Proposta
alternativa di documento conclusivo dell'indagine
conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del
vertice del G8 tenutosi a Genova
(presentata
dai senatori Bassanini, Dentamaro, Iovene, Marini,
Petrini,
Turroni, Villone)
INDICE
INTRODUZIONE
Capitolo
I
I FATTI DI GENOVA
Le Fonti
1. Le manifestazioni del 19
luglio: le donne iraniane e il corteo dei
migrantes
2. Le manifestazioni del 20
luglio: le piazze tematiche; il corteo della
CUB; il corteo delle Tute Bianche.
2.1 Il Blocco Nero - I Black
Blockers
2.2. Le Piazze Tematiche e i
cortei
2.3. Il corteo della CUB a
Ponente
2.4. Il corteo delle "tute
bianche" dallo stadio Carlini a via Tolemaide.
3. Gli scontri a piazza Alimonda e
la morte di Carlo Giuliani.
4 . Il corteo internazionale di
sabato 21 luglio.
5. La perquisizione alla scuola
Pertini (ex Diaz).
6. La perquisizione al centro
stampa - media center nella scuola
Diaz-Pascoli.
7. L'uso legittimo della forza, i
feriti e i manganelli "tonfa".
7.1. La relazione Cernetig
7.2. La distruzione di materiali
video e fotografici.
7.3. L'uso del "tonfa"
e dei manganelli
7.4. L'uso dei blindati
7.5. L'uso delle armi
Capitolo
II
BOLZANETO: LA CASERMA NINO BIXIO
1. La caserma Nino Bixio di Genova
Bolzaneto
2. Considerazioni critiche
Capitolo
III
ORDINE PUBBLICO A GENOVA E PROPOSTE DI RIFORMA
1. La Pianificazione Operativa
delle Attività di Pubblica Sicurezza
2. Le Proposte di Miglioramento
delle Funzioni di Ordine e Sicurezza Pubblica in
Occasione di Grandi Eventi e Manifestazioni di
Piazza
Capitolo IV
INTERPRETAZIONE DELLA VICENDA
1. Il "dopo" Genova
2. I temi discussi in Italia
3. Il peso della morte di Carlo
Giuliani
4. I temi di cui non abbiamo
discusso
5. Le scelte contraddittorie
6. Il Genoa Sociale Forum e le sue
componenti
7. La principale responsabilità
del Ministro dell'interno.
8. La condivisione della scelta di
Genova come sede del G8.
9. La fuga delle notizie
provenienti dai servizi di sicurezza
10. Le scelte autonome di
Alleanza Nazionale
10.1. La presenza a Genova dei
parlamentari di Alleanza nazionale
11. Gli indirizzi di Alleanza
nazionale dopo Genova
12. Le conseguenze
dell'atteggiamento di AN
13. Il comportamento delle forze
dell'ordine
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
TOP
Introduzione
Nei giorni 19,
20 e 21 luglio 2001 si tenne a Genova il cosiddetto
G8,
vertice dei sette Paesi più industrializzati del
mondo più la Russia. I
giorni dei vertice furono caratterizzati da gravi
disordini e dalla morte
di un giovane manifestante, Carlo Giuliani, che fu
colpito da un colpo
d'arma da fuoco esploso da un carabiniere
accerchiato da manifestanti. I
gruppi parlamentari dell'Ulivo chiesero un'indagine
parlamentare; ricevuta
dalla maggioranza una risposta negativa presentarono
una mozione di
sfiducia nei confronti del Ministro degli Interni
Claudio Scajola. Il
Senato respinse la mozione di sfiducia.
Successivamente, anche per
l'impegno politico e parlamentare del
centro-sinistra, per la domanda di
verità che veniva dai mezzi d'informazione e
dall'opinione pubblica, per il
moltiplicarsi di notizie di abusi perpetrati nei
confronti di manifestanti
inermi, per l'irritazione che i fatti avevano
suscitato in molti paesi
europei, la maggioranza fu costretta ad approvare la
richiesta d'indagine
parlamentare.
Il 1 agosto tanto la Commissione Affari
Costituzionali del Senato quanto
l'analoga Commissione del Senato approvarono la
richiesta d'indagine sulla
quale i gruppi parlamentari del centro sinistra
aveva continuato ad
insistere.
Conseguentemente
il Presidente della Camera attivava le procedure per
addivenire alle intese con il Presidente del Senato
necessarie per
procedere allo svolgimento congiunto da parte delle
due Commissioni
dell'indagine conoscitiva.
Le intese perfezionate in data 2 agosto 2001,
prevedevano che le due
Commissioni avrebbero proceduto nell'indagine
costituendo un apposito
Comitato paritetico costituito da 36 membri (18
deputati e 18 senatori)
ripartiti tra i Gruppi secondo i consueti criteri
vigenti per la formazione
degli organi bicamerali, secondo i criteri della
rappresentatività e della
proporzionalità dei Gruppi, nel rispetto del
margine di maggioranza.
Il Comitato sarebbe stato presieduto da un deputato
in applicazione della
prassi secondo la quale il Regolamento destinato a
disciplinarne l'attività
è quello della Camera che per prima ha deliberato
l'indagine conoscitiva.
L'Ufficio di Presidenza del Comitato (composto,
oltre che dal Presidente,
da due Vice Presidenti e da due segretari) sarebbe
stato nominato sulla
base delle intese raggiunte in sede di Uffici di
Presidenza congiunti delle
due Commissioni, integrati dai rappresentanti dei
Gruppi, ovvero, in
mancanza di unanimità eletto - come da prassi -
direttamente dal Comitato .
Il termine per la conclusione dell'indagine veniva
fissato per il 20
settembre 2001.
Nella riunione del 3agosto 2001, gli Uffici di
Presidenza, entrambi
integrati dai rappresentanti dei Gruppi, delle due
Commissioni procedevano
alla Costituzione del Comitato paritetico per
l'indagine conoscitiva.
Il Comitato è stato quindi composto, in base alle
designazioni dei Gruppi,
dai deputati Donato Bruno (FI), Fabrizio Cicchitto
(FI), Filippo Mancuso
(FI), Nitto Francesco Palma (FI), Michele Saponara
(FI), Luciano Violante
(DS-U), Antonio Soda (DS-U), Grazia Labate (DS-U),
Katia Zanotti (DS-U),
Gianfranco Anedda (AN), Roberto Menia (AN), Filippo
Ascierto (AN),
Gianclaudio Bressa (Margherita, DL-L'Ulivo),
Giannicola Sinisi (Margherita,
DL-L'Ulivo), Marco Boato (Misto), Erminia Mazzoni (CCD-CDU-Biancofiore),
Pietro Fontanini (LNP), Graziella Mascia (RC) e dai
senatori Gabriele
Boscetto (FI), Luciano Falcier (FI), Maria Claudia
Ioannucci (FI); Andrea
Pastore (FI), Antonio Tommasini (FI), Franco
Bassanini (DS-U), Massimo
Villone (DS-U), Antonio Iovene (DS-U), Luciano
Magnalbò (AN), Luigi Bobbio
(AN), Ida Dentamaro (Margherita, DL-L'Ulivo),
Pierluigi Petrini
(Margherita, DL-L'Ulivo), Antonio Del Pennino
(Misto), Cesare Marini
(Misto), Graziano Maffioli (CCD-CDU-Biancofiore),
Cesarino Monti (LNP),
Sauro Turroni (Verdi- l'Ulivo) e Alois Kofler (Per
le autonomie).
L'ufficio di presidenza del Comitato è stato cosi'
costituito: Presidente:
Donato Bruno; Vicepresidenti: deputato Gianfranco
Anedda e senatore Franco
Bassanini; Segretari: deputato Gianclaudio Bressa e
senatore Graziano
Maffioli.
Gli uffici di presidenza integrati dai
rappresentanti dei gruppi della I
Commissione della Camera e della 1a Commissione del
Senato, nel corso della
stessa riunione, hanno convenuto che l'indagine
conoscitiva avrebbe avuto
ad oggetto i fatti accaduti in occasione del vertice
G8 tenutosi a Genova.
Nella medesima giornata del 3 agosto 2001 si è
riunito l'Ufficio di
Presidenza del Comitato, integrato dai
rappresentanti dei Gruppi, che ha
deliberato il programma dei lavori del Comitato
medesimo. In particolare si
è convenuto che il Comitato tenesse i propri lavori
nel corso delle
settimane dal 7 al 9 agosto, dal 28 al 30 agosto,
dal 4 al 6 settembre e
dall'11 al 13 settembre.
I lavori del Comitato sono iniziati il 7 agosto 2001
e sono proseguiti con
lo svolgimento delle audizioni, sino al 7 settembre
2001. Le sedute
dedicate allo svolgimento di audizioni sono state
10; le audizioni svolte
sono state complessivamente 27.
Conclusa questa fase procedurale, secondo quanto
convenuto nelle intese dei
Presidenti dei due rami del Parlamento, nella
riunione dell'Ufficio di
Presidenza del Comitato, integrato dai
rappresentanti dei Gruppi, del 7
settembre 2001 si è stabilito che il Comitato
avrebbe proseguito i lavori
per la predisposizione di uno schema di documento
conclusivo.
Si è convenuto in proposito che i lavori
istruttori, finalizzati alla
predisposizione di una bozza dello schema
conclusivo, si sarebbero svolti
in sede di Ufficio di Presidenza, integrato dai
rappresentanti dei gruppi
alle cui riunioni sarebbero stati, comunque,
invitati a partecipare tutti i
componenti del Comitato.
Sulla base degli orientamenti emersi in sede di
Ufficio di presidenza, il
Presidente avrebbe presentato uno schema di
documento conclusivo da
sottoporre al Comitato in seduta plenaria ai fini
della sua adozione; si è
altresì stabilito che in tale sede non si sarebbe
proceduto a votazione di
eventuali proposte emendative, il cui esame sarebbe
stato riservato alla
fase di discussione presso le due Commissioni Affari
Costituzionali di
Camera e Senato, sulla base delle rispettive norme
regolamentari.
Lo schema
illustrato dal Presidente al Comitato ed alla
Commissione non è
condiviso dai presentatori di questa relazione. Essi
esprimono
apprezzamento per il modo equilibrato ed efficace
con il quale i lavori
sono stati diretti dall'on. Bruno; ma non
condividono il documento
presentato perché non contiene una precisa
descrizione degli eventi, non ha
approfondito i fatti di particolare rilievo, a
partire dalla dinamica degli
incidenti che portarono alla morte di Carlo
Giuliani, è privo di proposte
per la gestione migliore dell'ordine pubblico, è
privo, infine, di una
valutazione complessiva degli eventi di Genova.
Impostazione
della relazione
Questa
relazione si articola in quattro capitoli. Il primo
descrive il
corso degli eventi. Il secondo si sofferma sui tre
episodi più gravi: la
morte di Carlo Giuliani, la perquisizione nella
scuola Diaz, gli
avvenimenti verificatisi nella caserma di Bolzaneto.
Il terzo analizza le
questioni più strettamente relative all'ordine
pubblico in Genova e propone
alcune misure per una più ordinata gestione della
sicurezza. Il quarto
presenta un contributo politico interpretativo della
vicenda. Le brevi
conclusioni riassumono alcuni punti d'indirizzo
politico.
TOP
Capitolo
I
I FATTI DI GENOVA
Le Fonti
I fatti sono
ricostruiti sulla base della documentazione
acquisita dal
Comitato nel corso delle audizioni, delle
dichiarazioni rese dalle persone
ascoltate, delle relazioni, anche riservate,
trasmesse o consegnate al
medesimo Comitato, dei filmati e delle foto.
I documenti audiovisivi sono stati confrontati fra
loro, localizzando gli
episodi sulla cartografia di Genova e riscontrandone
gli orari attraverso
le relazioni di servizio delle forze dell'ordine e
il brogliaccio delle
comunicazioni radio dei servizi di OP.
Nei casi più significativi, si è indicata
specificamente la fonte
dell'informazione.
Le immagini video relative alla perquisizione della
scuola Pertini (ex
Diaz) sono state confrontate con le planimetrie dei
vari piani dell'edificio
TOP
.
1.
Le manifestazioni del 19 luglio: le donne
iraniane e il corteo dei
migrantes
Il 19 luglio,
promosse rispettivamente dalle "Donne
Democratiche Iraniane"
e dal "Genova Social Forum (GSF) ", si
svolgono regolarmente e senza
incidenti due cortei. In particolare il secondo
corteo, quello dei
migrantes, è composto da circa 50.000 persone, si
sviluppa da piazza
Sarzano a piazza Kennedy, ha un carattere festoso e
suscita manifestazioni
di solidarietà da parte dei cittadini.
Il colonnello Tesser ha informato il Comitato che
nella serata, dopo la
conclusione del corteo, alcuni sconosciuti gettano
sassi contro Forte
S.Giuliano AA.PP., colonnello Tesser, seduta del 30
agosto 2001, p.45.,
sede del comando regionale dell'Arma.
TOP
2. Le manifestazioni del 20
luglio: le piazze tematiche; il corteo della
CUB; il corteo delle Tute Bianche.
2.1
Il Blocco Nero - I Black Blockers
L'ordinanza
del 12 luglio 2001 del questore Colucci dimostra una
perfetta
conoscenza della frangia definita
anarco-insurrezionalista, i così detti
black blockers, dei loro comportamenti e metodi;
definisce la strategia per
il loro contenimento e contrasto attraverso
contingenti di forze
dell'ordine molto mobili, per accerchiarli e
bloccarli.
Le relazioni riservate del SISDE del 19 e 20 luglio
hanno dato conto di due
distinte riunioni degli esponenti che si richiamano
ai black blockers nelle
quali erano state discusse le modalità degli
attacchi programmati per la
giornata del 20 luglio, l'ora e il luogo in cui essi
sarebbero iniziati. I
servizi informano che circa 300/500 militanti si
sarebbero concentrati,
alle ore 12 in piazza Paolo Da Novi. Alle due
riunioni di cui alle note 189
e 201 del SISDE, partecipano esponenti di gruppi
italiani, tedeschi, greci,
spagnoli e inglesi che vogliono alzare il livello
dello scontro e comunque
causare danni ingenti.
Entrambe le note, oltre ad essere trasmesse ai
vertici delle forze
dell'ordine con fax urgente, sono direttamente
comunicate alla Digos di
Genova. Come si vedrà poi, il giorno 20 luglio i
black blockers si
concentreranno appunto in piazza Paolo Da Novi
iniziando da lì le loro
devastazioni.
Le
preventivate azioni di contrasto non vengono messe
in atto.
