CARLO GIULIANI:
LA RIMOZIONE DI UN
OMICIDIO
di Francesco Barilli di Ecomancina
***
PREMESSA
5 maggio 2003: dopo quasi
due anni viene messa la parola fine alle indagini conseguenti la
morte di Carlo Giuliani avvenuta il 20 luglio 2001 in Piazza
Alimonda, durante le tumultuose giornate del G8 di Genova: il GIP,
Dr.ssa Elena Daloiso, ha accolto la richiesta di archiviazione per
legittima difesa avanzata dal PM Silvio Franz nel dicembre scorso,
formulando un giudizio di assoluzione sull’operato di Mario
Placanica (il carabiniere che avrebbe sparato) persino più ampio
di quello del PM: il militare non solo agì per legittima difesa,
ma fece legittimo uso delle armi.
Nel primo articolo da cui
apprendo dell’archiviazione trovo anche una breve ricostruzione
del fatto: "Giuliani, come si è visto nelle immagini
girate da un videoamatore e che hanno fatto il giro del mondo,
stava cercando di assalire un Defender dei carabinieri armato con
un estintore. Placanica sparò con la pistola di ordinanza e il
giovane rimase ucciso." (La Repubblica on line del 5
maggio 2003).
Per un attimo il tempo mi
sembra si sia fermato NON alle 17,27 di quel 20 luglio, ma poche
ore più tardi, quando cominciò a circolare la famosa foto della
Reuters: l’ultimo istante di vita di Carlo, ripreso di schiena,
l’estintore sollevato sopra la testa, mentre una mano armata di
pistola spunta dal lunotto posteriore del defender dei
Carabinieri.
Ripeto, mi sembra che il
tempo si sia fermato. Perché da quel giorno sono spuntate decine
di foto e filmati (prima e dopo lo sparo omicida), testimonianze,
teorie e perizie contraddittorie… E soprattutto domande, tante
domande che fecero sembrare quella prima ricostruzione parziale e
incompleta, se non totalmente falsa. Torno a leggere l’articolo
di Repubblica: era Carlo ad essere "armato di un
estintore", e mi dico che davvero le parole possono pesare e
ferire come macigni, ben più di quella pietra che (secondo la
surreale ricostruzione accettata pienamente dal GIP, nonostante lo
stesso PM qualche riserva sembra l’avesse avanzata) avrebbe
deviato il colpo mortale.
Riprendo in mano il primo
articolo che scrissi dopo la morte di Carlo: aprile 2002 e già mi
ponevo tante domande sull’accaduto. Le rileggo: erano già
presenti i dubbi sul numero degli occupanti la jeep o su quanti
carabinieri avessero davvero sparato in Piazza Alimonda (e chi,
fra questi, avesse colpito Carlo al volto), o quelli sulla reale
distanza del ragazzo dalla Jeep; ritrovo le considerazioni circa
il presunto stato di panico dello sparatore (il carabiniere che
apre il fuoco aveva estratto la pistola ben prima che Carlo
raccogliesse da terra l'estintore, impugnandola con fermezza ad
altezza d’uomo, braccio ben teso e mano inclinata di lato: la
posa di chi vanta una buona dimestichezza con le armi e sta
prendendo la mira); ritrovo pure le domande circa l’origine
della ferita rinvenuta sulla fronte di Carlo e la relazione di
tale ferita con le primissime deposizioni dei funzionari delle
forze dell'ordine in Piazza Alimonda, che affermarono che il
giovane era morto a causa del lancio di una pietra da parte di un
dimostrante…
Erano, mi sembra, domande
dettate solo dal buon senso; non avevo ancora letto completamente
la montagna di documenti che i bravi Arto, Franti, Gin, Lello Voce
e tanti altri avevano pubblicato (ed avrebbero completato in
seguito) su Indymedia, Sherwood e successivamente su Pillola
Rossa. Documenti che avevano avvalorato i miei primi dubbi
portandone altri; avevano confermato la sensatezza di quelle prime
domande, esplicandole meglio ed integrandole con altre.
Arto, Franti, Gin, Lello
Voce… Tutta gente che non ho mai conosciuto personalmente e con
la quale non ho mai scambiato neppure una parola: mi sento indegno
di rappresentarli tutti, qui, ma mi sembra giusto ricordarli e
ringraziarli in questo lavoro, un documento che vorrebbe essere
una sintesi di molti dubbi ancora irrisolti su Piazza Alimonda.
Dico subito che il mio lavoro non ha la pretesa di essere "la
summa" di tutto quanto è stato scritto sull’argomento: più
che altro è mia intenzione fornire in un unico articolo
un’analisi della maggior parte dei dubbi emersi dalla
controinchiesta sui fatti di Piazza Alimonda (apparsa su molti
siti internet di "contro-informazione"). Invito fin
d’ora tutti quelli che volessero ulteriori approfondimenti a
cercare i documenti completi della controinchiesta: sono pressochè
tutti presenti su Pillola Rossa ( http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/).
Questo articolo non si
limita però alla riproposta di argomenti della controinchiesta,
ma è integrato da considerazioni mie, volendo essere anche una
risposta all’ordinanza-archiviazione della Dr.sa Daloiso, alla
quale vorrei spiegare perché non ci sia proprio nulla da
archiviare in quanto successo a Piazza Alimonda. Ma forse il
termine corretto non è "archiviazione", ma
"rimozione": rimozione di tutti i dubbi e di tutte le
domande, affinchè nella memoria collettiva quanto accaduto a
Piazza Alimonda il 20 luglio 2001 sia ricordato solo così:
"durante un folle, insensato e violento attacco da parte di
facinorosi ad una camionetta dei carabinieri un dimostrante veniva
colpito, per legittima difesa, da un esponente delle forze
dell’ordine". Questa ricostruzione vale solo per chi si è
voluto fermare a quella famosa foto della Reuters, ritenendola il
punto di arrivo di un’inchiesta talmente banale da essere già
scritta. Per quelli che ritengono che quella foto abbia avuto il
solo merito di spegnere sul nascere la falsa versione degli eventi
(il famoso sasso che avrebbe ucciso il manifestante, nelle prime
dichiarazioni dei funzionari di polizia in Piazza Alimonda)
quell’immagine è stata solo un punto di partenza.
LE INCONGRUENZE DELLE
PERIZIE
Viviamo in un mondo in
cui l’importanza dei fatti dipende dal richiamo mediatico che
questi assumono e non viceversa, come sembrerebbe logico. Anche i
casi giudiziari non sfuggono a questa regola. I fatti "di
sangue", poi, sembrano titillare con particolare successo la
curiosità del pubblico; questo fatto ha risvolti controversi: da
una parte la mole di informazioni che ci arriva è superiore a
quella a cui eravamo abituati in passato, ma d’altra parte è
ancora più difficile districarsi in questa melassa dove si
confondono notizie reali e bufale clamorose, mentre dettagli
fondamentali si perdono di fronte ad altri la cui importanza è
solo apparente.
Ma una cosa è certa: il
proliferare di informazioni sui fatti di sangue che colpiscono
l’opinione pubblica (da Cogne alla morte della contessa Vacca
Augusta, da Ilaria Alpi a Marta Russo) ha fatto affiorare anche
un’altra realtà: l’importanza che rivestono, nella soluzione
dei casi giudiziari, i cosiddetti "periti"; sembra quasi
che oggigiorno il Giudice soccomba (per autonoma scelta cosciente
o per comodo non è dato sapersi) al "sapere" dei
periti, e che la scrittura della Giustizia sia ormai affidata alla
fredda scienza.
Qui devo aprire una
parentesi: noi italiani sembriamo particolarmente inclini al
fascino del sapere. L’esperto ci affascina sempre, specie se si
tratta di un "espertone", a cui siamo pronti ad affidare
la risposta ad ogni domanda. Poco importa (tanto per fare un
esempio) se l’Avvocato al quale ci siamo rivolti per un quesito
di urbanistica sia un luminare solo nel campo civilistico:
affidiamo a lui (o per meglio dire al suo "sapere", che
riteniamo sterminato) la soluzione al nostro problema. Ma questo
vezzo sgradevole non dovrebbe essere appannaggio ANCHE della
Magistratura, che non dovrebbe avere la stessa sudditanza
psicologica verso la figura "dell’espertone". Eppure
sono proprio le tracce di questo malvezzo che troviamo nel caso
Giuliani, in cui la "giustizia" si è affidata alla
scienza in modo totalmente acritico.
