimo sviluppato, e
quindi intende anch'esso ancora fantasticamente la propria
posizione.
Ma gli scritti socialisti e comunisti
consistono anche di elementi di critica. Essi attaccano tutte
le fondamenta della società esistente. Hanno quindi fornito
materiale preziosissimo per illuminare gli operai. Le loro
proposizioni positive sulla società futura, per esempio
l'abolizione del contrasto fra città e campagna, della
famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato,
l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato
in una semplice amministrazione della produzione, tutte queste
proposizioni esprimono semplicemente la scomparsa
dell'antagonismo fra le classi che allora comincia appena a
svilupparsi, e ch'essi conoscono soltanto nella sua prima
informe indeterminatezza. Perciò queste stesse proposizioni
hanno ancora un senso puramente utopistico.
L'importanza del socialismo e comunismo
critico utopistico sta in rapporto inverso allo sviluppo
storico. Nella stessa misura che si sviluppa e prende forma la
lotta fra le classi, perde ogni valore pratico, ogni
giustificazione teorica quell'immaginario sollevarsi al di
sopra di essa, quella lotta immaginaria contro di essa.
Quindi, anche se gli autori di quei sistemi erano
rivoluzionari per molti aspetti, i loro scolari costituiscono
ogni volta sette reazionarie. Tengon ferme contro il
progressivo sviluppo storico del proletariato, le vecchie
opinioni dei maestri. Quindi cercano conseguentemente di
smussare di nuovo la lotta di classe, e di conciliare gli
antagonismi. Continuano sempre a sognare la realizzazione
sperimentale delle loro utopie sociali, l'istituzione di
singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, la
creazione di una piccola Icaria, -edizione in dodicesimo della
nuova Gerusalemme- e per la costruzione di tutti quei castelli
in Ispagna debbono far appello alla filantropia dei cuori e
delle borse borghesi. A poco per volta essi cadono nella sopra
descritta categoria dei socialisti reazionari o conservatori,
e ormai si distinguono da questo solo per una pedanteria più
sistematica, e per la fede fanatica e superstiziosa
nell'efficacia miracolosa della loro scienza sociale.
Quindi si oppongono aspramente ad ogni
movimento politico degli operai, poiché esso non potrebbe
procedere che da cieca mancanza di fede nel nuovo vangelo.
Gli owenisti in Inghilterra reagiscono contro
i cartisti, i fourieristi in Francia reagiscono contro i
riformisti.
IV. Posizione dei Comunisti di fronte ai
diversi partiti di opposizione
Da quanto s'è detto nel secondo capitolo
appare ovvio quale sia il rapporto dei comunisti coi partiti
operai già costituiti, cioè il loro rapporto coi cartisti in
Inghilterra e coi riformatori nell'America del Nord.
I comunisti lottano per raggiungere i fini e
gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento
presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento.
In Francia i comunisti si alleano al partito
socialista-democratico contro la borghesia conservatrice e
radicale, senza per questo rinunciare al diritto d'un contegno
critico verso le frasi e le illusioni provenienti dalla
tradizione rivoluzionaria.
In Svizzera essi appoggiano i radicali, senza
disconoscere che questo partito è costituito da elementi
contraddittori, in parte da socialisti democratici in senso
francese, in parte da borghesi radicali.
Fra i polacchi, i comunisti appoggiano il
partito che fa d'una rivoluzione agraria la condizione della
liberazione nazionale. Lo stesso partito che promosse
l'insurrezione di Cracovia del 1846.
In Germania il partito comunista combatte
insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, contro la
proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume, appena la
borghesia prende una posizione rivoluzionaria.
Però il partito comunista non cessa nemmeno
un istante di preparare e sviluppare fra gli operai una
coscienza quanto più chiara è possibile dell'antagonismo
ostile fra borghesia e proletariato, affinché i lavoratori
tedeschi possano subito rivolgere, come altrettante armi
contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la
borghesia deve creare con il suo dominio, affinché subito dopo
la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la
lotta contro la borghesia stessa.
I comunisti rivolgono la loro attenzione
sopratutto alla Germania, perché la Germania è alla vigilia
d'una rivoluzione borghese, e perché essa compie questo
rivolgimento in condizioni di civiltà generale europea più
progredite, e con un proletariato molto più evoluto che non
l'Inghilterra nel decimosettimo e la Francia nel decimottavo
secolo; perché dunque la rivoluzione borghese tedesca può
essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione
proletaria.
In una parola: i comunisti appoggiano
dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro le
situazioni sociali e politiche attuali.
Entro tutti questi movimenti essi mettono in
rilievo, come problema fondamentale del movimento, il problema
della proprietà, qualsiasi forma, più o meno sviluppata, esso
possa avere assunto.
Infine, i comunisti lavorano dappertutto al
collegamento e all'intesa dei partiti democratici di tutti i
paesi.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro
opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i
loro fini possono esser raggiunti soltanto col rovesciamento
violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente. Le
classi dominanti tremino al pensiero d'una rivoluzione
comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro
catene. Hanno un mondo da guadagnare.
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!
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