Nella mattinata del 20 luglio, poco dopo le ore
11.30, un folto corteo di
black blockers risale via Rimassa e corso Torino,
diretto verso piazza Da
Novi, piazza tematica "autorizzata", dove
si sta svolgendo il presidio dei
Cobas.
Lungo il
percorso per accedere alla zona, i black blockers
devastano,
incendiano usano i cassonetti per erigere barricate.
All'altezza di corso
Buenos Aires i black blockers attaccano i
Carabinieri che cominciano ad
arretrare in piazza Paolo Da Novi.
I Cobas abbandonano il presidio per non essere
coinvolti nello scontro tra
black blockers e Carabinieri.
I Carabinieri
si fermano all'incrocio tra corso Buenos Aires e
corso
Torino, mentre i Cobas, arretrando da piazza Paolo
Da Novi, si dirigono
verso piazza Palermo, già colpita da incendi e
devastazioni, e poi
attraverso via Casaregis si spostano verso piazzale
Kennedy. Nel frattempo
i black blockers occupano tutta la zona tra corso
Buenos Aires e via
Casaregis percorrendo via Rimassa per raggiungere il
meeting point di
piazzale Kennedy. In questo percorso devastano
l'area Bank, danneggiano
gravemente un distributore, incendiano cassonetti
che utilizzano come
barricate per intralciare il passaggio delle forze
dell'ordine.
I Carabinieri giungono in piazzale Kennedy e
lanciano candelotti
lacrimogeni. I black blockers fuggono percorrendo la
scaletta che da corso
Italia porta a via Nizza.
Durante la fuga, passano davanti ad un contingente
della Guardia di
Finanza, che non interviene Dalle relazioni di
servizio della Polizia e dei
Carabinieri, comparate con le immagini video del
regista Ferrario,
Telegenova, video depositato dall'on. Labate e
resoconto GSF..
Il battaglione Tuscania, inviato sul luogo, sbaglia
strada, come confermato
dalla nota del 3 agosto 2001 del dott. Zazzaro,
responsabile della Sala
radio della Questura di Genova; giunge pertanto in
ritardo, quando i black
blockers si sono già allontanati.
I Carabinieri circondano, invece, il meeting point,
dove si sono
asserragliati i Cobas.
Da via Nizza, i black blockers indisturbati si
dirigono verso piazza
Palermo; durante il percorso si fermano davanti ad
un Commissariato della
PS e lanciano pietre; esce dalla porta un agente,
disarmato, che inveisce
contro di loro: i black blockers si ritirano dopo
aver danneggiato un'auto.
Attraversano piazza Tommaseo e, lungo via Montevideo
e adiacenti,
convergono alle ore 13.15 circa verso la
congiunzione tra corso Gastaldi e
via Tolemaide. Vengono date alle fiamme alcune auto.
Le forze dell'ordine
non intervengono; alcuni elicotteri sorvolano la
zona.
L'assembramento
dei black blockers , raggiunta una certa consistenza
numerica, si avvia per via Tolemaide addirittura con
bandiere nere e
tamburi, dando vita ad una sconcertante parata
esibizionistica.
A differenza di quanto asserito, i black blockers
non si muovono sempre per
piccoli gruppi cercando di infiltrarsi nel corteo
principale; in questa
occasione si muovono come gruppo autonomo, compatto
e facilmente
contrastabile.
All'altezza di corso Torino, i black blockers si
esibiscono per le
telecamere di tutte le televisioni. I Carabinieri
osservano immobili a non
più di duecento metri di distanza.
Successivamente invece di dirigersi verso piazza
Verdi e la Zona Rossa, il
corteo dei black blockers attraversa il tunnel della
ferrovia e si
indirizza in corso Sardegna, dove attacca un ufficio
postale, e poi,
all'angolo di piazza Giusti, assalta un distributore
e quindi un
supermercato; le forze dell'ordine continuano a non
intervenire.
I black blockers si spostano quindi verso il ponte
sul fiume Bisagno
bruciando una Mercedes: la colonna di fumo si vede
da lontano.
In via
Canevari si raggruppano, bruciano altre auto e
danneggiano un
distributore. Sono le 14.20, come si vede
dall'orologio che compare nelle
riprese televisive. E' passata più di un'ora dalla
partenza del loro
"corteo". Un'ora durante la quale i black
blockers hanno devastato un'area
vasta della città, agendo del tutto indisturbati,
nonostante le fiamme
dell'ultimo rogo siano ben visibili anche da piazza
Verdi, oltre la
galleria, dove sono attestati centinaia di
poliziotti e carabinieri.
I black
blockers risalgono poi via Canevari verso Nord,
lasciando una scia
di devastazione e di incendi. Raggiungono così
piazzale Marassi dove c'è la
casa circondariale, presidiati da un piccolo
contingente di carabinieri: 39
militari e 3 furgoni. Qui si dividono. Un gruppo
risale la scaletta
Montaldo per raggiungere piazza Manin, dove sono
concentrati i pacifisti
della Rete Lilliput.
I black blockers lanciano sassi verso i Carabinieri.
All'assalto, eseguito
da pochi black blockers, assiste dal ponte un
centinaio di persone, alcune
delle quali vestite di nero.
I Carabinieri arretrano con i loro furgoni, formano
un piccolo carosello,
lanciano qualche lacrimogeno, quindi si allontanano;
i black blockers
assaltano il portone del carcere, lanciano una
molotov verso le finestre
dell'edificio e distruggono la targa della casa
circondariale La
ricostruzione è effettuata sulla base dei verbali
di servizio, delle
chiamate via radio, dei video pervenuti in
Commissione; dai verbali di
servizio si apprende che è stata chiamata per 9
volte la centrale operativa
della Questura, solo dopo l'ennesimo tentativo di
richiesta urgente di
aiuto, ci si decide ad inviare un contingente di
rinforzi, ma quel punto
inutile perché l'assalto è finito ed i BB sono
andati via..
L'altro gruppo dei black blockers, che aveva
raggiunto piazza Manin, era
stato fronteggiato dai manifestanti pacifici, che lì
avevano organizzato la
piazza tematica "autorizzata".
Alle ore 15.09
la sala operativa della Questura invia il dirigente
Pagliuzzo Bonanno con 100 unità dei reparti mobili
di Bologna e Firenze a
piazza Manin, verso la quale il dirigente medesimo
ordina un lancio di
lacrimogeni (ore 15.19).
Mentre i black
blockers si allontanano in direzione di corso
Armellini,
dove erigono barricate con cassonetti e sfasciano le
vetture in sosta, le
forze dell'ordine caricano i manifestanti della Rete
Lilliput, Legambiente,
Marcia delle donne, Rete contro il G8 e altri che
hanno le mani alzate e
non attaccano le forze di polizia Comunicazione
delle ore 15.27 alla
centrale radio della Questura da cui pochi minuti
prima, 15.20, era partito
l'ordine di eseguire alcuni fermi..
Nel frattempo
i black blockers, indisturbati, alzano barricate in
corrispondenza di piazza S.Bartolomeo degli Armeni e
ricostituiscono il
loro gruppo in corso Solferino e agiscono ancora una
volta indisturbati
lungo via Palestro, corso Magenta e corso Paganini.
Seguendo le indicazioni della sala operativa, le
forze dell'ordine guidate
dal dottor Pagliuzzo Bonanno si attestano in piazza
Marsala.
Alle ore 14.30
circa, un residuo gruppo di appartenenti al corteo
dei black
blockers, che si era in precedenza diretto verso
corso Sardegna, si attarda
in via Torino ed alla minacciata carica del reparto
di polizia comandato
dal dottor Mondelli fugge verso il tunnel della
ferrovia attraversando via
Tolemaide, lungo la quale sta sopraggiungendo il
corteo delle "tute
bianche" preceduto dal così detto "gruppo
di contatto".
I Carabinieri, guidati dal dottor Mondelli non
inseguono la retroguardia
dei black blockers che fugge al di la della
ferrovia, e che poi si dirigerà
verso Marassi, ma, come si vede dai video di
Telegenova, di Indymedia e del
regista Davide Ferrario, caricano il gruppo di
contatto del corteo delle
"tute bianche" e subito dopo il corteo
medesimo
I black
blockers compariranno anche nella giornata del 21
luglio.
L'episodio più
inquietante è testimoniato dal video consegnato
dall'on.
Labate e dalle comunicazioni della centrale
operativa della Questura, da
cui risulta che per oltre mezz'ora un gruppo di
black blockers ha potuto
agire indisturbato in via Rimassa,
approvvigionandosi di aste di legno e di
mattoni in una banca e in altri uffici saccheggiati
il giorno prima.
I fatti sopra
esposti e la loro concatenazione indicano con
chiarezza che
nei confronti dei più violenti, identificati nella
frangia
anarco-insurrezionalista dei black blockers non sono
state poste in essere
le necessarie misure di contenimento e contrasto,
pur individuate dalla
ordinanza del questore Colucci del 12 luglio 2001 e
confermate nella
riunione operativa del 13 luglio.
I black
blockers sono stati lasciati liberi di agire
indisturbati, seguiti,
talvolta, da contingenti di forze dell'ordine che
non riescono a
raggiungerli e che a volte si scontrano con gruppi
di manifestanti
pacifici. In piazza Manin sono stati i pacifisti a
tentare di respingere i
black blockers .
Le azioni dei
black blockers sono state seguite dall'alto dagli
elicotteri;
le loro evoluzioni e la loro localizzazione
risultano chiaramente dalle
comunicazioni radio da e verso la sala operativa
della questura.
I filmati
consegnati al Comitato mostrano in più di
un'occasione
manifestanti pacifici respingere violenti vestiti di
nero, intenti a
sfasciare vetrine o ad introdursi all'interno dei
cortei.
Il filmato del
regista Davide Ferrario mostra altresì, in
occasione degli
scontri di via Tolemaide del 20 luglio, un uomo
vestito di nero e travisato
che avanza, solo, a brevissima distanza, verso un
reparto di Carabinieri,
che arretrano.
TOP
2.2. Le Piazze Tematiche e
i cortei
Il GSF ha
tenuto frequenti contatti con il Questore, Autorità
locale di
pubblica sicurezza, per informarlo delle diverse
iniziative progettate. Gli
atti principali sono una richiesta del GSF del 16
luglio ed un successivo
provvedimento del Questore del 19 luglio.
Con la richiesta del 16 luglio, il GSF informa il
Questore di Genova che
nel corso delle giornate del vertice si sarebbero
tenute manifestazioni
statiche e cortei; dal preavviso risulta
l'intenzione di diverse
associazioni aderenti al GSF di accerchiare
simbolicamente la zona rossa.
Questo documento è stato consegnato al Comitato dal
dottor Vittorio
Agnoletto il 6 settembre, nel corso dell'audizione,
ma non compare nella
documentazione trasmessa al Comitato dal Prefetto di
Genova e dal Questore
Colucci .
Il provvedimento del 19 luglio del Questore di
Genova prende atto delle
iniziative che si sarebbero svolte nelle cosiddette
piazze tematiche,
prende atto altresì dello svolgimento, in data 20
luglio 2001, della
manifestazione della CUB a ponente e del corteo
delle "tute bianche" sino a
piazza Verdi, vietando il corteo per il tratto tra
piazza Verdi e piazza De
Ferrari. Il corteo delle "tute bianche" può
svolgersi pertanto solo fino a
piazza Verdi.
Le iniziative nelle piazze tematiche si sono svolte
secondo i preavvisi
depositati e conformemente alle prescrizioni
notificate dalla Questura.
Erano note le organizzazioni e i responsabili:
Presidio di piazza Manin / via Assarotti: Rete
Lilliput, Legambiente ,
Marcia delle Donne e Rete Contro G8.
Presidio di piazza Paolo Da Novi: Cobas, Network per
i diritti globali e
Movimento antagonista Toscano.
Corteo di piazza Di Negro: la CUB con l'adesione
dello Slai Cobas.
Corteo di corso Gastaldi: Tute bianche, Giovani
Comunisti, Rage di Roma,
Rete No Global di Napoli .
Piazza Dante: Arci, Attac, Fiom Cgil, Rifondazione
Comunista, Unione degli
Studenti, Unione degli Universitari, Centri Sociali
di Milano Torchiera e
Baraonda, Cerchio G8 Lila.
Il GSF fin dal
9 maggio 2001 aveva formalmente presentato al
Questore di
Genova il preavviso per alcune manifestazioni in
forma statica in alcune
piazze (piazze tematiche) nelle quali diverse
associazioni aderenti al GSF
intendevano, sulla base delle proprie specificità,
comunque "cingere
d'assedio" la Zona Rossa.
Ancora
nell'ordinanza del Questore del 12 luglio la
decisione sulle piazze
tematiche è sospesa e rinviata ad una data
successiva. Ad una riunione
indetta dal questore il 13 luglio prendono parte
tutti i funzionari di
pubblica sicurezza e gli ufficiali delle altre forze
di polizia e delle
forze armate impegnati nella gestione del G8.
Intervengono, in particolare,
il prefetto di Genova, il prefetto Andreassi, il
Capo della Polizia, il
Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri,
l'ambasciatore Vattani e il
Ministro dell'Interno. In tale riunione viene deciso
di modificare nella
sostanza la ordinanza del prefetto del 2 giugno
2001, rendendo così
possibili manifestazioni di piazza all'interno della
Zona Gialla allo scopo
di alleggerire la tensione con manifestanti che si
preannunciavano del
tutto pacifici.
Il Prefetto Andreassi, a sua volta, con riferimento
alla riunione del 13
luglio precisa:
"La parte preponderante dei manifestanti
apparteneva a movimenti non
violenti, alcuni dei quali avrebbero compiuto azioni
dimostrative anche a
ridosso della Zona Rossa per simboleggiare
l'invasione o l'accerchiamento.
Nei confronti di costoro occorreva limitarsi ad un
cauto controllo per
impedire che certe iniziative potessero
debordare".
Il Prefetto
Andreassi aggiunge inoltre:
"Completai queste direttive rinnovando, in una
sorta di decalogo, le
indicazioni che avevo più volte ripetuto e dalle
quali erano state tratte
alcune delle regole contenute in un vademecum, ormai
ampiamente noto,
distribuito a tutto il personale AA.PP., dott.
Andreassi, seduta del del 28
agosto 2001, pp. 217."
Con decreto
del Questore di Genova del 19 luglio 2001 si prende
atto delle
manifestazioni stanziali nelle piazze Manin, Villa,
Dello Zerbino, Paolo Da
Novi, Dante e Carignano.