Ora però mi fermo ad
un’altra caratteristica che dovrebbe essere propria del perito:
un distacco razionale ed emotivo dall’evento che si deve andare
ad analizzare, affinchè il proprio giudizio non sia inquinato (in
malafede o anche solo inconsciamente) dai propri pregiudizi. Ma
nel caso Giuliani scopriamo (grazie a "Il Manifesto" del
19 marzo 2003) che il pool di esperti cui venne affidato il caso
(Pietro Benedetti, esperto balistico; Nello Balossino, esperto in
ricostruzioni tridimensionali al computer; Carlo Torre, medico
legale) era coordinato da Paolo Romanini, uno dei massimi esperti
balistici italiani nonché direttore della rivista "Tacarmi",
sulla quale lo stesso Romanini aveva affrontato il caso Giuliani
il 9 settembre 2001, scrivendo: "è
stato ucciso da un suo coetaneo terrorizzato e ferito, mentre
infieriva con inaudita violenza contro un mezzo dei Carabinieri,
cercando con tutto se stesso di arrecare danno e nocumento ai
militari. (...) La reazione del giovane carabiniere aveva evidenti
e giustificate connotazioni difensive, ma qui la cosa si prestava
allo scopo, tutto era perfetto, il frangente, gli attori e la
scenografia. Così il banchetto degli avvoltoi griffati è
iniziato, a cadavere caldo, con il sangue che ancora colava:
finalmente un martire, un buono ucciso da squadracce repressive e
violente guidate dai grandi burattinai. Finalmente uno sbirro
assassino!"
Un’opinione con la
quale io ovviamente non concordo. Ma non è questo il punto, come
chiaramente avrete capito tutti. Il punto è che questa opinione
fa dubitare della serenità e dell’indipendenza di giudizio
dell’esperto, che almeno per ragioni di opportunità avrebbe
dovuto rinunciare all’incarico. Ma, risponde Romanini (fonte: Il
Manifesto): "Quando scrivevo
quell'articolo ero in veste giornalistica, quando ricevo un
incarico io assumo una veste tecnica e chiudo la porta a tutto
(…) Scrivevo di difesa giustificata, ma noi abbiamo fatto solo
la ricostruzione tecnica. Peraltro non ero da solo, chiesi di
essere affiancato. E il discorso del sasso nasce nella parte
analitica di Torre, è stato lui a tirarlo fuori, non io, e il
Balossino ha poi lavorato sulle immagini".
Appare curioso il modo in
cui Romanini tira in ballo la teoria del sasso/calcinaccio,
scaricandone la paternità sui colleghi e quasi "chiamandosi
fuori"… Ma sul corpo estraneo che avrebbe deviato la
pallottola che raggiunse al volto Carlo torneremo più avanti; e
questo perché i dubbi sulle perizie che hanno accompagnato
l’inchiesta cominciano ben prima; cominciano da subito, con
l’autopsia svolta (in modo che lo stesso PM definirà poi
superficiale) dal prof. Marcello Canale. L’autopsia
"dimostrerà" da subito che: Carlo fu colpito da un
proiettile all’altezza dello zigomo sinistro che fuoriuscì
dalla nuca; il proiettile fu mortale pressochè istantaneamente;
la camionetta dei carabinieri che per due volte passò sul corpo
non produsse lesioni interne rilevanti. Cito dalla sentenza del
GIP, Dr.ssa Elena Daloiso sull’archiviazione del procedimento a
carico di Mario Placanica: "le lesioni cranio encefaliche
hanno determinato la morte del soggetto nell'arco di pochi minuti
in modo diretto e conclusivo, prescindendo da qualsiasi ipotetica
altra lesione presente a livello toracico addominale e dovuta a
fenomeni compressivi e o contusivi da arrotamento che non hanno
determinato alcuna lesione interna apprezzabile, ma solo piccole
contusioni escoriate ed ecchimotiche in corrispondenza dei punti
di appoggio al suolo del soggetto, lesioni di assoluta modestia
dovuta all'elasticità dei tessuti e delle articolazioni propri
della giovanissima età della vittima." (Qui mi concedo
la prima divagazione nel campo dell’ironia: spero che tutti i
giovani lettori si sentano rassicurati dalle considerazioni
sull’elasticità dei loro tessuti e delle loro articolazioni,
nel caso volessero prestarsi come "collaudatori passivi"
delle sospensioni di una jeep…).
Non mi soffermerò troppo
sui dettagli di questa autopsia; gli elementi che ne attestano la
superficialità e che dimostrano quanto le "sicurezze"
del medico fossero quantomeno precarie sono ormai patrimonio di
tutti. Si va dalla "certezza" che il colpo di pistola fu
mortale da subito (nonostante le immagini di Piazza Alimonda
dimostrino il sanguinamento copioso e ritmico di Carlo GIA’ A
TERRA, testimoniando attività cardiaca) all’ormai famoso
frammento di proiettile che viene rilevato dalle radiografie ma
non dall’autopsia (il proiettile quindi non fu trapassante, come
invece sostenuto dal professor Canale), per arrivare all’assenza
di lesioni interne dovute al passaggio della jeep (circostanza che
fa a pugni non solo col buon senso, ma pure con alcune immagini
che mostrano le gambe ed il bacino del ragazzo chiaramente
disarticolati).
Ma veniamo ora al famoso
calcinaccio che compare sulla scena delle indagini quasi un anno
dopo la morte di Carlo. Per comprenderne l’importanza bisogna
fare innanzitutto una considerazione: molti elementi nella ferita
di Carlo tendevano a far ritenere improbabile che un proiettile
del tipo in dotazione a Placanica fosse compatibile con quella
ferita. L’ordinanza del GIP perlomeno ha questo merito: riassume
chiaramente questi dubbi: "Carlo
Giuliani morì per una ferita d'arma da fuoco alla testa e fu
colpito da un solo proiettile che penetrò nell'orbita sinistra
fino ad uscire dall'osso occipitale che risulta aver trattenuto,
in prossimità del foro d'uscita, un frammento di camiciatura di
ottone del proiettile, come emerso dalle radiografie eseguite
prima dell'autopsia. Tale circostanza, unitamente alle
caratteristiche dei fori di ingresso ed uscita del proiettile, ha
fatto ipotizzare che il proiettile prima di colpire il volto di
Carlo Giuliani, abbia incontrato un ostacolo che lo ha deformato
modificandone la traiettoria. La ferita di ingresso presenta
infatti una forma molto irregolare ed il foro di uscita è di
dimensioni ridotte, come quelle solitamente prodotte da proiettili
la cui energia sia stata diminuita o che si siano già
frammentati. Il rallentamento del proiettile con conseguente
perdita di energia non è compatibile con le caratteristiche di
quello che era in dotazione alla pistola di Mario Placanica e che
ha attinto il volto di Giuliani. Si trattava infatti di un
proiettile blindato cal.9 esploso da una cartuccia parabellum e
dunque di particolare potenza, che ha attraversato ossa di
consistenza modesta (…) Tali osservazioni avvalorano l'ipotesi
che il proiettile, prima di penetrare nel volto di Carlo Giuliani,
ha incontrato un bersaglio intermedio che ne ha ridotto la velocità,
danneggiandone la camiciatura ed esponendone il nucleo di piombo
(…)"
In altre parole: il foro
d’entrata è piccolo e quello d'uscita ancora più piccolo,
caratteristiche queste incompatibili con i danni che dovrebbe
produrre un proiettile 9 mm NATO. Una spiegazione per gli anomali
effetti del proiettile potrebbe essere la sua
"frammentazione", ma tutti i periti concordano sul fatto
che un proiettile di questa potenza non può essersi frammentato
per il solo impatto con la vittima. I consulenti del PM deducono
che il proiettile si è frantumato incontrando qualcosa nel suo
percorso. Dopo aver pensato all'estintore, propendono per un
calcinaccio che appare nel filmato dell'operatore di Luna rossa.
L’ipotesi del calcinaccio viene avvalorata (sempre secondo i
consulenti del PM) in occasione di analisi compiute sul
passamontagna di Carlo (ad un anno di distanza dai fatti…). E’
in questo momento che "compare" un frammento di ogiva (scuotendo
il passamontagna) e compaiono pure tracce di sostanze in uso
nell’edilizia. Questa circostanza mi lascia molto perplesso. Non
vanto competenze in materia, per cui non so quanto rilevanti
possano essere le mie osservazioni, ma Carlo sicuramente si era
toccato il passamontagna nei minuti precedenti lo sparo, con mani
che avevano toccato sassi o calcinacci; dopo essere stato colpito
rotola a terra; poi viene trascinato da alcuni manifestanti; il
passamontagna gli viene tolto ed arrotolato sotto la testa, a
contatto con l’asfalto… E MESI DOPO i periti analizzano il
passamontagna, dicono "ma toh guarda" e la loro ricerca
prende una direzione ormai segnata…
Quella del calcinaccio è
una storia molto strana anche per la sicurezza che determina nel
collegio peritale incaricato dal PM… nonostante gli stessi
periti non riescano a vederlo nei momenti cruciali! Infatti il
calcinaccio è oggetto di pure e semplici ipotesi: al momento
dello sparo "… in modo
quasi istantaneo il calcinaccio, fuori dall’inquadratura
della telecamera, viene colpito (…) il calcinaccio colpito è
ancora esterno all’area di visualizzazione della telecamera
(…) il calcinaccio entra nell’area di ripresa della telecamera
ed è interessato dal fenomeno di disaggregazione che però è
confinato nella parte non visibile…".
Vorrei infine far notare
che, nonostante esistano decine di foto e diversi filmati di
Piazza Alimonda, né il PM né il GIP hanno cercato di
rintracciare il manifestante che lanciò QUEL "sasso".
Considerato che nel brevissimo lasso di tempo che trascorre tra il
momento in cui Carlo afferra l’estintore ed il primo sparo viene
lanciato CON QUELLA DIREZIONE un solo oggetto (sasso o calcinaccio
che sia, che vada ad infrangersi poco sopra la seconda
"I" della scritta "carabinieri" o che impatti
il proiettile in questo momento poco conta) un tentativo in questo
senso mi sarebbe sembrato doveroso. Questo anche perché
"incrociando" la famosa foto di Marco D’Auria
(l’unica laterale, dove si scorge Carlo a più di 3 metri dalla
jeep) con i filmati (e considerato che la foto precede di pochi
centesimi di secondo lo sparo) risulta evidente UN SOLO
manifestante che sta per lanciare un sasso: si tratta del ragazzo
col codino e felpa blu appena a sinistra del cerchio che inquadra
Carlo nell’immagine:
Ma il sasso-calcinaccio
sarà oggetto di altre mie osservazioni, quando cercherò di
relazionare la presunta deviazione del proiettile con la distanza
di Carlo dalla jeep, utilizzando elementi che, a mio avviso,
rendono questa teoria pura fantascienza. Per ora,
indipendentemente dalle altre valutazioni che renderebbero
necessario il dibattimento, è secondo me indispensabile far
notare che la richiesta di archiviazione avanzata dal PM
("figlia", per così dire, delle perizie di cui abbiamo
parlato) è palesemente infarcita da pure e semplici congetture.
L’intero documento è zeppo di "ipotesi più
compatibili", "deduzioni" e, in sostanza,
dell’ammissione dell’impossibilità di ricostruire con
certezza la dinamica degli eventi. Nonostante questo, quella che
viene proposta (e poi accettata nell’archiviazione vera e
propria) è "la ricostruzione più convincente"…
L’ORDINANZA DEL GIP
DALOISO
Non si può dire che la
morte di Carlo Giuliani sia stata liquidata in due righe: Il GIP
Elena Daloiso, che ha messo la parola fine a quasi due anni
d’indagini, impiega 48 pagine per giustificare l’operato di
Mario Placanica, parlando non solo di legittima difesa ma anche
(cosa forse ancora più preoccupante) di uso legittimo delle armi.
Ma cambia qualcosa
l’utilizzo di 48 pagine rispetto a due righe nel liquidare la
morte di un ragazzo? Certo, si può pensare che quelle 48 pagine
testimonino perlomeno un giudizio più approfondito rispetto alle
frettolose assoluzioni che già nell’immediatezza dei fatti
erano state formulate. Ricordo che già poco dopo la tragedia
molti politici (a memoria cito Cossiga, Scajola, Fini) avevano
parlato di legittima difesa. Il comandante generale dei
carabinieri, Sergio Siracusa, alla Commissione Parlamentare
d’inchiesta aveva dichiarato: "Anche un carabiniere più
esperto avrebbe sparato: quando si tratta di casi di legittima
difesa in condizioni così estreme, non mi pare bello fare queste
distinzioni". Lo stesso documento finale della
Commissione sintetizza l’episodio in questo modo: "Il
Placanica estraeva la pistola d'ordinanza ed esplodeva un colpo
che uccideva il giovane Carlo Giuliani nell'atto di scagliargli
contro un estintore".
Già: una delle polemiche
più frequenti che anima le cronache politiche degli ultimi anni
riguarda la presunta ingerenza della Magistratura nella vita
politica del Paese, ma nessuno sembra rimanere sorpreso quando i
nostri politici addirittura anticipano i risultati di lunghi mesi
di indagini, confezionando una sentenza "già pronta per
l’uso"… Ma questa è una considerazione accademica, che
in fondo si riallaccia alle considerazioni iniziali, alla triste
consapevolezza che oggi, grazie alla sentenza del GIP, Piazza
Alimonda sarà ricordata così: un giovane di 23 anni che tenta di
assaltare una camionetta dei carabinieri, con intenti sicuramente
offensivi e forse omicidi, "costringendo" un giovane
militare a sparare per difendere l’incolumità propria e dei
commilitoni…
Ho letto le 48 pagine
scritte dalla Dr.sa Daloiso con la speranza di non trovare la
semplice acquisizione di una teoria confezionata già poche ore
dopo l’evento. Purtroppo le mie speranze sono andate deluse: la
"confezione" è diversa, sicuramente più accurata e
meno frettolosa, ma il lavoro del GIP resta deludente. Vediamo di
analizzarlo in diverse sezioni.
LA RICOSTRUZIONE
AMBIENTALE
Per la ricostruzione del
fatto (o per meglio dire del contesto ambientale in cui maturò la
tragedia di Piazza Alimonda) la Dr.ssa Daloiso fa riferimento in
particolare alla testimonianza di un anonimo anarchico (seconda
divagazione nel campo dell’ironia: credo sia la prima volta che
la testimonianza di un anarchico, per di più anonimo, conti
qualcosa per la Magistratura italiana…) che su un sito internet
( www.anarchy99.net)
ha lasciato la propria testimonianza (nelle parole del GIP: "un
dettagliato racconto certamente aderente alla realtà per i
particolari descritti che trovano riscontro nel materiale video
fotografico e nelle testimonianze in atti e può dunque costituire
la base per ricostruire con precisione gli eventi").
Nel complesso appare
chiara l’intenzione del GIP: dimostrare come l’atteggiamento
dei manifestanti fosse di un’aggressività tale da far ritenere
fondata, concreta ed imminente la minaccia per l’incolumità
degli occupanti del famoso defender. Resta priva di spiegazioni,
nel decreto di archiviazione, la rabbia di quei manifestanti.
Su "Carta" del
2 maggio 2003 Haidi Giuliani ha scritto: "Più
mi documentavo, più si allungava la fila dei miei perché. Perché
quel corteo era stato caricato senza preavviso, senza ragione
apparente mentre transitava lungo un percorso autorizzato? Perché
in precedenza non si erano fermati i delinquenti vestiti di nero
che spaccavano e incendiavano? (…) Chi aveva comandato, dopo tre
ore di cariche, di lacrimogeni, di pestaggi, quel breve assalto
laterale? Perché quella camionetta si è fermata in mezzo
all'incrocio contro il cassonetto? Chi ha rotto il vetro
posteriore? (…) Perché la polizia che presidiava con numerosi
mezzi la via adiacente non è intervenuta? (…) E ancora: che
cosa è accaduto, dopo? (…) A queste domande - pensavo -
risponderà l'inchiesta".
Si potrebbe obbiettare
che scopo dell’indagine penale era solamente il ricostruire il
fatto in sé, e non le complesse origini del fatto stesso. Si
potrebbe obbiettare ancora che l’indagine penale non deve
rispondere a dubbi di natura etico-morale sul comportamento degli
indagati, ma solo accertare se quel comportamento abbia o meno
violato il codice penale…
Eppure, nonostante queste
obiezioni, il dubbio sulla ricostruzione contenuta nel
documento-Daloiso resta: perché il GIP OPERA una
contestualizzazione dell’evento ("E non vi è parimenti
dubbio che la situazione in cui Placanica si è trovato ad agire
fosse di estrema violenza volta a destabilizzare l’ordine
pubblico ed in atto nei confronti delle stesse forze
dell’ordine"), ma la opera IN SENSO UNIDIREZIONALE: è
chiaro l’intento di dimostrare che se anche si volesse parlare
di eccessi delle forze dell’ordine questi sarebbero stati la
risposta alle violenze dei manifestanti, e non l’opposto.