La manifestazione stanziale di piazza Manin è
organizzata da Rete Lilliput,
Legambiente, Marcia delle Donne e Rete contro il G8;
la manifestazione
stanziale di piazza Dante è organizzata da Arci,
Attac, Lila, Rifondazione
Comunista, Fiom, Udi, Uds e alcuni centri sociali;
la manifestazione
stanziale di piazza Da Novi è organizzata da Cobas,
Network per i diritti
globali e dal Movimento antagonista toscano, tutti
aderenti al GSF.
In piazza
Dante e nelle piazze Corvetto e Marsala vengono
inscenate azioni
dimostrative volte a violare simbolicamente la Zona
Rossa. Le relazioni di
servizio delle forze di polizia e dei carabinieri
impiegati per contrastare
tali azioni, e le stesse immagini dei filmati,
testimoniano però che si è
trattato di azioni non solo simboliche: le barriere
metalliche sono state
scosse, si è tentato di aprire dei varchi e di
scavalcare le recinzioni. I
manifestanti sono stati fermati mediante gli idranti
del Corpo Forestale
dello Stato Si vedano le relazioni di servizio del
maggiore Vox, del
sottotenente Piccoli, del Tenente colonnello
Ortolani nonché la lettera del
Colonnello Tesser del 10 settembre 2001 e le
analoghe relazioni di servizio
di funzionari di polizia (dottor Montagnose, dottor
Delavigne).
; due francesi, che erano passati attraverso un
varco nella griglia, sono
fermati ed accompagnati fuori della zona rossa.
Intorno alle
14 avvengono incidenti tra le forze dell'ordine ed i
black
blockers nei pressi di piazza Alessi.
Verso le 15 il corteo di Globalize Resistence
raggiunge le due piazze Dante
e Carignano.
Le notizie degli scontri e delle devastazioni si
infittiscono e alle 15,45
il sindaco della città rivolge un appello a
Vittorio Agnoletto portavoce
del GSF, chiedendo che cessino le manfestazioni
sulle piazze tematiche
poiché la città è devastata, la tensione non è
più tollerabile, e le forze
dell'ordine impegnate a fronteggiare le iniziative
del GSF non riescono a
far fronte ai focolai dei violenti. La telefonata è
trasmessa in diretta
televisiva su Primocanale.
Poco più tardi il dott. Agnoletto comunica al
sindaco e al Prefetto
Andreassi la decisione di sospendere la
manifestazione in piazza Dante. La
piazza alle ore 16.30 viene effettivamente
abbandonata dai manifestanti,
che si dispongono in corteo per risalire lungo via
Fieschi e raggiungere il
meeting Point di Piazzale Kennedy. La polizia lancia
due, tre lacrimogeni
sulla coda del corteo, si crea panico e disordine ma
tutto si ricompone;
piazza Dante alle 17 è sgombra ed il corteo
raggiunge pacificamente
piazzale Kennedy.
In piazza
Manin, circa alle ore 15.10, al sopraggiungere dei
black
blockers, che avevano precedentemente assaltato la
casa circondariale di
Marassi, si verifica una contrapposizione fra i
pacifisti e i black
blockers all'imbocco di via Assarotti. Ma non appena
i black blockers si
allontanano, gli agenti della Polizia di Stato,
preceduti da un lancio di
lacrimogeni, irrompono in piazza Manin e caricano i
manifestanti pacifici
che, come risulta dalle comunicazione radio della
sala operativa, hanno le
mani alzate.
In questa circostanza, così come in piazza De Novi
in relazione alla
manifestazione dei Cobas, il comportamento delle
forze dell'ordine ha
palesemente contraddetto le direttive generali
correttamente ricordate dal
Prefetto Andreassi nella citata audizione del 28
agosto 2001. Con decisione
analoga a quella presa dai manifestanti di piazza
Dante, e nello stesso
torno di tempo, anche i manifestanti di piazza Manin
decidono di
smobilitare il proprio presidio e di raggiungere
piazzale Kennedy.
TOP
2.3. Il corteo della CUB a
Ponente
L'ordinanza
del Questore del 12 luglio sospende la decisione
relativa al
corteo della CUB da piazza Montano a Fontana Marose,
preavvisato sin dai
primi di maggio.
Fino alla sera del 17 luglio non vi è alcuna
certezza sul percorso del
corteo e solo a tarda sera vi è una formale presa
d'atto, con prescrizioni
che limitano il percorso da piazza Montano a piazza
Di Negro.
La decisione riguardante la presa d'atto del corteo
con partenza da Ponente
deriva dal mutato orientamento dei vertici delle
forze di polizia
finalizzato a ridurre la tensione.
L'ordinanza
del questore del 19 luglio fa esplicito riferimento
alla presa
d'atto del corteo della CUB. Il corteo, piuttosto
omogeneo nella sua
composizione, a cui partecipano delegazioni dello
SLAI COBAS, del sindacato
USI e anche il Coordinamento Anarchici contro il G8
(FAI) e del Campo
Antimperialista, si svolge regolarmente nonostante
alcuni attimi di
tensione, risolti senza particolari complicazioni Si
veda la relazione di
servizio del Maggiore dei CC Zanardi consegnata il
10 settembre dal col.
Tesser.
TOP
2.4.
Il corteo delle "tute bianche" dallo
stadio Carlini a via Tolemaide.
Tra le
manifestazioni preannunciate dal G.S.F. al Questore
di Genova era
indicato il corteo delle "tute bianche"
del 20 luglio che sarebbe partito
dallo stadio Carlini attraverso corso Gastaldi, via
Tolemaide, piazza Verdi
fino a via XX settembre e piazza De Ferrari.
Il 19 luglio il Questore di Genova emette il già
ricordato decreto con il
quale, prendendone atto, pone limiti al predetto
corteo, vietandone la
prosecuzione oltre piazza Verdi, al limite esterno
della zona gialla.
Lo stesso 19 luglio il Questore emette una nuova
ordinanza di servizio, a
parziale modifica ed integrazione della precedente
del 12 luglio,
contenente la disciplina dei servizi di ordine e
sicurezza pubblica per il
20 luglio. Nella parte preliminare dell'ordinanza si
elencano le
manifestazioni del 20 luglio, non si fa cenno alla
manifestazione di cui
trattasi, come se essa non fosse prevista. Solo a
pagina 5 della predetta
ordinanza si richiama il corteo e se ne delimita il
percorso, assegnando
quindi i contingenti di forze dell'ordine, da
impiegare prevalentemente in
piazza Verdi, all'ingresso della quale il corteo
dovrà concludersi.
L'ordinanza
non dispone che il corteo sia preceduto, seguito ed
affiancato
da contingenti di forze dell'ordine, allo scopo
anche di garantirne un
tranquillo svolgimento, così come invece era
previsto dalla precedente
ordinanza di servizio del 12 luglio del questore di
Genova.
Inspiegabilmente
tutte le audizioni, fino a quella del 6 settembre
del
dott. Agnoletto, non informano il Comitato circa la
legittimità del corteo
delle "tute bianche" dallo stadio Carlini
a via Tolemaide. Al contrario,
tanto la comunicazione del Ministro dell'interno
Scajola alla Commissione
Affari Costituzionali del Senato e in Aula della
Camera il 23 luglio quanto
le dichiarazioni di tutti coloro che avevano
responsabilità dirette ed
indirette per l'ordine pubblico affermano che il
corteo era vietato.
Il Colonnello dei Carabinieri Tesser ancora il 10
settembre invia una
relazione al Comitato, con cui trasmette le
relazioni di servizio dei
responsabili dei contingenti dei Carabinieri durante
il G8, nella quale
afferma che il corteo non è autorizzato.
Fino al 6 settembre quindi l'intero Comitato ha
ricevuto informazioni
inesatte. La circostanza è grave perché in
relazione proprio a questo
corteo e alla dinamica dei fatti ad esso connessi,
si originarono gli
scontri poi culminati tragicamente nella morte di
Carlo Giuliani.
Il corteo parte intorno alle ore 13 dallo stadio
Carlini. Al suo interno,
confuso tra i manifestanti, si ritrova un
giornalista di Studio Aperto
della Mediaset, Franco Berruti, che inizia la sua
trasmissione diretta
dallo stadio Carlini alle ore 12.32 Si veda il video
di Studio Aperto del
giorno 20 luglio 2001. Il giornalista afferma in
diretta che i manifestanti
si sentono rassicurati e protetti dai container
installati nella notte e
che intendono manifestare in modo non violento.
Alle ore 14.28 il giornalista nuovamente in diretta
telefonica afferma
ancora una volta che si tratta di un corteo
pacifico, attrezzato con soli
scudi protettivi e che i componenti dichiarano di
non voler rompere nulla.
Il giornalista, alle ore 14.30, informa che i
manifestanti hanno disarmato
e allontanato alcuni personaggi che impugnavano
mazze. Quando il corteo
giunge in prossimità di un'auto in precedenza
incendiata dai balck
blockers, si vede e si ascolta chiaramente uno degli
organizzatori ripetere
più volte che l'auto non è stata incendiata dai
partecipanti al corteo.
Poco dopo le 14.30 il corteo, giunto in via
Tolemaide in prossimità
dell'intersezione con corso Torino, viene caricato
da un contingente di
carabinieri .
L'azione è chiaramente descritta nei video di
Telegenova e del regista
Ferrario, oltre che in altri filmati che mostrano le
cariche , la
situazione e il comportamento dei dimostranti e il
successivo svolgimento
dei fatti. I filmati mostrano che dal corteo non
viene lanciato alcun
oggetto verso le forze dell'ordine: né sassi, né
bottiglie, né molotov.
Come già
descritto nel paragrafo riguardante i black blockers,
questi
ultimi, verso le 14.30, dopo aver percorso via
Tolemaide ed altre strade
compiendo indisturbati devastazioni ed atti
vandalici, imboccano il
sottopassaggio della ferrovia e si dirigono verso
corso Sardegna.
Mentre sopraggiunge il corteo delle tute bianche, un
piccolo gruppo di
black blockers si attarda in corso Torino, da cui
poi si allontana
inseguito da un contingente dei Carabinieri; il
gruppo imbocca il tunnel
sotto la ferrovia, dopo essere passato in mezzo al
gruppo di contatto che
precedeva il corteo proveniente dal Carlini e che si
era diviso in due
parti per effetto dei lacrimogeni lanciati dai
Carabinieri. Le due parti
del gruppo di contatto - nel quale erano presenti
parlamentari, esponenti
politici, organizzatori del corteo e che comprendeva
numerosi giornalisti,
operatori televisivi e fotografi - si erano spostate
rispetto a corso
Torino, la prima verso piazza Verdi, la seconda era
arretrata a fianco
degli scudi.
Nel frattempo i Carabinieri, giunti
all'intersezione, si dividono in due
settori: il primo carica la parte del gruppo di
contatto in direzione di
piazza Verdi, mentre l'altro prima fronteggia e poi
carica la testa del
corteo non appena il primo gruppo , ritornato sui
suoi passi, si
ricongiunge Si vedano anche le relazioni dei
servizio del dott. Mondelli e
del Capitano dei CC. Antonio Bruno. .
In pochi
minuti si vedono avanzare anche i cellulari dei
Carabinieri che
sostengono la carica. Inizia così una fitta pioggia
di lacrimogeni lanciati
anche dai tetti dei palazzi e dal ponte della
ferrovia. Le cariche
diventano continue, il corteo arretra prima
lentamente poi più velocemente
sotto l'assillo dei blindati. La calca e la
confusione sono terribili.
Alcune centinaia di manifestanti corrono per le vie
laterali, bloccate dai
Carabinieri, ed ingaggiano i primi scontri.
Il grosso del corteo arretra fino a corso Gastaldi
per ritirarsi verso lo
Stadio Carlini; nelle strade limitrofe la situazione
diventa caotica e gli
scontri con le forze dell'ordine sono violenti e
continuano nei quartieri
di San Martino e della Foce.
In questo scenario si verifica di tutto: mancanza di
coordinamento tra le
forze dell'ordine; reparti pesanti che non riescono
a raggiungere i luoghi
delle emergenze in tempo utile, anche perché non
conoscono la città; le
autoblindo dei Carabinieri si muovono con difficoltà
perché le stradine
sono strette; un autoblindo viene incendiata da
manifestanti, due Land
Rover dei Carabinieri di supporto logistico
rimangono intrappolate in
piazza Alimonda: una delle due riesce a
disimpegnarsi, l'altra è bloccata
da un cassonetto; si erigono barricate, si risponde
con lacrimogeni che
annebbiano, e gli assalti dei manifestanti diventano
sempre più violenti.
Qui si consuma la tragedia che vede la morte di
Carlo Giuliani. Dalle
relazioni di servizio di Polizia di Stato e
Carabinieri, dalle
comunicazioni telefoniche e via radio agli atti
della Commissione, il
quadro della catena di comando e della gestione
dell'ordine pubblico in
questa zona appare disordinato e con alcuni episodi
anomali. Il corteo
ridiscende via Tolemaide, ma all'altezza di via
Casaregis viene di nuovo
attaccato. L'attacco a piazza Alimonda con la carica
dei blindati è per
molti aspetti singolare: parte lateralmente, da via
Caffa, per frantumare
il corteo, ma non ha successo e si trasforma in un
vero e proprio
inseguimento dei Carabinieri da parte dei
manifestanti Video del regista
Ferrario; la colonna dei Carabinieri è del tutto
isolata dal resto delle
forze dell'ordine, che invece in altre circostanze
appaiono sempre e
correttamente attente a ridurre le distanze tra i
reparti. Lo scontro si fa
violento nei pressi di una Land Rover dei
Carabinieri, mentre arriva un
contingente della Polizia di Stato che si blocca a
circa 50 metri dall'auto
da cui partiranno i due colpi d'arma da fuoco che
uccideranno Carlo
Giuliani nell'atto di lanciare un estintore.
TOP
3.
Gli scontri a piazza Alimonda e la morte di Carlo
Giuliani.
Il 20.07.2001,
gli scontri tra forze dell'ordine e manifestanti
proseguono
per molte ore e coinvolgono non più solo i black
blockers ma frange del
corteo che sono fuggite nelle vie laterali intorno a
via Tolemaide. Qui,
tra cariche, ritirate e scontri matura la tragedia.
Da testimonianze raccolte pare che Carlo Giuliani
quel pomeriggio non
dovesse essere in piazza; voleva andare al mare, ma
la telefonata di un suo
amico lo fa desistere.
Non sappiamo che cosa sia scattato in lui.