Insomma, non è vero che
l’ordinanza-archiviazione ha rifiutato di ricostruire il
contesto in cui è maturata la morte di Carlo (atteggiamento che,
seppur discutibile, sarebbe stato perlomeno spiegabile proprio con
l’esigenza di imparzialità e distacco che dovrebbe accompagnare
l’azione della Magistratura); l’ordinanza HA VOLUTO costruire
un contesto, ma che fosse di comodo per gli apparati dello stato.
Si è voluto affermare "di facciata" che per risolvere
il caso bastavano i periti e la dinamica del fatto, salvo poi
affermare che proprio il contesto spiegherebbe la legittima
difesa…
Ma, a proposito di tale
contesto, torniamo all’"anonimo anarchico". Specifico
da subito che, non avendo competenze tecnico-legali, non posso
pronunciarmi su quanto sia corretta la scelta di assumere una
testimonianza anonima quale fondamento di una ricostruzione
ambientale in un caso di omicidio; i miei dubbi resteranno
confinati alla dimensione della "opportunità morale",
diciamo così, ma sulla correttezza procedurale non posso dire
nulla.
Mi interessa però
analizzare la testimonianza in sé, che mi lascia molto perplesso
a cominciare dallo "strano" linguaggio usato dal
presunto anarchico, che alterna definizioni tecniche ("Il
dispositivo poliziesco") ad altre più colorite ("sbirri",
"ho notato che pisciava sangue dall’orbita sinistra",
"ne prendevano tante sul muso").
A dire il vero questa
altalena linguistica potrebbe essere spiegata con una traduzione
non raffinatissima, volta più a conservare il senso della
testimonianza che la sua forma. Ma leggendo il testo originale (in
francese; anche se non è da escludere fosse in italiano, traslato
in francese per la pubblicazione in internet e poi tradotto ancora
dai consulenti dei Magistrati) le perplessità circa il tono
ondivago dell’anarchico restano; le sue parole a tratti sembrano
una deposizione davanti ad un Magistrato; in altri momenti il
frutto di un’avversione per la polizia ("gli sbirri")
talmente evidente da sembrare stereotipata; in altri ancora sono
le definizioni "militaresche" (il già citato
"dispositivo poliziesco", ma in generale tutto il
racconto presenta diversi passaggi scritti con linguaggio da
"osservatore militare") che portano molte domande… Ma,
al di là del tono, è pacifico che questa sua ricostruzione
sembra ESATTAMENTE quella che farebbe comodo alle forze
dell’ordine. Ci troviamo infatti ripetute considerazioni su un
altissimo numero di manifestanti ("C'erano migliaia di
persone in questa zona vicino agli scontri (…) c'era tanta gente
e le prime tracce di scontri iniziavano a farsi vive (…) c'erano
centinaia di persone nelle prime file dei tumultuanti (…)
centinaia di persone hanno iniziato ad avanzare contro gli sbirri
(…) c'erano 1000/2000 più su nel corso che iniziavano a seguire
sempre più numerosi e rapidamente le prime file di
tumultuanti") e su una situazione ambientale di violenza
estrema ("e' iniziata adesso
una vera pioggia di pietre. Ce n'erano sempre di più che gli
cadevano addosso (…) Il lancio di pietre ha preso forma di
avvicendarsi intensamente e rapidamente (…) L'atmosfera era
furiosa. Il livello di violenza era veramente elevato. (…) E'
stato tutto violento, rapido e confuso").
Attenzione: non dico che
questo racconto sia TUTTO E PALESEMENTE falso: è il tono che non
mi convince; l’enfasi con cui si sottolineano il numero e la
violenza dei manifestanti potrebbe essere usata da chiunque, pur
non essendo stato presente in Piazza Alimonda, avesse voluto
scrivere un racconto di genere hard-boiled, dove una lettura
cinica ed esasperata dell’azione e della violenza ha un ruolo
predominante rispetto alla trama. Più che una testimonianza
sembra "un compitino"; ben scritto e, forse, GIA’
scritto…
Insomma, la testimonianza
non fa che avvalorare LA PRIMA tesi che le forze dell’ordine
cercarono di portare avanti (o meglio: la seconda, dopo che la
prima, basata sul sasso che aveva ucciso Carlo, si era sciolta
come neve al sole dopo le prime foto): la legittima difesa in un
contesto di aggressione che faceva temere per la vita degli
occupanti del defender. Nelle parole dell’"anarchico"
non manca nulla: la camionetta isolata, la situazione ambientale
insostenibile, il panico degli occupanti la camionetta… Ma se è
comprensibile che la testimonianza dell’anarchico non comprenda
tutti gli approfondimenti successivi (vero o falso che sia il
documento è fermo all’immediatezza dei fatti) è assolutamente
criticabile che il GIP assuma come oro colato quella testimonianza
trascurando quegli approfondimenti come se non fossero mai venuti
a galla (la jeep NON ERA isolata; la sassaiola che colpisce il
defender va scemando già prima della morte di Carlo, tanto che la
maggior parte dei manifestanti si erano già allontanati dalla
vettura; la situazione per gli occupanti la jeep non sembra essere
tale da far pensare ad un reale pericolo di vita).
UN PICCOLO DETTAGLIO…
Quanto alla convinzione
del GIP secondo cui la ricostruzione dei fatti sarebbe stata
operata con completezza e frutto di analisi scrupolose, mi
permetto di obbiettare con un piccolo particolare (che si aggiunge
ad altri che abbiamo già visto o che vedremo in seguito): a
pagina 35 dell’ordinanza la Dr.sa Daloiso scrive: "…
quello stesso estintore che alcuni secondi dopo Carlo Giuliani
raccoglierà da terra alzandolo sopra la testa per scagliarlo
nuovamente all’interno della camionetta, come qualcun altro, se
non addirittura lui stesso, aveva poco prima tentato di
fare…". Questa considerazione ("se non
addirittura lui stesso") può apparire di scarso rilevo,
ma testimonia in maniera lampante la superficialità con cui sono
state valutate certe documentazioni e la volontà di screditare la
vittima, facendo apparire il suo gesto come la reiterazione di una
violenza già compiuta in precedenza. Nel film di Francesca
Comencini, "Carlo Giuliani, ragazzo", risulta EVIDENTE
che il primo lancio dell’estintore viene fatto DA UN ALTRO
MANIFESTANTE. L’estintore si ferma per pochi attimi in bilico
sulla ruota di scorta del defender per poi rotolare giù,
probabilmente spinto dal "famoso" piede che spunta dal
lunotto posteriore. Si scorge anche, di sfuggita, il momento in
cui Carlo lo raccoglie da terra. Questo momento precede di pochi
istanti i due spari, e questa circostanza è confermata dalle
parole del Maresciallo Piergiorgio Amatori (si tratta
dell’ufficiale che, poco distante da Piazza Alimonda, si
avvicina poi al defender in fuga per prestare soccorso, e
sostituisce alla guida Cavataio, in stato confusionale): "in
particolare ho notato un estintore scagliato da un manifestante
contro il vetro posteriore della camionetta. Quasi
contemporaneamente ho avvertito distintamente due colpi
d’arma da fuoco…".
Quel "quasi
contemporaneamente", peraltro suffragato dal video già
citato, mi sembra stroncare anche un’altra "sicurezza"
che il GIP ha mutuato dal lavoro dei periti: quella secondo cui
Carlo (ripreso dalla già citata foto laterale di Marco d’Auria
con l’estintore sopra il capo a più di 3 metri di distanza dal
filo posteriore della jeep) avrebbe dimezzato la propria distanza
dall’automezzo prima dello sparo, portandola a metri 1,70. La
circostanza mi sembra pura fantasia. E ricordo che la distanza di
Carlo dalla jeep E’ FONDAMENTALE, in quanto con una distanza
diversa da un metro e 70 la "teoria del calcinaccio"
cadrebbe definitivamente, visto che l’ipotizzata deviazione di
traiettoria interesserebbe il volto di Carlo solo se
quest’ultimo fosse stato proprio a quella distanza
dall’automezzo.
Dall’ordinanza del GIP:
"[i consulenti del Pubblico Ministero] hanno effettuato
prove di sparo (…) La cassetta di recupero dei proiettili è
stata posta alla distanza di m 1,75 dal portellone posteriore del
veicolo. Infatti i consulenti del Pubblico Ministero, sulla base
dei riferimenti spaziali che appaiono nelle fotografie, hanno
ipotizzato che Carlo Giuliani potesse trovarsi alla distanza di
circa 3 metri dal "defender" nel momento in cui si
dirigeva vero il mezzo sollevando l'estintore sul capo, con la
gamba sinistra alzata; e che abbia pertanto coperto l'ulteriore
spazio di circa m 1,50 prima di essere colpito". In
altre parole mi sembra che per fornire una spiegazione
"attendibile" dell’evento si siano addirittura sommate
NON due certezze, ma due fantasie: prima la deviazione del
proiettile, e poi (visto che la deviazione da sola non bastava…)
si sia letteralmente spostato in avanti Carlo di un metro e mezzo
per fargli incontrare la pallottola che altrimenti, anche con la
fantasiosa teoria del calcinaccio, non lo avrebbe mai colpito.
Addirittura irritante è
il modo in cui la Dr.ssa Daloiso cerca di avvalorare la tesi
secondo cui Carlo sarebbe stato colpito quando si trovava ad una
distanza inferiore a quella rilevata dalla famosa "foto D’Auria":
lo fa citando l’unica persona che colloca la vittima a circa due
metri dal defender. Si tratterebbe (vedremo fra poco perché è
corretto usare il condizionale) di Eurialo Predonzani, divenuto
"famoso" nelle immagini di Genova per essere "il
ragazzo col casco e salvagente rosso"). Il brano che ci
interessa, tratto dall’ordinanza-archiviazione, è questo:
"Un attimo prima di fuggire
vedo l'estintore a terra, è tozzo, bombato e di colore arancione,
vedo un ragazzo che barcolla che si trova a non più di 2 metri
dalla jeep".
Il punto è questo: il
brano sopra riportato proviene dalla deposizione fatta il 6
settembre 2001 dal Predonzani davanti al PM, più precisamente si
tratta della lettura (fatta dal PM all’interessato), di
un’intervista rilasciata da Predonzani al Corriere della Sera…
MA NON E’ VERO che il Predonzani in occasione dell’audizione
abbia confermato l’intervista! Anzi, in più passaggi il ragazzo
contesta la correttezza delle frasi che il Dottor Franz gli
rilegge (estratte dall’intervista al "Corriere"),
tanto da fare mettere a verbale : "Voglio
infine aggiungere che ho rilasciato due interviste in questo
periodo: una a Marisa Fumagalli del Corriere della Sera del 31.7
ed una al Manifesto (…) Mentre ho delle riserve sul contenuto
e sulle frasi attribuitemi dalla Fumagalli, ho trovato molto
più fedele l’articolo del Manifesto".
La cosa risulta evidente
anche in altri particolari: Predonzani è perentorio nel sostenere
che la jeep dei carabinieri avesse il lunotto posteriore GIA’
ROTTO nel momento in cui urtò il cassonetto in Piazza Alimonda.
Lo scrive nel memoriale che deposita presso il PM e lo ribadisce
PER BEN DUE VOLTE al dottor Franz; e questo particolare è
confermato anche da altre testimonianze (prima fra tutte, quella
del famoso "anonimo anarchico", le cui parole per altre
circostanze sono state prese per oro colato dal GIP). La famosa
intervista al Corriere della Sera recitava diversamente: "qualcuno
di noi riesce a sfondare il lunotto posteriore, credo con un
bastone…".
Insomma, per confermare
la vicinanza di Carlo alla jeep la Dr.ssa Daloiso cita uno
stralcio di un’intervista SMENTITA dallo stesso interessato e
priva di altri riscontri oggettivi, precisamente l’unico
passaggio in cui a proposito di Carlo si dice "… a non
più di due metri dalla jeep". E questo basta al GIP per
affermare apoditticamente l’esistenza di dichiarazioni (notare
il plurale…) che "collocano Carlo Giuliani a circa due
metri dal defender", e per ritenere quindi i risultati
della perizia (già fantasiosi dal punto di vista concettuale)
confermati anche a livello di distanze spaziali, dove i dubbi sono
ancora più rilevanti…
UN ALTRO
"PICCOLO" DETTAGLIO…
Gran parte delle indagini
sono state condotte da appartenenti all’arma dei carabinieri,
ossia dallo stesso ramo delle forze dell’ordine a cui appartiene
l’indagato. Questo non è solo contrario alla logica più
elementare, ma viola i principi stabiliti dalla Corte Europea dei
diritti dell’uomo, secondo cui inchieste di questo tipo devono
essere affidate a corpi indipendenti da quelli coinvolti. La Dr.sa
Daloiso a tale proposito si limita a dire che "tali
considerazioni possono avere poteri suggestivi, ma nulla hanno a
che vedere con ciò che davvero si è verificato in Piazza
Alimonda portando alla tragica morte del giovane Giuliani, le cui
drammatiche fasi sono state documentate da copioso materiale video
fotografico in atti e dalle dichiarazioni degli stessi
protagonisti della vicenda con una dovizia di mezzi e particolari
che non può e non deve consentire di spostare l’attenzione su
considerazioni del tutto irrilevanti".
Anche questo mi sembra
confermare l’atteggiamento del GIP, teso a cercare solo gli
elementi che confermerebbero una ricostruzione di cui lo stesso si
era intimamente già convinto, fuggendo da considerazioni che
avrebbero rimesso in discussione "certezze" già
precostituite.
ANCHE IL LINGUAGGIO HA LA
SUA IMPORTANZA…
Il GIP parla con grande
distacco dell’evento. Solo sul finire (precisamente a pagina 38)
parla di "tragica morte di Carlo Giuliani". E da
qui fino all’ultima pagina le considerazioni "più
umane" si infittiscono improvvisamente: "tragica
fatalità" (pag. 41), "tragico episodio"
(pag. 43), ancora "tragica morte" (pag. 44).
Sembra quasi che solo
dopo aver smontato le tesi dei familiari della vittima e dopo aver
stabilito in via definitiva che la condotta di Placanica era da
inquadrarsi nell’uso legittimo delle armi (pag. 30) e nella
legittima difesa (pag. 37) il GIP si senta liberato dall’obbligo
del distacco emozionale… O forse solo a questo punto il GIP
ritiene doverosa e non controproducente qualche considerazione
"umana".
Mi viene in mente uno
strano parallelo con Filippo Cavataio, l’autista del mezzo, che
dice di non essersi accorto di aver travolto il corpo di Carlo per
ben due volte… "Ho pensato ad un cumulo di immondizia,
visto che era stato rovesciato il cassonetto…", afferma,
lasciando involontariamente una metafora agghiacciante di quanto
accaduto: il corpo di Carlo era inutile quanto un cumulo di
immondizia, qualcosa di cui ci si deve liberare in fretta e senza
tanti pensieri… E così pure la dottoressa Daloiso "si
libera" del corpo di Carlo, e solo dopo averlo
"scaricato" assolvendo Placanica riesce a parlare di
"tragedia", in un sussulto di umanità che voglio
perlomeno sperare sincero…
Ma forse il momento più
stucchevole dell’ordinanza del GIP arriva sul finale, quando la
Dott.sa Daloiso respinge le richieste di integrazione delle
indagini avanzate dalla famiglia Giuliani. In particolare sulla
richiesta di una nuova consulenza sulle cause della morte di
Carlo, per determinare quanto abbia contribuito il passaggio sul
suo corpo del defender, l’ordinanza afferma che "non vi
sono in atti elementi che consentano di dubitare della scrupolosità
degli accertamenti eseguiti e della correttezza dei metodi di
indagine esperiti" (nota mia: nonostante lo stesso PM,
ripeto, avesse definito superficiale l’autopsia). Ma soprattutto
il GIP si lascia andare a questa considerazione: "Va
inoltre osservato che le persone offese, messe in condizione di
partecipare all'autopsia disposta sul corpo del giovane con propri
consulenti e dunque di verificare la correttezza dei metodi di
indagine che venivano applicati, non hanno ritenuto di avvalersi
di tale facoltà nè di svolgere propri accertamenti sulla salma
del giovane che anzi è stato cremato appena tre giorni dopo la
sua morte, rendendo, quand'anche fosse utile (il che non è)
impossibile qualsiasi ulteriore accertamento".
Dunque, in parole povere:
"cosa pretende la famiglia Giuliani, visto che HA SCELTO di
non partecipare all’autopsia e per di più ha fatto cremare il
proprio congiunto?! Se l’autopsia dice che un mezzo di circa due
tonnellate (comprese le persone a bordo) può passare sopra un
corpo senza lasciare danni rilevanti sarà vero, che
diamine!"
Indipendentemente dagli
altri rilievi fatti sull’ordinanza per motivi
"tecnici", questa considerazione mi sembra il punto più
basso a livello di sensibilità umana… Ma è comunque un
passaggio che ha un merito enorme: rende palese lo spirito che
sottende l’intero documento di archiviazione; una volontà, come
accennavo nella premessa, di RIMOZIONE più che di archiviazione.