Carlo Giuliani si unisce ai compagni, ma tra via
Caffa e piazza Alimonda lo
scontro è fatale. Viene ucciso dal proiettile della
pistola d'ordinanza del
carabiniere Placanica, il quale era a sua volta
oggetto di una violenta
aggressione da parte dei dimostranti che lo avevano
ferito e tentavano di
sfasciare l'automezzo (Land Rover) in cui si trovava
con altri militari. Lo
stesso Carlo Giuliani, come dimostrano le immagini
raccolte dai reporters,
è colpito mentre tenta di lanciare, da brevissima
distanza, un estintore
contro il veicolo.
Immediatamente i Carabinieri fanno cordone intorno
al corpo, arrivano i
soccorsi prima dei volontari del GSF, poi, del 118.
Gli interventi
risultano infruttuosi e poco dopo viene constatato
il decesso di Carlo
Giuliani. A circa tre metri dal capo riverso
sull'asfalto, in una grande
pozza di sangue, c'è il bossolo del proiettile che
il dott. Cremonesi
raccoglie e dà ad un giornalista di Repubblica
Lavoro di Genova. Questi lo
mostra ad un carabiniere il quale afferma essere un
bossolo da lacrimogeno.
La notizia arriva fino al Vice Questore aggiunto
della polizia, dott.
Lauro, che richiede al giornalista la restituzione
del bossolo, la cui
consegna avviene alla presenza della Polizia
Scientifica e di un altro
funzionario, la dott.ssa Bucci, che provvede a
chiamare il pubblico
ministero di turno.
Intorno al corpo circondato dal cordone della
polizia, manifestanti
inveiscono contro le forze dell'ordine (si urla
"assassini"), quando
comprendono che il giovane è morto raggiunto dal
proiettile esploso
dall'arma del carabiniere e che, una volta caduto a
terra, era stato
travolto dalla stessa Land Rover che faceva marcia
indietro.L'autopsia
rivelerà che in quel momento era già cadavere e
che il colpo, perforato lo
zigomo sinistro, aveva attraversato il cranio
uscendo dal cervelletto.
Sull'episodio è aperta l'inchiesta della
magistratura e le indagini sono in
corso.
Alcuni giovani partecipanti all'attacco contro la
Land Rover si sono
presentati nei giorni successivi all'Autorità
giudiziaria e nei confronti
di uno di essi è stato già emesso un provvedimento
di custodia cautelare.
Dai verbali di servizio dei due funzionari di
polizia che erano sul posto
appaiono contraddizioni in relazione alle immagini e
alle dichiarazioni.
Si parla di migliaia di manifestanti; ma i video
mostrano in piazza
Alimonda circa quaranta dimostranti, una parte dei
quali intorno alla Land
Rover isolata. A circa 50 metri sono posizionati dei
contingenti delle
forze dell'ordine che non intervengono. I resoconti
delle audizioni
documentano come i componenti il comitato abbiano
chiesto più di una volta
ed in diverse occasioni agli auditi, le ragioni del
mancato intervento; ma
non si è ricevuto risposta.
Alcune immagini video riprendono Carlo Giuliani
sempre in canottiera
bianca, con il passamontagna, ma altre, dopo la sua
caduta a terra, lo
riprendono con indosso un giubbottino nero.
Gli interrogativi sulla dinamica e le responsabilità
della tragica vicenda
potranno essere sciolti solo dalle indagini che la
magistratura sta
compiendo.
Rimane di quell'evento la testimonianza esemplare di
Giuliano Giuliani,
padre di Carlo, in quei giorni di acuto dolore per
la perdita di suo
figlio: "Occorre distinguere il giudizio sulle
forze dell'ordine da chi
sbaglia individualmente" .
TOP
4
. Il corteo internazionale di sabato 21 luglio.
Il corteo,
regolarmente preannunciato dal GSF, è previsto
dalla ordinanza
del Questore del 12 luglio, che ne prende atto, e
dispone talune
conseguenti misure di OP. Il percorso è ben noto da
tempo, da via Caprera
(Sturla), attraverso via Cavallotti, i corsi Italia,
Torino, Sardegna, fino
a piazza Galileo Ferraris (Marassi), per circa 8 km.
Il corteo, contrariamente a quanto stabilito dalla
Ordinanza sopra citata,
non è preceduto, né seguito, né fiancheggiato dai
necessari contingenti di
forze dell'ordine.
I manifestanti sono circa 200.000 e partono con
qualche anticipo. In
corrispondenza di Forte S.Giuliano alcuni
dimostranti esterni al corteo
lanciano sassi verso il Comando dei Carabinieri e
vengono prontamente
allontanati.
Prima che il
corteo raggiunga piazzale Kennedy si verificano i
primi
incidenti provocati da un gruppo di violenti, che
diverse fonti calcolano
composto da circa 2-300 persone, la cui prima fila,
di poche decine, è
costituita da dimostranti vestiti di nero, a
differenza degli altri che non
sono contraddistinti da particolare abbigliamento.
La stragrande
maggioranza indossa caschi, passamontagna o ha il
viso coperto da
fazzoletti.
I violenti,
provenendo da più parti ma in particolare da
cancelli di
piazzale Kennedy, assalgono le forze dell'ordine
schierate in
corrispondenza della Fiera, scagliando inizialmente
sassi, divellendo le
pavimentazioni e la segnaletica, impossessandosi
delle transenne e di altre
attrezzature mobili per impiegarle contro i reparti
schierati, che
reagiscono lanciando lacrimogeni senza effettuare
cariche.
Nel frattempo
ricompaiono i black blockers, che raggiungono gli
uffici e
negozi fra via Rimassa e corso Marconi, già
saccheggiati il giorno
precedente, per impossessarsi di assi e mattoni da
usare negli scontri.
Alle 14.06 le
azioni dei black blockers vengono segnalate alle
forze
dell'ordine, che però non intervengono e, restando
immobili, si limitano a
sparare lacrimogeni verso i dimostranti.
Non viene messa in atto nessuna azione per
accerchiare e disperdere i
violenti, che continuano ad agire indisturbati per
oltre 30 minuti.
Il corteo,
ancora lontano, sopraggiunge progressivamente e, per
non restare
coinvolto nei disordini, anziché raggiungere via
Rimassa, devia
anticipatamente per via Casaregis.
Nel frattempo,
mentre gran parte del corteo defluisce verso piazza
Ferraris, un gruppo composto da circa 3-400 curiosi,
fotografi e
giornalisti si posiziona dietro le spalle dei
violenti che incendiano auto
ed erigono barricate.
Alla vista del
fumo, e avuta conoscenza degli scontri, la parte
terminale
del corteo rallenta la propria avanzata, mentre le
forze dell'ordine
iniziano a caricare il gruppo dei violenti che si
disperdono. I
manifestanti pacifici che non sono ancora transitati
arretrano
precipitosamente e così il corteo si spezza. La
dinamica dei fatti è
confermata dai numerosi filmati televisivi acquisiti
dal Comitato ed anche
dalla audizione del Questore Colucci.
TOP
5.
La perquisizione alla scuola Pertini (ex Diaz).
Nella sera del
21 luglio venne effettuata la perquisizione nella
scuola
Pertini (ex Diaz)
Le relazioni, le audizioni, il materiale cartaceo e
visivo mettono in luce
contraddizioni sui tempi, metodi e responsabilità
nel procedimento
decisionale e nella escuzione.
Non è chiaro perché la perquisizione sia stata
decisa, né è chiara la
sequenza degli eventi.
Il segretario della FSNI ha inoltre riferito al
Comitato che già nel
pomeriggio circolavano voci in città di
perquisizioni, importanti e
decisive, al termine della manifestazione del 21
luglio e prima della
partenza da Genova dei manifestanti Dottor Paolo
Serventi Longhi, AA PP,
seduta del 4 settembre 2001, p. 97.
Dal bilancio reale dell'operazione risultano 93
persone arrestate; per 80
di esse l'arresto è risultato illegittimo; in 12
casi l'arresto è stato
convalidato solo formalmente e le persone sono state
scarcerate, perché non
vi erano indizi di colpevolezza. In un solo caso è
stata adottata una
misura cautelare.
Il bilancio continua con 62 feriti, di cui alcuni
gravemente, la
distruzione di attrezzature e computer del centro
stampa. In varie
audizioni si è sostenuto che l'irruzione alla
Pertini sia avvenuta a luci
spente Dottor Vincenzo Canterini, AA PP, seduta del
4 settembre 2001,
p.144-145; ma dai video risulta che le luci sono
accese al piano di
ingresso, altre luci al secondo ed al terzo piano
qua e là.
In proposito, però, va rimarcato che quanto
dichiarato dal dott. Canterini,
ovvero di essere entrato solo in seconda battuta,
dopo non meglio
specificati altri reparti delle forze dell'ordine,
risulta confutato dal
filmato prodotto dagli avvocati del GSF, ma anche
dalla circostanza
obbiettiva che dei 17 contusi delle forze
dell'ordine ben 15 riguardano il
personale del Nucleo da questi guidato. Sarebbe
davvero illogico immaginare
che gli scontri, fino all'accoltellamento di un
poliziotto del Nucleo si
siano potuti verificare quando l'altro personale era
già intervenuto per
"neutralizzare" i presenti e prendere il
controllo dell'edificio.
Dai video l'irruzione appare violenta e si vedono
ferite e sangue . I
medici del servizio 118, che portano i soccorsi,
riscontrano nei loro
certificati e nella richiesta di smistamento dei
feriti nei diversi
ospedali della città molte ferite lacero contuse e
traumi cranici; sono due
i ricoverati in codice rosso.
La relazione dell'ispettore, successivamente inviata
dal Ministro
dall'interno, mette in evidenza responsabilità,
inefficienze, disordine
negli aspetti gestionali della vicenda.
Undici magistrati del GIP di Genova trasmettono al
P.G. presso la corte
d'Appello e al Procuratore della Repubblica di
Genova due denunce ai sensi
degli artt. 17 disp. att. cpp. e 331 cpp. perché
nelle udienze di convalida
dei fermati alla Pertini (ex Diaz) tutti gli
arrestati hanno riferito di
essere stati colpiti da manganellate, calci, di aver
ricevuto mobilia
addosso, benché si fossero gettati a terra con le
mani protese per
dimostrare che non intendevano opporre resistenza e
riportano lesioni,
fratture, suture, ematomi vistosi, medicazioni sul
capo.
I quesiti che restano ancora irrisolti anche dopo le
numerose audizioni,
riguardano l'individuazione delle tappe del processo
decisionale, le
modalità tecniche di svolgimento dell'operazione,
lo sfasamento temporale
tra l'allertamento dei reparti speciali e l'ora
effettiva della
perquisizione.
Per tutte queste ragioni, la perquisizione solleva
uno degli interrogativi
più inquietanti delle giornate di Genova e rimanda
l'accertamento delle
responsabilità personali da parte dell'Autorità
giudiziaria di Genova.
TOP
6.
La perquisizione al centro stampa - media center
nella scuola
Diaz-Pascoli.
Alcuni minuti
dopo l' irruzione nella scuola Pertini ( ex Diaz )
un gruppo
di agenti di polizia entra nella scuola Diaz -
Pascoli, posta dalla parte
opposta della via Battisti rispetto alla Pertini ed
inizia una
perquisizione dei locali dopo aver radunato i
presenti a piano terra,
guardati a vista da agenti che operano a volto
scoperto, come risulta da
numerose riprese televisive, tra le quali quella
prodotta da Indymedia e
Genoa Legal Forum.
Gli stessi filmati mostrano suppellettili ed
attrezzature distrutte; alcuni
computer, collocati negli uffici dei legali del GSF,
appaiono manomessi e
privati del hard disk.
Durante la
perquisizione, dichiarata un "errore" dal
dott. Gratteri, sono
state sequestrate anche alcune (almeno 4) cassette
di videocamere, una
delle quali illustrante le fasi di ingresso del
reparto mobile all'interno
della prospiciente Pertini ex Diaz e sono state
interrotte le trasmissioni
in diretta di Radio Gap.
Il sequestro
delle cassette, denunciato in audizione dal dott.
Agnoletto, è
confermato dalla relazione trasmessa dal funzionario
dott. Mortola il 7
settembre al Comitato.
Non risulta
alcun verbale di sequestro del materiale asportato né
lo stesso
è stato restituito.
TOP
7.
L'uso legittimo della forza, i feriti e i
manganelli "tonfa".
7.1.
La relazione Cernetig
Le immagini
televisive e numerose denunce di cittadini hanno
determinato
l'indagine ispettiva affidata dal capo della polizia
all'ispettore Cernetig
nei confronti dei comportamenti censurabili di
operatori impegnati nei
servizi di ordine pubblico.
La relazione
dell'ispettore si sofferma sui casi evidenziati
dalle immagini
televisive trasmesse dalle reti nazionali: si
registrano casi di violenze
nei confronti di singoli manifestanti, spesso stesi
a terra o con le mani
alzate, che risultano da altri filmati pervenuti
alla Commissione.
Da tutti i documenti fin qui acquisiti emerge un
quadro complessivo che
smentisce la tesi riduttiva contenuta nella stessa
relazione dell'ispettore
Cernetig e di altri auditi, che sostenevano essersi
trattato di pochi ed
isolati casi. Si è potuto rilevare che la violenza
purtroppo non è stata
episodica.
E' necessario che l'attività ispettiva disposta dal
Dipartimento della
pubblica sicurezza sia estesa agli altri casi che
compaiono nei filmati
acquisiti da singoli cittadini.
TOP
7.2.
La distruzione di materiali video e fotografici.
L'audizione
del segretario della Federazione Nazionale della
Stampa, dott.
Serventi Longhi, del 4 settembre 2001, la
documentazione dallo stesso
fornita e numerose immagini video indicano
nettamente come alcuni
giornalisti, in particolare alcuni operatori
televisivi e fotografi, siano
stati spintonai o picchiati; in alcuni casi sono
stati sottratti o
distrutti apparecchiature fotografiche o di ripresa,
cassette o pellicole.
Gli episodi di violenza che hanno riguardato i
giornalisti hanno avuto come
protagonisti in alcuni casi i black blockers, in
altri casi appartenenti
alle forze dell'ordine. Il dr. Serventi Longhi ha
dichiarato che taluni
operatori dell'ordine pubblico si sono mimetizzati
con pettorine gialle con
la scritta "Stampa" analoghe a quelle
distribuite dalla Federazione della
Stampa allo scopo di proteggere l'incolumità dei
giornalisti e degli
operatori AA.PP. ,dottor Paolo Serventi Longhi,
seduta del 4 settembre
2001, p. 81-82.. Un poliziotto, indossante una
pettorina gialla compare in
un filmato mentre impugna una pistola durante gli
scontri ( si veda la
relazione dell'ispettore Cernetig).
Il caso più
grave è senza dubbio rappresentato dalla già
ricordata
sottrazione di almeno 4 cassette video nella scuola
Diaz-Pascoli perquisita
per errore.
TOP
7.3.
L'uso del "tonfa" e dei manganelli
Le immagini
televisive hanno mostrato alcuni manifestanti con
profonde
ferite al capo, al volto; macchiati di sangue sono
apparsi mura e pavimenti
stradali e della scuola Pertini.
I referti medici delle persone che hanno usufruito
delle strutture
ospedaliere di Genova indicano la gravità delle
ferite riportate da molti
manifestanti. La stessa relazione dell'ispettore
ministeriale dott.
Micalizio ha documentato le prognosi variabili delle
62 persone che hanno
subito percosse nel corso della irruzione nella
scuola Pertini (ex Diaz);
tre feriti furono ricoverati con prognosi riservata.
I filmati pervenuti alla Commissione hanno mostrato
alcuni agenti che
colpivano i manifestanti con l'impugnatura del
manganello oppure impugnando
il "tonfa" a mo' di martello.
Nel filmato depositato dal Genoa Legal Forum e
Indymedia si vedono alcuni
poliziotti della mobile di Roma entrare nella scuola
Pertini (ex Diaz)
impugnando il "tonfa" dalla parte opposta
rispetto all'impugnatura e in
un'altra occasione alcuni carabinieri colpire,
impugnando sempre nello
stesso modo il nuovo manganello, manifestanti a
terra lungo un muro che
delimitava una strada.
Il dott.
Donnini, nel corso della audizione del 5 settembre
2001, ha
chiarito che il nuovo manganello denominato
"tonfa" se usato scorrettamente
può provocare ferite assai gravi.
Da quanto si è potuto verificare le lesioni più
gravi sono state provocate
proprio dall'impiego irregolare dei
"tonfa".
TOP
7.4.
L'uso dei blindati
I filmati
acquisiti dal Comitato mostrano in numerose
circostanze mezzi
blindati per il trasporto dei militari (VTC)
dell'arma dei carabinieri e
blindati della polizia impiegati a velocità elevata
allo scopo di
disperdere i manifestanti.
L'impiego di tale tecnica, non prevista dalle
disposizioni della ordinanza
del questore del 12 settembre 2001, ha determinato
oggettive situazioni di
grave pericolo per l'incolumità dei manifestanti e
delle stesse Forze di
polizia, ma non ha risolto alcun problema di ordine
pubblico.
TOP
7.5.
L'uso delle armi
In almeno
cinque circostanze le forze dell'ordine hanno fatto
ricorso
all'impiego delle armi.
Oltre all'episodio nel quale ha perso la vita il
giovane Carlo Giuliani, le
relazioni di servizio dell'arma dei carabinieri
trasmesse dal colonnello
Tesser in data 10 settembre 2001, informano che tre
carabinieri hanno
sparato in aria il giorno 20 rispettivamente 2, 5 e
8 colpi di pistola. Il
quinto episodio, noto per essere stato mostrato da
riprese televisive, è
stato confermato dalla relazione dell'ispettore
Cernetig e dallo stesso
capo della Polizia De Gennaro, che riferiscono di un
poliziotto indossante
la pettorina della stampa impugnante la pistola.
TOP
Capitolo II
BOLZANETO: LA CASERMA NINO BIXIO
1. La caserma Nino Bixio di
Genova Bolzaneto
Il Comitato
Nazionale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica si
pose il
problema della gestione delle persone arrestate nel
corso di eventuali
disordini. Nella riunione del 12 giugno fu pertanto
coinvolto il Ministero
della Giustizia, nella persona del Dott. Mancuso,
reggente del Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP). Valutata
l'inopportunità di
utilizzare le strutture carcerarie cittadine, si
ipotizzò la costituzione
di siti di immatricolazione distaccati per poter
successivamente tradurre
gli arrestati nelle strutture carcerarie di Pavia,
Alessandria, Vercelli e
Voghera.
In data 21 giugno si approntò un piano operativo
che identificava le
strutture di Bolzaneto e Forte S.Giuliano.
In data 27 giugno, presso il Ministero della
giustizia, in una riunione cui
parteciparono i vertici del DAP nelle persone di
Paolo Mancuso, Emilio Di
Somma, Alfonso Sabella, il presidente del tribunale
di Genova Antonino Di
Indo, il presidente della sezione GIP Giovanni
Battista Copello, il
procuratore generale della Repubblica di Genova
Nicola Marvulli e un
dirigente del Ministero dell'interno, dott. Luperi,
si affrontarono i
problemi organizzativi e gestionali posti dalla
eventualità di dover
operare, in occasione del G8, arresti che si
prevedeva potessero essere
compresi tra un minimo di 300 ed un massimo di 1000.
Il 28 giugno il Dott. Sabella fu nominato
responsabile dell'organizzazione
e del controllo delle attività di pertinenza
dell'Amministrazione
Penitenziaria. Recatosi a Genova per visionare le
strutture di Bolzaneto e
Forte san Giuliano, preventivamente identificate
come idonee dalla PS e dai
Carabinieri, disponeva quanto ritenuto necessario
per l'immatricolazione e
la traduzione carceraria degli arrestati.
Il 12 luglio il Ministro della Giustizia firmò il
decreto istitutivo dei
due siti carcerari dopo essere stato
dettagliatamente informato dal Dott.
Di Somma sulla organizzazione predisposta.
I FATTI
La procedura
prevista per Bolzaneto era la seguente: gli
arrestati,
condotti dagli uomini delle forze di polizia che ne
avevano operato
l'arresto, giunti nel cortile interno, erano
visitati sommariamente dai
medici dell'Amministrazione Penitenziaria.
Successivamente erano sistemati
in camere di sicurezza dove erano custoditi dalla
Polizia di Stato. Una
volta espletate le procedure relative all'arresto,
venivano consegnati alla
Polizia Penitenziaria passando nelle camere di
sicurezza di pertinenza di
quest'ultima. Erano quindi immatricolati e, come da
regolamento, perquisiti
con denudamento e flessione. Raccolti al casellario
gli oggetti non
consentiti, gli arrestati - a quel punto detenuti -
erano visitati dal
medico che redigeva il diario clinico e, infine,
avviati alla traduzione.
Nei giorni 20, 21, 22 luglio sono state
immatricolate a Forte S. Giuliano
57 persone e a Bolzaneto 222, 26 delle quali in modo
solo formale essendo
state di fatto inviate in strutture ospedaliere.
Le procedure di arresto, immatricolazione e avvio
alla traduzione sono
risultate particolarmente lunghe con tempi
complessivi fino a 18 ore.
Dal giorno 26 luglio gli organi di stampa hanno
iniziato a raccogliere
testimonianze dirette ed indirette in cui si
denunciavano abusi e violenze
avvenute nella caserma di Bolzaneto cui avrebbero
concorso appartenenti a
tutte le forze di polizia quivi operanti.
Veniva quindi disposta un'ispezione da parte del
Capo della Polizia
(affidata al Dott. Montanaro) e una commissione
ispettiva da parte del
responsabile del DAP.
L'INDAGINE
Il comitato di
indagine fonda le proprie conoscenze sui seguenti
documenti:
a) relazione del Dott. Montanaro al Capo della
Polizia; b) relazione della
commissione ispettiva al Direttore del DAP; c)
testimonianza inviata al
Comitato d'Indagine Parlamentare da Marco Poggi,
infermiere in servizio
presso la struttura dal 17 al 22 luglio; d)audizione
del Ministro della
Giustizia Sen. Roberto Castelli; e) audizione del
Vicedirettore del DAP
Dott. Emilio Di Somma; f) audizione del Dott.
Alfonso Sabella, coordinatore
del Sito Carcerario di Bolzaneto
La relazione
del Dott. Montanaro riporta numerosi rilievi critici
tra cui i
più significativi sono:
1. una totale
ed inequivocabile carenza del momento organizzativo
e
gestionale; a tale riguardo segnala la mancata
previsione di un
responsabile della struttura di "trattazione
dei fermati"
2. la mancanza di puntuali direttive organizzative e
gestionali.
3. l'inosservanza diffusa del prescritto obbligo di
relazione da parte dei
dirigenti.
4. l'assenza di controlli da parte del personale
dirigenziale o direttivo
per tutto il periodo di funzionamento.
5. la farraginosità delle procedure che ha
allungato i tempi di trattazione.
6. perplessità sulla correttezza della compilazione
dei verbali d'arresto,
redatti in maniera sommaria e senza l'indicazione
dello stato di salute
degli arrestati anche quando costoro presentavano
vistosi segni di
alterazione delle condizioni fisiche.
7. annota, infine, che il funzionario del reparto
che aveva rilevato le
funzioni di custodia la mattina del 22 luglio aveva
trovato i fermati in
piedi con le gambe divaricate e con le mani
appoggiate al muro. Ritenendo
superflua tale posizione aveva loro consentito di
sedersi.
L'infermiere Marco Poggi afferma di aver dovuto
assistere ad una sequela di
violenze ingiustificate; in particolare:
I. i detenuti, in qualsiasi posto sostassero,
dovevano stare in piedi, le
gambe divaricate, le mani e la testa appoggiate al
muro, rimanendo così
anche per molte ore senza potersi né muovere né
parlare.
II. il medico, già identificato, visitava senza
camice, in modo rude e
sgarbato, rivolgendo ai detenuti motti irridenti,
senza accertare, come
avrebbe dovuto, la natura delle lesioni nonché
certificare la compatibilità
delle stesse con l'asserita natura.
III. Il personale si rese responsabile di alcuni
specifici episodi di
violenze fisiche, di aggressioni verbali e di
insulti volgari.
La lunga
relazione della commissione ispettiva del DAP -
della quale faceva
parte lo stesso Dott. Sabella che, in qualità di
Coordinatore della
struttura, parrebbe avere caratteri di
incompatibilità con il ruolo
ispettivo, conclude che se da un lato emergono
diversi episodi meritevoli
di approfondimento in quanto verosimili e di sicura
gravità, dall'altro è
possibile ricavare in numerosi casi un'errata
percezione dei medesimi da
parte dei denuncianti.
L'audizione del Ministro Castelli conferma la visita
effettuata al sito
penitenziario di Bolzaneto accompagnato dal Dott.
Sabella avvenuta tra le
una e trenta e le due circa del 22 luglio, quindi
nel cuore della notte, e
specificatamente limitata all'area di pertinenza
della Polizia
penitenziaria. In quella occasione non trovò nulla
di anomalo: i detenuti
stavano in piedi, con le gambe divaricate, mani e
faccia al muro e un
Agente Penitenziario era all'interno della cella.
Informatosi sul perché di
quella disposizione, gli venne risposto che era
necessario tutelare la
donna presente nella cella (tenuta peraltro nella
medesima posizione) da
eventuali molestie o aggressioni. Alla domanda se
abbia ritenuto credibile
quella spiegazione afferma che a mente fredda gli
pare strana e non
esaustiva; però non ritenne grave quella modalità
di detenzione perché: "I
metalmeccanici per 35 anni lavorano in piedi dalla
mattina alla sera e non
li ho mai sentiti lamentarsi".
TOP
2. CONSIDERAZIONI CRITICHE
La mancanza di
un responsabile della struttura di "trattazione
degli
arrestati", nonché di direttive e di rapporti
rendono difficile ogni
approfondimento di indagine in ordine ai fatti
accaduti negli ambienti
gestiti dalla Polizia di Stato. Questo spiega perché
l'indagine abbia posto
in primo piano le responsabilità di gestione della
Polizia Penitenziaria.
L'assenza di qualsivoglia controllo nell'esercizio
di un potere di
coercizione rappresenta di per sè stesso un fatto
di rilevante gravità; gli
abusi denunciati, infatti, non si sarebbero
verificati se ci fossero state
direttive precise e precisi incarichi di direzione.
Nella relazione della commissione ispettiva del DAP,
appare evidente lo
sforzo di minimizzare e giustificare laddove non si
può smentire. Mentre si
nega qualsiasi violenza od abuso si ammette che si
è registrata una
"ruvidità di comportamento", che è stata
usata una "certa durezza", che si
è proceduto "a vincere qualche resistenza
passiva". Si nega che si siano
sbattute le teste dei detenuti contro il muro, le
teste, invece, venivano
"premute con forza contro il muro". Si
ammettono, peraltro, due episodi di
violenza gratuita. Nel primo un Agente di P.S. -
transitando in compagnia
di un ispettore lungo il corridoio prospiciente le
camere di sicurezza di
pertinenza della P.P.- sferra una gomitata nella
schiena di un detenuto che
stazionava a gambe divaricate, mani e faccia al
muro. Nel secondo un agente
di P.P. di passaggio nel corridoio colpisce con un
calcio la gamba di un
detenuto in attesa, nella canonica posizione, di
fronte all'ufficio
matricola. Entrambi gli episodi ricevevano una
censura verbale da parte di
personale della P.P. che aveva assistito, ma non
dall'ispettore che
accompagnava l'agente).
Ad avviso degli autori di questa relazione , nulla
se non un intento
vessatorio può giustificare l'obbligo di rimanere
in piedi a gambe
divaricate con le mani e la faccia al muro per ore e
ore (fino a 18) senza
potersi muovere e parlare. A riprova di quanto
affermato valgono i casi di
due detenuti ricoverati con codice rosso, in stato
di incoscienza
(documentato dal fotorilevamento), per sospette
emorragie interne poi
scongiurate dagli esami clinici che hanno portato
alle dimissioni del primo
dopo poche ore e del secondo dopo due giorni di
ricovero.
Le diverse giustificazioni addotte, non sono
accettabili alla luce del
fatto che quelle strutture erano dimensionate per
gestire una quantità di
arresti ben superiore a quella registrata.
Non può non destare profondo sconcerto il fatto che
quelle modalità di
detenzione siano state esibite, senza imbarazzo di
alcuna delle parti, al
Ministro della Giustizia, che dovrebbe essere una
delle massime Autorità
dello Stato in tema di rispetto delle garanzie
costituzionali della dignità
della persona.
Un ultimo
rilievo riguarda la legittimità della struttura:
gli articoli 59,
60 e seguenti dell'ordinamento penitenziario - posti
a fondamento del
decreto ministeriale istitutivo della struttura di
Bolzaneto - conferiscono
al Ministro il potere di istituire istituti
penitenziari e siti
penitenziari al di fuori delle strutture carcerarie
ordinarie, ma non
uffici distaccati di istituti penitenziari già
esistenti.