Lo stesso spirito che fece dire all’ex Ministro Scajola "Ne
eravamo certi fin dal primo momento: è scattata la legittima
difesa".
MARIO PLACANICA
OVVERO: UN UOMO, DUE
SPARI, MOLTE VERSIONI…
In questa sezione vediamo
di analizzare quello che è (o è stato fatto diventare) il
principale protagonista della vicenda: Mario Placanica,
carabiniere calabrese, 20 anni all’epoca del fatto, l’uomo che
si è autoaccusato di avere esploso due colpi dal defender in
Piazza Alimonda il primo dei quali raggiunse Carlo al volto.
Innanzitutto riporto
alcuni brani di sue dichiarazioni, rilasciate in tempi successivi.
dal primo verbale del 20
luglio 2001 (Fonte "Misteri
d’Italia" - http://www.misteriditalia.com/)
"alla vista del
sangue e del mio amico ferito ho messo il colpo in canna alla
pistola che tenevo in una fondina a coscia, rimettendo poi però
la sicura. Nel frattempo intimavo ai manifestanti di finirla perché
se no avrei sparato, loro imperterriti hanno continuato a colpire
e a lanciare pietre.
Nell'agitazione e
cercando di difendermi, mi sono accorto a posteriori che con la
mano avevo nel frattempo inavvertitamente levato la sicura. Il
lancio di pietre è continuato ed io ho sentito la mia mano
contrarsi e partire dalla mia pistola 2 colpi di arma da fuoco; io
ero in posizione accucciata con la mano alzata ed armata, la mia
mano con la pistola era quella che spuntava dalla
camionetta".
A domanda risponde:
"Alla mia vista nel
momento in cui puntavo la pistola non aveva persone, percepivo che
vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo
lancio di pietre. Ero convinto che vedendo l'arma avrebbero
desistito ed invece hanno continuato".
A domanda risponde:
"Per quello che
posso ricordare mi pare di aver tenuto la pistola in mano con le
modalità riferite per circa un minuto. Anche dopo che sono
partiti i due colpi il lancio delle pietre è continuato; nessuno
ha urlato, nessuno ha detto nulla in merito alla possibilità che
avessi colpito qualcuno. Io ero accucciato e non ho fatto caso se
avessi colpito qualcuno".
Dal secondo verbale, 9
settembre 2001 (Fonte: Il Secolo
XIX del 19.07.02)
"Ricordo il
particolare di avere sentito il vetro posteriore infrangersi e
vidi Raffone come tramortito. Gli dissi di piegarsi e di stare
fermo, mentre io mi posizionavo con le spalle al sedile di
Cavataio e cercavo di evitare di essere trascinato fuori, in
quanto vi erano diverse mani che mi avevano preso le gambe e
temevo che cercassero di appropriarsi dell’arma posizionata
sulla coscia destra. Subito sentii un forte dolore alla testa e
toccatomi vidi che stavo perdendo sangue essendo stato già
colpito una volta, forse due, da una pietra che vidi sul pavimento
sporca di sangue. (…) Fu in quel momento che decisi di estrarre
la pistola che tenevo nella fondina posizionata nella coscia
destra vicino al ginocchio. Tolsi la sicura rimettendola
immediatamente dopo. Mi misi a urlare "andatevene o vi
ammazzo" e lo dissi almeno tre o quattro volte.
L’aggressione stava continuando e fu allora che esplosi un
colpo, il successivo seguì quasi di riflesso trattandosi di arma
semiautomatica. Nel giro di pochi attimi Cavataio riuscì a
rimettere in moto l’auto".
Da Il Nuovo del 26 maggio
2002 (trascrizione parziale di
un’intervista rilasciata da Mario Placanica a "Terra"
– Canale5)
"Prima della pistola
si può usare la parola ... e a quel punto io intimai, gridai di
allontanarsi altrimenti avrei sparato ... alla mia sinistra c'era
gente... dietro c'era gente ... e allora presi la pistola e sparai
dei colpi".
"Ho cercato di
sparare in aria, per questo dico che non mi sono accorto che
c'era Carlo Giuliani dietro la macchina"
"Non ho visto Carlo
Giuliani, ho visto una persona che veniva contro di noi con un
oggetto metallico molto grosso, non riuscivo a distinguere se era
un estintore perché i miei occhi ancora lacrimavano per i
lacrimogeni e poi c'era il sangue sulla mia faccia".
intervista al TG1 del
luglio 2002, ripresa da diversi
quotidiani – versione estratta da un articolo di Madame
Psychosis apparso su Il Barbiere della Sera - http://www.ilbarbieredellasera.com/
"C'era una gran
confusione. Si sentivano botti da tante parti. Con questo non
accuso nessuno: ma non sono stato il solo a sparare. Potrei non
essere stato io. Se non sono stati i miei due colpi a uccidere
Giuliani, allora mi hanno fatto vivere un anno terribile senza che
lo meritassi. (…) Non so neppure se sono stato io …
adesso posso solo confermare di avere sparato in aria. Sono sicuro
di questo … però secondo me c'è un mistero: tutte quelle
pietre che deviano proiettili, corpi metallici, non si capisce
niente … A volte ho la sensazione di essere stato usato per
coprire responsabilità più grandi delle mie, ma adesso non ci
sto più … anzi, non credo di essere stato io a uccidere Carlo
Giuliani … la verità è che io non ho mai avuto un ricordo
nitido di quei fatti. Ma in piazza Alimonda quel giorno è
successo qualcosa di strano, mi hanno lasciato solo".
Vediamo ora di
ripercorrere in modo critico questi brani, evidenziando le
contraddizioni emerse.
LA DIREZIONE DEI COLPI
ESPLOSI
Placanica già nei due
interrogatori fornisce due versioni diverse, ma non dice MAI di
avere sparato in alto: questo lo dirà solo alla stampa, DOPO la
perizia dei tecnici incaricati dal PM che per la prima volta
accenna al colpo deviato… Per di più il giovane carabiniere
aggiunge (sempre e solo DOPO le due testimonianze di fronte al PM)
strane e sibilline considerazioni sul fatto che potrebbe aver
sparato qualcun altro… Senza che per questo il PM abbia ritenuto
necessaria una sua nuova convocazione.
Tralasciando ulteriori
commenti sulla bizzarra teoria del calcinaccio che avrebbe deviato
il primo colpo, è da ricordare che il secondo colpo andò a
conficcarsi in un muro a 23 metri di distanza e ad un altezza di
metri 5,20, con un angolo di inclinazione che non fa certo pensare
ad un colpo sparato in aria (questo proiettile nel suo primo
tratto avrebbe tranquillamente colpito una persona di statura
normale), e che lo stesso PM a tale proposito dichiara la
"non possibilità di determinare la traiettoria del
proiettile che ha attinto il Giuliani".
LA POSIZIONE DI PLACANICA
ALL’INTERNO DEL DEFENDER
Anche su questo aspetto
restano molti dubbi.
"ho visto in
difficoltà il mio collega e ho pensato che dovevo difenderlo;
l'ho abbracciato per le spalle ed ho cercato di farlo accucciare
sul fondo della jeep" (primo
verbale del 20 luglio 2001).
"Ho preso una botta
in testa da quella trave infilata nel Defender. (…) Ho sparato.
Nella posizione in cui mi trovavo, semidisteso nell'auto, potevo
sparare solo verso l'alto. La mia mano con la pistola era al di
dentro dell'auto, ne sono certo, e non fuori come appare in
qualche strana immagine. Ho sparato due colpi in successione, uno
sembra sia finito sul muro della chiesa, l'altro - dicono -
avrebbe ucciso Carlo Giuliani"
(intervista a Repubblica).
A questo proposito esiste
una foto che ha fatto molto discutere:
Il corpo del carabiniere
che impugna la pistola è sormontato da quello di un collega che
si copre parzialmente il lato sinistro della faccia con la mano e
sembra rivolgersi al guidatore. Se è Placanica a sparare (e se
davvero nella camionetta erano in tre) quel carabiniere può
essere solo Raffone… Ma in questo caso crollerebbe la versione
di un Placanica che spara accucciato sul pianale della jeep mentre
protegge il sottostante Raffone. E risulta difficile pensare che
Placanica si sia confuso: la circostanza secondo cui Placanica si
sarebbe posto a protezione del semitramortito e disteso Raffone è
infatti un punto fermo nelle dichiarazioni del Placanica, che per
molti altri aspetti risultano contraddittorie.