Ai fermati, inoltre, non sono stati garantiti i
diritti previsti dagli
articoli 383 e 384 del codice di procedura penale:
il diritto ad informare
un terzo dell'avvenuto fermo e la possibilità di
ricorrere ad un avvocato
difensore. Con un ordine di servizio della Procura
di Genova, infatti, era
stato posto il divieto di colloquio tra i fermati ed
i loro difensori
finché gli arrestati non fossero stati trasferiti
presso le carceri di
destinazione ovvero con una posticipazione dello
stesso di 24 ore circa.
TOP
Capitolo III
ORDINE PUBBLICO A GENOVA E PROPOSTE DI RIFORMA
1. La Pianificazione
Operativa delle Attività di Pubblica Sicurezza
Gli obbiettivi
di pubblica sicurezza per il G8 di Genova sono stati
enucleati e definiti in occasione delle direttive
impartite dal Ministro
dell'Interno del Governo Amato e dei Comitati
Nazionali per l'Ordine e la
Sicurezza Pubblica che si sono tenuti sino al 24
maggio 2001, approvando il
documento elaborato dal Capo della Polizia -
Direttore Generale della
Pubblica Sicurezza. Questi venivano individuati
nella tutela del vertice,
nella tutela dei cittadini genovesi e della città
di Genova, nella tutela
del diritto di manifestare pacificamente il
dissenso.
Per realizzare
questi obbiettivi il prefetto di Genova emanava il 2
giugno
2001 una ordinanza con la quale venivano indicate
nella città zone con
vincoli differenziati: la zona rossa assolutamente
vietata anche al
traffico pedonale di soggetti non espressamente
autorizzati, comprendente
l'area portuale e le sedi del vertice e delle
delegazioni; la zona gialla,
esterna alla zona rossa quale zona cuscinetto, nella
quale venivano
interdette, fra l'altro, manifestazioni,
volantinaggio e sosta degli
autoveicoli; ed infine, quale terzo anello, una zona
verde nella quale non
avrebbero dovuto essere consentiti i cortei.
Questa
pianificazione operativa di pubblica sicurezza aveva
un carattere
necessariamente provvisorio in quanto dipendente da
tre circostanze: a) la
individuazione dei luoghi direttamente interessanti
le attività del
vertice; b) la individuazione dei luoghi destinati
all'ospitalità delle
delegazioni ufficiali e dei capi di Stato e di
Governo; c) la definizione
delle manifestazioni di dissenso che sarebbero state
autorizzate.
Solo la prima
delle tre circostanze fu definita tempestivamente,
anche
perché ricadeva nella esclusiva responsabilità del
Governo italiano, mentre
le altre due sono state definite solo dopo il 15
giugno 2001. In
particolare le delegazioni straniere erano state
particolarmente riottose
nell'accettare l'ospitalità sulle navi; il ritardo
impose una
sollecitazione del Ministro dell'Interno alla
Farnesina il 30 aprile 2001
ed un ulteriore sollecito del capo della Polizia il
9 giugno 2001. Le
manifestazioni infine vennero autorizzate solo il
12, 17 e 19 luglio 2001
con provvedimenti del Questore in seguito alla
definizione dell'indirizzo
politico da parte del Ministro dell'Interno, dopo
l'incontro avuto a Roma,
presso la Farnesina il 28 giugno 2001, come ha
riferito il Ministro
Ruggiero.
Il mutamento
della situazione ha comportato una diversa
impostazione
operativa, definita nella riunione del 13 luglio
2001 tenutasi a Genova,
con la presenza del Ministro dell'Interno e dei
massimi livelli della
Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri. La
nuova impostazione
derogava ampiamente, soprattutto per quanto concerne
le interdizioni
operanti nella zona gialla, alla ordinanza del
prefetto del 2 giugno 2001.
Nell'ordinanza
del Questore di Genova si dava conto del lavoro
informativo,
svolto ai fini della prevenzione, e si distinguevano
i partecipanti alle
manifestazioni come appartenenti, in ordine
crescente di pericolosità, al
blocco rosa, giallo, blu e nero. Con la descrizione
dei diversi blocchi si
rappresentava uno scenario molto diversificato che
andava da associazioni
ed organismi di autentica solidarietà, sino a
organizzazioni estremistiche
e persino eversive. Inoltre si descrivevano le
modalità operative di queste
ultime, capaci di muoversi, mimetizzarsi, dividersi
in piccoli gruppi e
trovare rifugio all'interno di manifestazioni
pacifiche; si indicavano
anche gli obbiettivi delle loro devastazioni:
banche, catene commerciali,
distributori di benzina.
Di qui l'esigenza di muoversi altrettanto
dinamicamente ed agilmente con
reparti specificamente addestrati come il Nucleo
Sperimentale antisommossa
o il settimo nucleo del Reparto mobile di Roma.
Le
disposizioni del Ministro dell'Interno orientate
verso il dialogo con i
manifestanti, già avviato dal precedente Governo
con maggiore prudenza, ma
comunque doveroso, ebbero come effetto un' apertura
al dialogo, come
definito nell'incontro del 28 giugno 2001 con una
delegazione del Genoa
Social Forum. Da questa apertura sono scaturite
alcune autorizzazioni a
manifestazioni anche concomitanti con lo svolgimento
del vertice. Tali
autorizzazioni, però, non sono state accompagnate
da un indirizzo politico
e prescrizioni coerenti che avrebbero potuto
consentire l'esercizio più
agevole delle funzioni di pubblica sicurezza; si
giunse a cancellare di
fatto la zona gialla per concentrare ogni attenzione
sulla sola zona rossa
entro la quale il vertice si sarebbe svolto.
TOP
2.
Le Proposte di Miglioramento delle Funzioni di
Ordine e Sicurezza
Pubblica in Occasione di Grandi Eventi e
Manifestazioni di Piazza
Nel corso dei
lavori del Comitato sono state presentate molte
proposte di
miglioramento della gestione dell'ordine pubblico.
Qui si richiamano solo
quelle riguardanti il mantenimento dell'ordine
pubblico e la sicurezza dei
cittadini in occasione di grandi eventi e di
manifestazioni di piazza.
Di fronte ad
uno scontro di piazza che ha spesso assunto le
caratteristiche
della "guerriglia urbana", le forze di
polizia si sono trovate impreparate
psicologicamente poiché, come è stato detto, era
la prima volta, da oltre
venti anni, che quel tipo di disordini doveva essere
affrontato.
Si vuole sottolineare che la formazione degli
apparati di sicurezza sia
rivolta non solo alle tecniche di ordine pubblico,
ma anche alla
preparazione psicologica di chi è chiamato a
svolgere le sue funzioni
spesso in condizioni di grave difficoltà.
Una seconda
questione emersa nel corso dei lavori ha riguardato
l'attività
informativa Il numero elevatissimo di informative e
la genericità di gran
parte di esse non hanno consentito di comprendere la
provenienza effettiva
dei pericoli e di individuare i fronti realmente
caldi. La massa indistinta
delle notizie ed il modo di porgerle all'attenzione
degli organi di
prevenzione più che dare conoscenza ha ingenerato
confusione.
Da qui la esigenza di impegnare nel futuro i nostri
servizi di sicurezza su
una attività informativa maggiormente selettiva, da
cui possa emergere in
concreto la capacità di analisi e la selezione
delle priorità, attraverso
una verifica puntuale della qualità delle fonti e
del contenuto
informativo, prima che esse siano trasmesse agli
organi della prevenzione
ed eventualmente alla polizia giudiziaria .
In questo
quadro vanno collocati gli interventi di polizia
durante il
vertice, dove si sono verificati deficit dipendenti
dai segnalati difetti
dell'attività informativa e deficit dipendenti, dal
mancato o difettoso
coordinamento tra le forze di polizia nelle fasi
operative o in quelle
immediatamente precedenti.
La presenza di
qualificato personale dell'Arma dei Carabinieri è
emersa ben
dopo l'audizione del Comandante Generale. Il gen.
Ganzer ha sostenuto
dinanzi al Comitato di essere andato a Genova per
svolgervi compiti
info-investigativi e cioè, nella sostanza, compiti
che relativi
all'attività dei servizi di sicurezza, dei servizi
di prevenzione e di
polizia giudiziaria.
Non risulta
che di tale attività sia stato informato alcuno. In
primo luogo
non è stato informato il Ministro dell'Interno e
per esso il Capo della
Polizia - nella sua qualità di Direttore Generale
della Pubblica Sicurezza.
Su tale attività, o addirittura meglio,
sull'attivazione in Genova di
servizi di tal genere da parte dell'Arma dei
Carabinieri nulla hanno potuto
riferire i dirigenti della Pubblica Sicurezza, il
Questore o il Prefetto,
che, a vario titolo, per ragioni inerenti alla loro
funzione o con speciali
provvedimenti erano stati investiti del compito di
programmare i servizi
per la sicurezza del vertice e per il contrasto
delle azioni violente
durante il vertice stesso.
Il gen. Ganzer
è vicecomandante del ROS e cioè del servizio di
polizia
dell'Arma, che corrisponde, nella Polizia di Stato,
allo SCO diretto dal
dott. Gratteri. Ebben,e dei compiti affidati e
svolti a Genova dal dott.
Gratteri vi è ampia documentazione; di quelli
affidati al gen. Ganzer non
esiste documentazione e comunque nulla è stato
detto né al Comitato né alle
autorità di pubblica sicurezza che stavano operando
per il vertice di
Genova.
Si è
assistito anche in questa occasione a condotte non
ispirate ai
principi della cooperazione istituzionale e del
coordinamento
investigativo. Sul punto occorrono una riflessione
immediata ed una
risposta decisa: ancor più indispensabili in giorni
come questi nei quali
anche il nostro Paese è chiamato ad uno sforzo mai
prima attuato per
contrastare le nuove dimensioni del terrorismo
internazionale.
In tema di
coordinamento può essere ricordato l'episodio
riportato dal
Secolo XIX del 10 luglio 2001 che evidenziava come
gli artificieri
dell'Arma dei Carabinieri avevano fatto esplodere
una autovettura
parcheggiata nei pressi della Prefettura,
ritenendola una autobomba, mentre
la Polizia di Stato aveva già svolto alcuni giorni
prima i relativi
controlli ed aveva accertato che si trattava di una
autovettura guasta.
E', quindi,
indispensabile che tutte le attività riconducibili
alle
funzioni ed alla responsabilità del Ministro
dell'Interno, quale autorità
nazionale di pubblica sicurezza, e del Capo della
Polizia, quale Direttore
Generale della Pubblica Sicurezza, da chiunque
svolte, siano portate a
conoscenza degli stessi attraverso le funzioni
consultive del Comitato
Nazionale dell'Ordine e la Sicurezza Pubblica,
ovvero attraverso specifiche
informative.
Possono essere
impiegati norme appositamente previste, quali le
direttive
che il Ministro dell'Interno può emanare, per far
circolare ogni utile
conoscenza, ma anche per poter successivamente
attivare quegli ulteriori
strumenti di collaborazione anche internazionale
previsti dagli accordi, ma
anche suggeriti dalla particolare contingenza.
L'aggressione
terroristica dell'11 settembre 2001 nei confronti
degli
U.S.A. potrebbe suggerire un'accelerazione delle
proposte legislative in
materia di servizi di informazione e dei poteri
investigativi di polizia.
Occorre però anzitutto che il Governo utilizzi gli
strumenti normativi di
cui già oggi dispone impedendo che restino
inattuate le previsioni della
legge n.121/1981 che attribuiscono al Capo della
Polizia la funzione di
"dirigere", coordinandole, tutte le
attività di pubblica sicurezza. Il
Ministro dell'Interno deve attuare concretamente
(mediante regolamenti,
circolari, ordini di servizio) le disposizioni
introdotte dall'art.21 della
legge n.125/2001 (cd. pacchetto sicurezza).
Esse hanno previsto tra l'altro il rafforzamento
delle funzioni del Centro
elaborazione dati del Dipartimento della Pubblica
Sicurezza stabilendo che
le diverse forze di polizia vi inseriscano
tempestivamente ed in modo
uniforme tutte le notizie e le informazioni
acquisite; hanno imposto al
Ministro dell'interno di impartire direttive per la
realizzazione di "piani
coordinati" tra le diverse polizie per il
controllo del territorio e alla
loro attuazione ha preposto gli uffici provinciali
delle forze di polizia.
Non è noto se
le direttive sui piani coordinati ed il regolamento
per
l'uniforme inserimento dei dati acquisiti da
ciascuna forza di polizia nel
CED del Dipartimento siano stati emanati, né,
ovviamente, è noto quale
modello per la vigilanza sulla attuazione concreta e
corretta di tali
disposizioni, il Ministro stia realizzando.
Sta di fatto che la gestione dell'ordine pubblico a
Genova si è mossa in
direzione opposta rispetto al coordinamento o ne ha
fatto uno "schermo"
puramente burocratico-formale per evitare
responsabilità.
Il punto
relativo all'individuazione del responsabile
dell'ordine pubblico
merita un breve approfondimento. Il dott. Lauro,
funzionario di pubblica
sicurezza assegnato ai servizi di ordine pubblico
nei pressi di piazza
Alimonda, dove è rimasto ucciso il giovane
manifestante Carlo Giuliani, ha
riferito che, durante i giorni del vertice, la sua
direzione dell'ordine
pubblico avveniva comunicando personalmente con
l'ufficiale comandante
dell'aliquota dei Carabinieri messa a sua
disposizione e che le
disposizioni da lui date venivano da questi poi
trasmesse ai carabinieri
sottoposti.
Senza indugiare sulla mancanza di collegamento radio
tra il funzionario di
pubblica sicurezza e l'ufficiale dei Carabinieri,
che pure meriterebbe un
commento , è emerso in tutta evidenza come nella
concitazione degli eventi
anche questa assolutamente contestabile modalità di
comando sia risultata a
volte inoperante perché il funzionario civile, che
aveva la responsabilità
dell'ordine pubblico, non riusciva a comunicare con
l'ufficiale dei
carabinieri.
L'ufficiale dei Carabinieri, invece, era in
collegamento permanente con i
Carabinieri operanti alle sue dipendenze.
E' evidente la
gravità delle conseguenze, che queste modalità
operative
hanno determinato. Tali modalità contraddicono il
concetto di direzione
unitaria dell'ordine pubblico e fanno del
funzionario una sorta di
colpevole "istituzionalizzato" dei
disordini di una piazza o di uno stadio.
Nulla impedisce che la normativa venga rivista, ma
ormai non si possono più
utilizzare comodi schermi formali. La Commissione, a
seguito delle
risultanze del comitato di indagine, non può
ignorare il problema e deve
farsene partecipe con forza perché il Governo
assuma determinazioni non
equivoche.
Specie in
occasione di grandi eventi, di manifestazioni a
carattere
internazionale alla centralizzazione delle
responsabilità deve
corrispondere l'effettività del comando.
A tal fine il
Ministro dell'Interno deve emanare chiare direttive:
le
aliquote delle forze di polizia diverse dalla
Polizia di Stato che in
occasione delle attività di ordine pubblico vengono
messe a disposizione
del Questore e del funzionario di pubblica sicurezza
devono essere soggette
effettivamente al comando operativo di tali autorità
senza alcun filtro.
La
responsabilità del funzionario di pubblica
sicurezza deve trovare
effettività nell'azione di comando, proprio per la
sua riferibilità al
Ministro dell'Interno, attraverso direttive e
disposizioni attuative che lo
mettano in condizione di svolgere in concreto il
ruolo che la legge gli
assegna.
Infine vanno
sottolineate le gravi "confusioni"
istituzionali che si sono
registrate durante il G8 di Genova. Qui non si
tratta solo di parole. E' in
gioco il rispetto di quel complesso di regole,
scritte e non scritte, che,
nella loro interezza fotografano il principio di
legalità di un paese. Di
certo inquieta che in una sala operativa siano
presenti, sia pure per poco,
durante delicatissimi momenti, alcuni esponenti
politici; che in una
caserma siano di fatto costituiti istituti
penitenziari; che il Ministro
della Giustizia, garante primo di quella legalità,
non sappia rendersi
conto nelle sue difficilmente spiegabili visite
notturne, che qualcosa di
grave sta accadendo e contribuisca invece, con la
sua presenza, a rendere
più difficile il lavoro di operatori di polizia o,
quantomeno, più soggetto
ad interessati "inquinamenti
interpretativi".
Non è in
questione la possibilità per il Ministro della
Giustizia di
istituire presidi penitenziari con decreto, ma la
grave inopportunità,
suscettibile di trascendere nella illegittimità, di
istituire tale presidio
all'interno di una struttura di polizia, con
prevedibili cadute nel
rispetto delle procedure e dei diritti stabiliti
dalla Costituzione e dalle
leggi in favore dei soggetti arrestati o fermati.
Allo stesso
modo non si vuole interdire la possibilità di far
visita e dare
incoraggiamento da parte di esponenti di Governo e
delle forze politiche a
coloro che sono impegnati nel garantire la sicurezza
dei cittadini, ma ciò
non può essere consentito mentre le attività sono
in pieno svolgimento
qualora gli stessi non siano titolari di una
specifica funzione di
responsabilità nel comando delle operazioni.
Al riguardo il
Ministro dell'Interno dovrebbe sollecitare una
discussione
nell'ambito del Governo, nella sua collegialità,
affinché le prerogative
istituzionali dell'autorità di pubblica sicurezza
non vengano in alcun modo
prevaricate; dovrebbe inoltre invitare i Comandanti
delle varie forze di
polizia ad emanare una circolare con la quale
fornire specifiche
indicazioni a tutti i comandi territoriali in ordine
al divieto assoluto di
consentire presenze di soggetti anche qualificati,
ma estranei alla linea
di comando, nelle sedi interessate dall'esercizio di
importanti attività di
ordine pubblico durante le fasi operative.
Le questioni
relative all'ordine e la sicurezza pubblica vanno
ricondotte
in una chiave istituzionale nella esclusiva
responsabilità politica del
Ministro dell'Interno, che ne risponde dinanzi al
Parlamento ed al Paese,
secondo lo schema rigoroso dei sistemi democratici
che non tollera alcuna
interferenze di alcun tipo.
Infine, dalla
esperienza del G8 di Genova scaturisce l'esigenza di
un
approfondimento su come in concreto può essere
garantito il diritto di
manifestare liberamente.
Il dialogo è una componente essenziale per il buon
esito di un' attività di
ordine pubblico. Anche per questo è indispensabile
che i soggetti deputati
a svolgere questo dialogo e questi contatti siano
titolari dell'effettivo
comando operativo.
Ne discende la
imprescindibile esigenza di ridefinire e riaffermare
con
urgenza la esclusività del ruolo e delle funzioni
della autorità nazionale
e locale di pubblica sicurezza, anche alla luce
degli interventi normativi
che si sono succeduti nel corso degli anni, affinché
si possa affrontare il
futuro, che si presenta difficile, con minori
confusioni ed incertezze, ma
soprattutto con maggiore sicurezza e libertà.
TOP
Capitolo IV
INTERPRETAZIONE DELLA VICENDA
1. Il "dopo"
Genova
Dopo il
vertice di Genova è radicalmente mutata la
sensibilità ai temi
della globalizzazione.
Ha pesato la morte di Carlo Giuliani.
Ha colpito il numero di partecipanti ai cortei e ai
dibattiti,
complessivamente, circa 300 mila, il più alto in
assoluto per questo tipo
di eventi. Hanno partecipato soprattutto giovani; ma
anche famiglie,
persone comuni che lì hanno trovato il senso di una
cittadinanza vissuta
come partecipazione a valori di solidarietà.
Ha incuriosito
la partecipazione di mondi assai diversi tra loro,
dalle
suore ai centri sociali.
Si è diffusa indignazione tanto per le violenze di
gruppi di manifestanti
contro la città e contro le forze di polizia,
quanto per le violenze di
appartenenti alle forze dell'ordine contro
manifestanti inermi.
Alle democrazie dei paesi più avanzati sono state
poste nuove domande che
riguardano: l'equità nelle relazioni tra i popoli,
il rapporto tra giovani
generazioni e sistemi politici, il modo in cui i
sistemi politici possono
guadagnare la fiducia delle generazioni più
giovani, il rapporto tra
diritto di manifestare e sicurezza delle città.
Dopo Genova i temi della povertà, delle malattie,
della fame, della sete,
dell'ingiustizia tra i popoli sono stati inseriti
nelle agende degli
impegni internazionali Furono i governi D'Alema ed
Amato ad impegnarsi
perché questi fossero i temi del G8 di Genova;
frutto di tale impegno fu
anche l'accettazione da parte del Segretario
generale dell'ONU dell'invito
ad essere presente a Genova; il governo Berlusconi
non si discostò da
questi indirizzi..
Solo dopo Genova alcuni capi di governo hanno
cominciato ad affrontare il
tema della tassazione delle grandi transazioni
finanziarie puramente
speculative al fine di ricavare risorse da
utilizzare a vantaggio dei paesi
più poveri del mondo. Si tratta delle prese di
posizione di Lionel Jospin e
di Gerhard Schroeder. Il Ministro delle Finanze
belga Didier Reynders, pur
mostrandosi scettico sugli effetti della cosiddetta
Tobin Tax, si dichiara
dopo Genova favorevole all'inserimento del tema
nell'agenda della riunione
dei ministri finanziari dell'Unione Europea (Ecofin)
del 21 e 22 settembre
2001.
Uno degli
economisti italiani più ostili alla Tobin Tax, il
ministro
dell'Economia Giulio Tremonti, soltanto dopo la
vicenda Genova ha
presentato una proposta sostitutiva di questa tassa,
ma con analoghe
finalità ( Le Monde, 12 settembre 2001). Non è qui
in discussione
l'efficacia dell'iniziativa; conta che anche questa
proposta nasce soltanto
dopo i fatti di Genova.
Il Rapporto 2002 della Banca mondiale,
"Building Insitutions for Markets",
pubblicato nel settembre 2001, segna un netto
cambiamento di rotta rispetto
al passato. Lo sviluppo dei paesi poveri sarebbe
stato agevolato, secondo i
rapporti precedenti, soltanto dalla totale e
assoluta liberalizzazione dei
mercati. L'ultimo rapporto, invece, pubblicato dopo
le grandi
manifestazioni antiglobalizzazione, individua in
istituzioni efficienti il
presupposto fondamentale per lo sviluppo dei paesi
poveri The Wold Bank,
World Development, Report 2002, Building
Institutions for Market,
Washington D.C., 2001.
Il Financial Times del 12 settembre 2001, sottolinea
come anche la Banca
Mondiale, dovendo tener conto del dibattito sulla
globalizzazione,
abbandoni gli antichi lidi e scelga una via di mezzo
tra gli opposti
estremismi del liberismo e della pianificazione,
sostenendo la necessità di
forti ed efficienti istituzioni per garantire il
mercato e vincere la
povertà.
Solo dopo Genova si è discusso, in Italia e fuori
d'Italia, dell'utilità
dei vertici internazionali, non perché essi non
debbano considerarsi
legittimi - qui ha sbagliato e sbaglia una parte dei
contestatori - ma
perché non possono considerarsi esaustivi. E'
emersa la necessità di
accompagnare questo tipo di incontri con impegni
credibili per la riforma
di alcune grandi istituzioni internazionali, come il
Consiglio di Sicurezza
dell'ONU, il WTO, il FMI e la Banca Mondiale, in
modo da trovare un giusto
equilibrio tra le esigenze della rappresentanza e
quelle della
governabilità.
Le vicende di
Genova hanno creato gravissimi problemi di ordine
pubblico,
ma, proprio per questo complesso di ragioni, non
possono essere considerate
soltanto un problema di ordine pubblico
Non devono sfuggire alla nostra sensibilità il
significato della
partecipazione di un così elevato numero di
pacifici cittadini, la
professionalità dimostrata dalla grande maggioranza
delle forze dell'ordine
in condizioni di particolare difficoltà, la
necessità di riformare la
nostra democrazia politica per aprirla alle domande
"riformatrici" venute
da Genova e per aprire un dialogo con tutti coloro
che chiedono una
globalizzazione diversa.
Anche le stragi di New York e di Washington ci
impongono, oltre
all'esigenza di colpire con tutta la necessaria
durezza gli attentatori e
chi li ha favoriti, l'obbiettivo di separare da quei
criminali tutti coloro
che, vivendo miseramente nella parte povera del
mondo, possono considerare
responsabile delle loro condizioni di vita l'intero
Occidente e giungere a
giustificare o addirittura a condividere atti di
quella disumana violenza.
Nel futuro delle nostre vite saremo costretti a
misurarci sempre di più con
i problemi sollevati a Genova. Oscurarli
significherebbe far vincere la
logica della violenza, che ogni volta tenta di
sacrificare il dialogo per
imporre lo scontro come prevalente misura dei
rapporti umani.
TOP
2.
I temi discussi in Italia
In Italia le
giornate di Genova hanno avuto un impatto del tutto
particolare. A noi non si sono poste solo le domande
comuni alle altre
grandi democrazie.
Il vertice si è svolto in Italia, era la prima
grande prova internazionale
del nuovo Governo di centro destra; è stato seguito
con attenzione da tutto
il mondo avanzato.
Il tragico fallimento della sicurezza pubblica fuori
della cosiddetta "zona
rossa", dove si svolgeva il vertice, ha reso
purtroppo poco rilevanti il
significato e i risultati dell'incontro.
Ha invece aperto la porta a discussioni ed analisi
che hanno riguardato la
scelta della città come sede del vertice, il
rapporto tra dissenso,
disobbedienza civile e violenza, la preparazione
delle forze dell'ordine a
fronteggiare eventi di questo tipo, il coordinamento
tra le diverse forze
di polizia, il deterioramento dell'immagine del
Paese dopo che , con
l'ingresso nell'Unione Monetaria Europea ed il
risanamento della finanza
pubblica, l'Italia aveva ripreso con autorevolezza
una collocazione di
prestigio nello scacchiere internazionale.
TOP
3.
Il peso della morte di Carlo Giuliani
La morte di
Carlo Giuliani è stata la prima nel mondo in
occasione di
manifestazioni antiglobalizzazione; la prima in
Italia dopo quella di
Giorgiana Masi, avvenuta a Roma il 12 maggio 1977.
Questa tragedia ha segnato il senso di quelle
giornate. Ha conferito un
significato del tutto particolare alle devastazioni
di parte della città,
alle aggressioni contro le forze dellordine, ai
gravi maltrattamenti contro
manifestanti pacifici e persone arrestate, alla
singolare "perquisizione"
notturna nella scuola Pertini (ex-Diaz).
Senza la morte di questo giovane, che aveva deciso
solo all'ultimo momento
di partecipare alla manifestazione, rinunciando ad
una progettata gita al
mare per solidarietà con i manifestanti, e tuttavia
autore anch'egli di
atti di violenza contro le forze dell'ordine, le
giornate di Genova
sarebbero state ricordate soprattutto per il
fallimento di una gestione
politica e operativa dell'ordine pubblico.
Dopo quella morte appaiono invece in tutta la loro
gravità la sterile
polemica sulla scelta della città di Genova, la
contraddittorietà degli
indirizzi della maggioranza e del governo, il
tentativo di isolare le forze
dell'ordine dalla società civile e di rompere il
rapporto istituzionale tra
queste e la magistratura, i difetti gravi nel
coordinamento delle diverse
forze di polizia e nelle loro concrete modalità di
impiego, le speculazioni
successive di alcuni uomini politici, la difficoltà
di rispondere
adeguatamente alle domande politiche, sociali e
culturali poste dal
movimento.
A Genova si sono poste domande di inedita portata:
giustizia per i poveri
di tutto il mondo, diritto allo sviluppo, alla
salute, alla pace,
all'ambiente. Ma anche la necessità di riaffermare
nel nuovo contesto le
garanzie, la sicurezza e la libertà: libertà per i
manifestanti pacifici e
per i cittadini , sicurezza nel corso delle
manifestazioni per le persone e
per le cose, garanzie per gli stessi appartenenti
alle forze dell'ordine le
cui condizioni di lavoro, per l'insensatezza dei
responsabili politici, non
devono diventare tali da esporre a rischio la loro
stessa incolumità fisica
e quella dei cittadini.
TOP
4.
I temi di cui non abbiamo discusso
Genova avrebbe
potuto costituire, nonostante le intuibili difficoltà,
un
momento di sforzo unitario del Paese , delle sue
Istituzioni e delle sue
forze politiche, sociali e culturali.
Avrebbe potuto costituire anche dopo la morte di
Carlo Giuliani, un momento
di serietà e di rigore, idoneo a rassicurare il
Paese, le sue forze di
polizia e l'opinione pubblica internazionale.