Ma la foto sopra
riportata (scattata poco dopo lo sparo mortale, mentre la jeep ha
travolto una prima volta il corpo di Carlo e sta per lasciare
Piazza Alimonda) ha fatto nascere anche altri dubbi, persino più
inquietanti, ai quali purtroppo non sono in grado di fornire
risposte. Il carabiniere ferito alla parte sinistra del volto (che
non impugna pistole, o perlomeno non la impugna in questo momento)
assomiglia molto a Placanica, che quindi NON POTREBBE ESSERE
l’uomo che ha sparato (ma vedremo fra poco che in questo caso è
bene usare il condizionale e grande prudenza…). Questa è
l’unica foto che ritrae Placanica ferito pochi minuti dopo
l’arrivo del carabiniere all’ospedale Galliera di Genova.
La somiglianza in effetti
c’è. Nel film "Genova senza risposte" Lello Voce
parla anche di queste due foto, dicendo che il profilo del
carabiniere ferito nella jeep è incompatibile con quello di Dario
Raffone (il terzo occupante "certo" del defender), ma la
definizione delle due foto non è tale da consentire certezze in
merito.
Per ora vediamo di
conoscere meglio le condizioni di Raffone; le possiamo ricostruire
in base a dichiarazioni del Placanica ("il mio amico è
rimasto colpito da una pietra sotto l’occhio all’altezza dello
zigomo"), dello stesso interessato (21 luglio 2001: "io
fui colpito alla schiena e al volto da delle pietre e cominciai a
perdere sangue (…) Sono stato curato presso l’ospedale
Galliera dove mi è stato diagnosticato un forte ematoma allo
zigomo destro ed ecchimosi varie") e dall’ordinanza del
GIP ("il carabiniere Raffone [risultava aver
riportato] contusioni escoriate al
naso e allo zigomo destro, contusioni alla spalla ed al piede
sinistro").
Ma accantoniamo il
discorso sulla somiglianza Placanica/Raffone; la questione è
impossibile da risolvere in questa sede, ma soprattutto non è così
rilevante, in quanto esistono nella prima foto BEN ALTRI ELEMENTI
(meno aleatori) che mettono in discussione la versione di
Placanica. Di sicuro nella foto c’è un carabiniere semidisteso
sul pianale (se ne nota uno scarpone, appoggiato al lunotto
posteriore del defender), e sembra che questo militare sia proprio
quello che ha aperto il fuoco (più precisamente: il piede
appoggiato sul retro della vettura e la mano che impugna la
pistola sembrano appartenere alla stessa persona). Ma allora i
conti non tornano: se è Placanica a sparare, allora Placanica è
il militare semidisteso con lo scarpone visibile. Questo
spiegherebbe anche certe sue dichiarazioni: "(…) vi
erano diverse mani che mi avevano preso le gambe…",
"io scalciavo perché i manifestanti mi tiravano per una
gamba che mi veniva afferrata dall’esterno per tentare di
tirarmi fuori dalla macchina", circostanza non
documentata da nessuna foto di Piazza Alimonda e che potrebbe
essere spiegata solo come sensazione istintiva, anche se
totalmente infondata (NESSUN manifestante riesce ad arrivare così
vicino al retro del defender da poter afferrare per la gamba un
militare). Ma se Placanica è semidisteso, allora è Raffone
l’uomo in posizione eretta che si tiene il volto; e questo cozza
contro una delle poche certezze dell’accusato (che su molti
punti, come abbiamo visto e come vedremo, si contraddice, ma che
afferma SEMPRE che la sua posizione era SOPRA al Raffone,
semitramortito). Questa circostanza viene avvalorata dalle parole
dello stesso Raffone: "il carabiniere che mi stava davanti
cercava a sua volta di rannicchiarsi sopra di me e di
proteggerci". A questo proposito è utile pure ricordare
alcune dichiarazioni del già citato Maresciallo Piergiorgio
Amatori: "Ho notato che
l’autista era sceso ed era visibilmente agitato, mi ha chiesto
aiuto. Nel frattempo ho notato il carabiniere seduto dietro il
posto di guida che si teneva la testa sanguinante. (…) In
quel frangente il carabiniere ferito perdeva molto sangue, si
lamentava e chiedeva soccorso. (…) Gli altri due carabinieri non
parlavano ed io girandomi ho notato che quello ferito aveva una
pistola in pugno, tanto che gli ho detto di mettere la
sicura".
Attenzione, perché la
deposizione di Amatori mi sembra molto importante e sottovalutata
dal GIP (anche considerando che si tratta di una deposizione
"lucida", fatta da un uomo i cui ricordi non sono
inquinati dalla concitazione dei momenti di Piazza Alimonda).
Amatori parla di UN SOLO carabiniere ferito alla testa e
sanguinante, seduto dietro al posto di guida; e aggiunge che E’
PROPRIO QUEL CARABINIERE a tenere in mano la pistola.
In definitiva, da
un’analisi della foto e delle deposizioni lette mi sembra
emergano almeno quattro ipotesi:
1) Il carabiniere in
posizione eretta con la mano sulla guancia sinistra è proprio
Placanica, che si è alzato dalla posizione precedente in cui
"proteggeva" Raffone… Ma allora i militari che hanno
sparato, o almeno puntato armi verso l’esterno, dovrebbero
essere due. E questo potrebbe trovare un parziale riscontro nella
prima perizia balistica ordinata dal Dott. Franz, che in un primo
momento parlò di due bossoli esplosi da due armi differenti,
perizia che poi fu corretta andando ad attribuire entrambi i
bossoli all’arma di Placanica.
2) Nella jeep non erano
in tre: posto che Cavataio è un "punto fermo" (è
l’autista), posto che Raffone sia davvero semidisteso e
tramortito sul pianale, e che il Placanica sia l’uomo che si
tiene il lato sinistro del volto, c’è un quarto uomo.
3) il carabiniere in
posizione eretta ferito al volto è Raffone, ma in questo caso sia
lui che Placanica hanno mentito davanti al Giudice, attribuendosi
all’interno del defender posizioni sbagliate. Potrebbero essersi
confusi, certo, ma appare strano che i due commettano lo stesso
errore…
4) Placanica è proprio
l’uomo che tiene la mano sul lato sinistro della faccia (dove è
stato ferito). Raffone NON E’ MAI STATO su quella jeep (ecco
perché quando parla delle posizioni sul defender "si
confonde", sì, ma si confonde proprio come Placanica…) e a
sparare è un altro militare. Inquietante, lo so. Ma in fondo è
solo un’ipotesi…
Concludendo questa lunga
dissertazione partita dalla foto che ho riportato, devo
sottolineare che NESSUNA di queste considerazioni mi sembra emersa
dalle 48 pagine dell’ordinanza-archiviazione. Leggendo il
dispositivo sembra addirittura che questa foto non sia stata
neppure presa in considerazione. Non posso ovviamente sapere se
non fosse agli atti o se sia stata, semplicemente, ignorata
assieme a tutti i dubbi che poteva portare.
Abbandoniamo ora i dubbi
(purtroppo rimasti tali) sollevati dalla foto, ma rimaniamo alla
posizione del Placanica nel defender: anche la posizione della sua
mano risulta diversa nelle dichiarazioni ("la mia mano
con la pistola era quella che spuntava dalla camionetta";
"La mia mano con la pistola era al di dentro dell'auto, ne
sono certo, e non fuori come appare in qualche strana
immagine"). Può sembrare un fatto di
secondaria importanza (anche perché, a dire il vero, sembra
assodato e condiviso anche dai periti di parte Giuliani che al
momento dello sparo la mano armata era di circa 30 cm.
all’interno del filo posteriore della jeep; impressioni diverse
possono stavolta essere davvero giustificate con
"scherzi" dovuti al punto di ripresa delle immagini o
con ricordi poco nitidi dei protagonisti); ma non è più di
secondaria importanza se uniamo questa contraddizione al dubbio
circa il numero dei carabinieri all’interno della jeep (ricordo
ancora che alcuni testimoni parlarono di 4 e non 3 occupanti),
alle conseguenti perplessità su quante persone hanno sparato in
quei frangenti, e soprattutto alla sicurezza con cui il giovane
carabiniere espone questo dettaglio: su molti aspetti Placanica si
trincera dietro a "non so, non ricordo" , ma sulla
posizione della sua mano dà con sicurezza contrastante due
versioni ben diverse… Senza che nessuno cerchi di approfondire
l’argomento
ALTRI DETTAGLI
Anche sulla propria
abilità nell’uso delle armi Placanica cade in una
contraddizione, forse meno clamorosa ma persino più evidente: "Avevo
una certa pratica nell’uso delle armi, e per tale motivo
sono stato scelto quale granatista" (primo verbale del 20
luglio 2001). "Spero che si farà luce su questa questione
… difficilmente avrei colpito Giuliani… non so neanche
sparare, nelle esercitazioni al Poligono di tiro sono scarso"
(intervista al TG1 del luglio 2002, ripresa da diversi quotidiani
– anche questo brano è estratto dall’articolo di Madame
Psychosis).
CONCLUSIONI
Il fatto che le
dichiarazioni di Placanica siano contraddittorie mi sembra palese.
E, pure in assenza di specifiche conoscenze giuridiche, penso che
già la sola presenza di queste contraddizioni dovrebbe essere
sufficiente per ritenere necessario un pubblico dibattimento dove
emergano certezze laddove oggi sono rimaste solo zone d’ombra.
FILIPPO CAVATAIO
Una brevissima sezione la
merita anche l’autista del defender. Il PM ha ritenuto di
scagionare Cavataio "sia per
mancanza dell’elemento soggettivo … sia perché tale condotta
è stata ininfluente sull’evento".
Sicuramente Cavataio è
un altro che "non la racconta giusta", visto che in un
primo momento dice "non ho sentito colpi di arma da fuoco,
non ho sentito nulla se non le urla dei colleghi", ma
viene smentito dal già citato Maresciallo Amatori, che disse che
il carabiniere alla guida gli riferì di aver sentito gli spari
poco prima di fare retromarcia. Il Cavataio, davanti alla
contestazione del giudice su questa contraddizione se la cava
dicendo semplicemente "non
ricordo di aver riferito questa circostanza al maresciallo. Tenete
presente che ero nel panico".
Si potrebbe obbiettare
comunque che i disturbi all’udito di cui soffre Cavataio sono
del tipo "a singhiozzo", visto che gli sfuggono i colpi
d’arma da fuoco ma sente benissimo i colleghi che gli urlano di
andare via… Ma le percezioni sensoriali di Cavataio devono
essere disturbate in generale, visto che, come già detto, non
s’accorge di travolgere per ben due volte il corpo di una
persona, pensando ad un sacco di rifiuti…
Già, ci sarebbe da
scrivere parecchio anche su di lui, ma il Cavataio lasciamolo pure
ai margini della vicenda processuale, già abbastanza zeppa di
"buchi neri". Mi limito a dire che la fuga della jeep fu
un atto ignobile dal punto di vista morale. Immediatamente dopo
gli spari i manifestanti si allontanarono terrorizzati ed il corpo
di Carlo fu circondato dalle forze dell’ordine. In questo
contesto la fuga dei carabinieri fu un gesto di vigliaccheria
avvilente. La responsabilità di chi travolge un ferito omettendo
di prestargli soccorso mi sembrano innegabili. Ma su questo mi
auguro "lavori" la coscienza di Cavataio. Non è una
grande speranza, ma in proposito non mi resta molto altro a cui
aggrapparmi…
CONCLUSIONI
Come ho detto nella
premessa, questo articolo non comprende tutti gli argomenti che la
controinchiesta ha trattato. Vedrò ora di fare una veloce
carrellata sugli aspetti che ho lasciato inevasi, rinnovando
l’invito a visitare il sito Pillola Rossa ( http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/),
dove troverete ANCHE gli approfondimenti sotto riportati.
IL PROIETTILE DI PLASTICA
Proprio gli effetti della
pallottola che colpì Carlo (effetti anomali, come già detto, per
un proiettile 9mm parabellum) portarono, PRIMA della teoria della
deviazione di traiettoria, anche all’ipotesi che il ragazzo
fosse stato colpito da un proiettile "speciale". Un
lungo articolo di Stealth approfondisce questa teoria.
I CCIR (Contingenti
Compagnie ad alto Intervento Risolutivo)
Questo argomento solo in
apparenza è marginale alla vicenda di Carlo Giuliani. In realtà
a volte tutti dimentichiamo che la morte di Carlo è da inquadrare
nell’ambito di una strategia repressiva di inaudita violenza che
fu attentamente pianificata PRIMA di Genova. I tre giorni di
Genova furono una specie di laboratorio delle nuove tattiche di
gestione dell’ordine pubblico; tattiche che trascendevano (forse
per la prima volta in modo davvero palese) l’obbiettivo del
"contenimento", a favore di un approccio aggressivo nei
confronti dei manifestanti.
Trovate questi
approfondimenti in un articolo di Franti.
UN ALTRO SASSO SULLA
SCENA…
Il calcinaccio che
avrebbe deviato il colpo di pistola di Placanica non ha l’onore
di essere l’unico protagonista "del regno minerale"
della vicenda…
"Bastardo! Lo hai
ucciso tu! Bastardo! Tu l’hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di
merda! Col tuo sasso l’hai ucciso".
E’ così che il vice questore Adriano Lauro si rivolge ad un
ragazzo che urla "assassini!" alla polizia e che, in
tutta risposta, si vede accusato di omicidio dal funzionario e si
dà quindi alla fuga.
La
"performance" di Adriano Lauro è entrata nella storia
di Piazza Alimonda. In un primo tempo ammetto di aver pensato che
quelle parole fossero solo lo sfogo di un momento di nervosismo…
Beh, certo un nervosismo ben strano in un ufficiale che, davanti
al Comitato Parlamentare d’inchiesta, dice di aver capito subito
che il ragazzo era morto: "Io ero certo che fosse morto -
ho una certa esperienza…"; "quando l'ho vista per
terra [la persona – nota mia] ricordo di aver capito
subito la situazione, perché usciva moltissimo sangue da una
delle tempie, dall'occhio in particolare" (e, con tutta
questa esperienza, Lauro riesce a pensare ad un sasso???!!!
Davanti ad un ragazzo con un foro sopra lo zigomo, da cui il
sangue esce a fontana???!!! Mah…). Ed il nervosismo di Lauro
appare ancora più strano se pensiamo che, sempre davanti al
Comitato Parlamentare, Lauro dice che per alcuni momenti pensò
davvero ad un sasso quale causa della morte del manifestante. E
questo renderebbe inspiegabile la "scarsa convinzione"
(per usare un eufemismo) con cui i poliziotti rincorrono il
ragazzo destinatario dell’accusa di Lauro: lasciano fuggire
quello che, in quel momento, è un presunto assassino.
La mia prima ipotesi
sulla "performance" di Adriano Lauro (una risposta
dettata solo dalla concitazione di quei momenti) non sarà forse
da sconfessare totalmente, ma resta il fatto che le parole di
Lauro VANNO CONTESTUALIZZATE con il primo tentativo di depistaggio
che fu operato: attribuire la morte di Carlo ad un sasso lanciato
dai manifestanti. Questa teoria scomparì poche ore dopo
l’evento, ma solo perché cominciarono ad affiorare le foto che
mostravano un carabiniere armato a bordo del defender.
Resta il fatto che sulla
fronte di Carlo appare una ferita inspiegabile (se non come ferita
inferta DOPO la sua caduta a terra), che potrebbe essere
relazionata con questo tentativo di depistaggio.
Stealth, Arto, Franti e
Gin affrontano l’argomento con arguzia in alcuni articoli ben
dettagliati.
GLI ALTRI PROTAGONISTI DI
PIAZZA ALIMONDA
Il "caso
Giuliani" non è solo una notizia di cronaca nera. Non è
neppure solo un evento sintomatico della volontà di repressione
di un movimento. Scavando nelle macerie, umane e metaforiche, di
Piazza Alimonda possiamo trovare anche notizie illuminanti sulle
nostre forze dell’ordine, strani incroci che, percorsi a
ritroso, portano da Genova alla Somalia e ad atteggiamenti non
proprio cristallini di personaggi che compaiono ANCHE a Piazza
Alimonda, dopo essersi distinti in passato su altri
"teatri".
"La bestia nera in
Piazza Alimonda: un profilo dei protagonisti" è uno degli
articoli più interessanti di tutta la controinchiesta; è qui che
viene tratteggiato un ritratto "antropologico" di alcuni
di questi personaggi. E’ anche l’articolo dove possiamo
trovare quella che forse è la frase più bella ed emblematica di
cosa abbia significato per l’intero movimento il 20 luglio 2001:
"Quanto accadrà fra poco
cambierà per sempre un sacco di gente. Tanta quanta non se
n’era mai vista. Uno che non conoscevo diventerà, morendo, mio
fratello".
Grazie, Franti, per aver
scritto queste parole. Voglio "farle mie" e concludere
con esse questo articolo, dedicato con affettuoso rispetto ai
familiari di Carlo…
Francesco Barilli, di
Ecomancina
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