Si sarebbe potuto anticipare una seria riflessione
sui limiti dell'attuale
catena di comando in materia di ordine pubblico. E'
risultato, ad esempio,
che il funzionario civile, responsabile della
sicurezza sulla piazza, non
può ordinare direttamente ai carabinieri le
operazioni da svolgere, ma deve
passare attraverso l'ufficiale o, in alcuni casi,
attraverso un
sottufficiale, con la conseguenza dell'impossibilità
di dare ordini quando
nelle fasi più concitate l'intermediario sia
lontano da lui AAPP, audizione
del dr. Maurizio Fiorillo, 5 settembre 2001, p.161.
Si sarebbe potuto riflettere sui limiti della nostra
democrazia politica,
sul modo in cui allargarla a nuovi soggetti, a nuove
idee, a nuovi valori.
Così non è stato, soprattutto perché sono
prevalse in settori della
maggioranza la chiusura ad ogni critica e la
tendenza ad utilizzare a fini
di parte le vicende di Genova.
TOP
5.
Le scelte contraddittorie
Dai lavori del
Comitato è emerso il quadro confuso di un miscuglio
di
scelte politiche contraddittorie che hanno
disorientato gli operatori di
polizia, non hanno contrastato e isolato i violenti,
non hanno garantito i
manifestanti pacifici, hanno avallato le violenze di
appartenenti alle
forze dell'ordine nei confronti di manifestanti
inermi e nei confronti di
giovani arrestati, non hanno riconosciuto il
comportamento civile della
grande maggioranza dei manifestanti e delle diverse
forze di polizia.
Hanno nuociuto soprattutto quattro fattori:
a) L'assoluta ed esclusiva prevalenza data, dal
Ministro degli Interni,
alla tutela della zona rossa ;
b) il tentativo del centro destra, dopo i fatti di Göteborg,
ed ancora di
più dopo i fatti di Genova, di prendere le distanze
dalla scelta di questa
città come sede del vertice;
c) la fuga di notizie incontrollate provenienti dai
servizi di sicurezza,
idonee ad esasperare la tensione prima del G8;
d) il tentativo della componente più estremista
della maggioranza di aprire
una lacerazione tra forze dell'ordine e società
civile.
TOP
6.
Il Genoa Sociale Forum e le sue componenti
Il Comitato ha
inoltre analizzato il ruolo del Genoa Social Forum e
delle
sue varie componenti.
Il movimento è una realtà assai complessa. Vi si
riconoscono più di 700
sigle associative e non c'è un'unità di progetto
politico.
Le componenti principali sono due.
La prima è contro la globalizzazione in quanto tale
e comprende tipi di
motivazioni assai diverse tra loro. Una prima
motivazione è nettamente
anticapitalistica ed antiamericana; coglie soltanto
i limiti, i vizi e i
rischi del capitalismo e del modello di vita
americano senza coglierne gli
aspetti positivi. Una seconda motivazione si pone
agli antipodi della
prima; ha un carattere localistico, di chiusura e
ripiegamento sulle radici
tradizionali, ha paura del "meticciato"e
della perdita di identità che
inevitabilmente la globalizzazione porta con sé ed
intende rifugiarsi nei
mondi delle piccole comunità locali, nei valori
delle piccole appartenenze.
La Lega Nord, come è emerso più volte in
Parlamento, è l'espressione
italiana di questi orientamenti; avrebbe voluto
addirittura marciare contro
il vertice di Nizza, e rinunciò solo in forza
dell'accordo elettorale con
Forza Italia. Così anche quelle associazioni
contadine, in particolare
francesi, che protestano contro le barriere doganali
ai propri prodotti, ma
invocano le stesse barriere contro i prodotti
altrui.
La seconda componente si impegna per un'altra
globalizzazione, dal volto
umano, estesa ai diritti ed alle libertà civili e
religiose, non limitata
al mercato e all'informazione. Questi movimenti
colgono gli aspetti
positivi della globalizzazione e vogliono estenderli
a coloro che ne sono
esclusi. La parte più idealista, che comprende
anche un'anima religiosa,
invoca giustizia tra i popoli, lotta contro la
povertà, la fame, le
malattie e la sete, l'analfabetismo, e chiede la
globalizzazione dei
diritti e dei valori civili. La parte più politica
si interroga su come
ottenere questi obbiettivi e propone la riforma
democratica dei grandi
organismi internazionali.
Nelle iniziative del movimento, inoltre, si
inseriscono a volte, senza
farvi strategicamente parte, provocatori, anarchici
insurrezionalisti,
gruppi eversori e violenti di diversa collocazione
politica, black
blockers, che utilizzano parassitariamente le
manifestazioni per attaccare
le forze di polizia, fare opera di provocazione,
distruggere beni che essi
ritengono simboli della società che avversano.
A causa di questa complessità, e dell'impossibilità
di riduzione ad unum
dell'intero movimento, non si possono attribuire a
tutte le componenti del
movimento linguaggi e comportamenti propri di alcune
di esse.
Tuttavia alcuni gruppi di manifestanti non hanno né
isolato né condannato
le violenze, si sono avvalse di un linguaggio
aggressivo, non hanno segnato
con nettezza il confine che esiste tra la
disobbedienza civile e la
violenza, hanno tenuto comportamenti ambigui, come
la riproduzione davanti
alle telecamere delle tecniche di violazione della
zona rossa.
Tutto ciò ha contribuito ad alimentare il clima di
tensione, ha
incoraggiato taluni all'aggressività ed ha fornito
alle componenti più
estremiste della maggioranza parlamentare il
pretesto per dare un'immagine
violenta di tutto il movimento.
Il dr. Agnoletto, portavoce, del GSF ha ammesso
l'errore dell'uso di un
linguaggio violento ( seduta del 6 settembre 2001,
p. 79 del fascicolo).
Luca Casarini, portavoce delle "tute
bianche", ha spiegato al Comitato il
comportamento della propria componente del GSF in
termini non convincenti e
senza la consapevolezza della scarsa consistenza,
nella pratica, dei
confini tra i comportamenti da lui definiti di
"disobbedienza civile" e la
violenza vera e propria.
Tuttavia la responsabilità di alcune componenti del
GSF non è di per sé
idonea a cancellare o ridurre le responsabilità del
governo e di chi era
responsabile in loco della pubblica sicurezza.
Era infatti ampiamente noto a tutti che Genova, è
la stessa cosa sarebbe
valsa per qualunque altra città Si ricorda a questo
proposito l'intervento
del senatore Grillo, AA PP, Senato, seduta n.8 del
27 giugno 2001, sarebbe
stata attaccata da gruppi violenti.
Infatti prima di Genova altre manifestazioni avevano
fatto presagire le
difficoltà nelle quali ci si sarebbe imbattuti.
Questi
precedenti avrebbero dovuto condurre nella gestione
pratica
dell'ordine pubblico a distinguere tra violenti e
non violenti. Ma la
repressione a Genova si è rivolta prevalentemente
contro gli inermi ed
invece i gruppi violenti sono stati prevalentemente
lasciati agire.
In una scena ripresa da una emittente televisiva
locale, TeleGenova, si
vede chiaramente un cittadino, in Corso Torino, dove
erano state appena
effettuate devastazioni, che, impaurito per il
disordine, giunge ad inveire
contro le forze dell'ordine chiedendo il loro
intervento a tutela della
città per evitare che i cittadini siano costretti a
difendersi da soli. Il
cittadino è visibilmente esasperato, tanto che
alcuni poliziotti si
avvicinano cortesemente a lui per calmarlo.
TOP
7.
La principale responsabilità del Ministro
dell'interno.
Il ministro
Scajola ha indicato nel suo intervento in Comitato,
e quindi
dopo l'evento, i cinque obbiettivi che il governo
intendeva garantire a
Genova: a) assicurare il regolare svolgimento del
vertice, garantendo ai
Capi di Stato, ai Capi di Governo e a tutte le
delegazioni di partecipare
in condizioni di completa sicurezza; b) tutelare i
diritti dei cittadini
che erano a Genova, l'incolumità della città e dei
beni dei privati; c)
garantire la libertà di manifestazione durante le
giornate della conferenza
a tutti coloro che avessero espresso le loro
opinioni pacificamente e nel
rispetto delle leggi; d) agire con il massimo rigore
nell'azione di
contrasto verso i violenti che avessero tentato di
turbare il regolare
svolgimento del vertice; e) offrire piena fiducia
all'azione delle forze
dell'ordine.
E' stato conseguito soltanto il primo dei cinque
obbiettivi. Ma non sono
stati tutelati né la città di Genova, né la
libertà di manifestazione
pacifica, né è stata assicurata la repressione dei
violenti. E' stata messa
a rischio la fiducia dei cittadini nelle forze di
polizia.
Sono quattro fallimenti gravi determinati dal fatto
che in verità l'unica
reale priorità era costituita dalla cosiddetta
difesa della zona rossa.
Tutto il resto era considerato secondario ed
accessorio.
La scelta di concentrare le forze di polizia nella
zona rossa ed attorno a
questa zona, rinunciando a presidiare l'intero
territorio della città con
la medesima cura, ha permesso ai violenti di
spadroneggiare, ha impedito ai
reparti delle forze dell'ordine di svolgere
un'azione serena e ferma di
controllo del territorio e li ha costretti ad
inseguire disordinatamente i
manifestanti, di modo che sono stati i più violenti
tra loro a determinare
con le distruzioni gli spostamenti delle forze
dell'ordine.
D'altra parte l'obbiettivo prioritario per il
governo, lo era anche per le
forze dell'ordine; in assenza di una ordinata e
previdente distribuzione
delle forze sul territorio, ciascun reparto era
responsabilizzato a non
creare condizioni che potessero mettere a rischio la
zona rossa. Ciò forse
spiega alcune singolarissime inerzie.
Fatto sta che il Ministro ha ritenuto di difendere i
capi di stato e di
governo prevalentemente con la presenza delle forze
di polizia, nulla di
più giusto, e di difendere i genovesi
prevalentemente attraverso il dialogo
con gli esponenti dei manifestanti, niente di più
sbagliato. Il dialogo era
utile, anzi necessario, ma per ragioni di ordine
civile, non per ragioni di
ordine pubblico. Era ed è giusto consentire ad un
movimento, che pone
grandi straordinari problemi all'attenzione di noi
tutti, di poter
esprimere liberamente le proprie posizioni. Ma la
gestione contrattata
dell'ordine pubblico è possibile solo quando le
manifestazioni sono indette
e gestite da organizzazioni omogenee e con una
riconosciuta capacità di
tenuta della piazza. Nella specie il GSF, proprio
per rappresentare oltre
700 organizzazioni dagli orientamenti ideali più
diversi, per la prima
volta tutte insieme alla prova della manifestazione
di piazza, non aveva né
poteva avere le caratteristiche di tenuta proprie
delle forze politiche o
sindacali tradizionali.
Inoltre il Ministro, aveva tutte le informazioni
necessarie per prevedere
quello che sarebbe accaduto. Ma nulla ha fatto per
difendere Genova e i
genovesi, forse sulla base dell'erroneo e non
responsabile calcolo che i
disordini nella città avrebbero comunque trattenuto
i manifestanti lontano
dalla "zona rossa".
Il ministro dell'Interno, in base alla legge sulla
riforma della polizia
(121/81), è "responsabile della tutela
dell'ordine e della sicurezza
pubblica", "adotta i provvedimenti per la
tutela dell'ordine e della
sicurezza pubblica", emana non solo
"direttive" ma anche specifici
"ordini"
nei confronti del dipartimento di pubblica
sicurezza.
Si può discutere di queste forme di responsabilità
in capo ad un'autorità
politica; alcune di queste previsioni vanno riviste,
come noi proponiamo
più avanti. Ma oggi lo statuto del Ministro
dell'Interno è quello definito
dalla legge. Ai doveri, che da quello statuto
derivano, l'on. Scajola è
venuto meno.
I lavori del
Comitato hanno messo in luce inoltre come nella
maggioranza e
nello stesso governo siano emerse differenze e
contraddizioni che hanno
concorso a disorientare l'opinione pubblica e le
forze di polizia.
Il 9 maggio il presidente della Regione Biasiotti
dichiara a La Stampa:
"Genova non può permettersi di ospitare le
manifestazioni degli antiG8 nei
giorni del summit."
Su Il Corriere della Sera del 3 giugno l'on.
Frattini, che sarà ministro
della Funzione pubblica nel governo Berlusconi,
sostiene invece la
necessità del colloquio.
Anche dopo Göteborg le valutazioni divergeranno.
Mentre il Presidente del
Consiglio insisterà sul tema dell'allarme e della
paura, il ministro degli
Esteri riferirà al Comitato, rispondendo ad una
domanda dell'on. Boato, che
dopo Göteborg si manifesta la consapevolezza che la
protesta conteneva
"elementi
che rappresentavano valori nuovi e vecchi, ma che
nessuno poteva
mettere in discussione, come i diritti umani, i
diritti dei lavoratori, la
protezione dei bambini, l'ecologia, la protezione
dell'ambiente, la lotta
alla povertà eccetera.. Direi che dopo Göteborg
tali argomenti sono entrati
nel dibattito tant'è vero che Göteborg ha avuto
forse un'influenza positiva
nel convincere tutte le delegazioni che questi
dovevano essere i temi del
vertice di Genova." AAPP Camera dei deputati,
seduta del 7 settembre 2001,
p. 61.
L'11 aprile
2001, un mese prima delle elezioni, l'on. Gasparri,
esponente
di Alleanza Nazionale e Ministro delle Comunicazioni
nel governo
Berlusconi, dichiara a Il Giornale: "E'
sbagliata la strategia del dialogo
con gli oppositori del G8. Palazzo Chigi ha
sottovalutato la violenza del
popolo di Seattle".
TOP
8.
La condivisione della scelta di Genova come sede
del G8.
La scelta
della città di Genova come sede del G8 venne
proposta formalmente
in Parlamento dal Governo D'Alema con il ddl 4566
del 5 aprile 2000
intitolato "Disposizioni per l'organizzazione
del vertice G8 a Genova".
C'era già stata Seattle; ma non fu sollevata alcuna
obiezione, anzi gli
esponenti del centro destra che intervennero tanto
alla Camera quanto al
Senato sottolinearono non solo la condivisione della
scelta, ma anche il
positivo clima di concordia tra maggioranza e
opposizione.
Alla Camera, ad esempio, fu l'on. Armaroli, di AN,
che ribadì: " Su un
disegno di legge governativo sono i deputati
dell'opposizione che si
schierano a favore di Genova".
Simile fu la situazione nella legislatura successiva
quando il governo
Berlusconi presentò alle Camere il ddl di
conversione del Decreto Legge
160/2001 "recante ulteriori finanziamenti per
la presidenza italiana del G8
per l'anno 2001 e per il vertice di Genova".
C'erano già state, come detto
in precedenza, Praga, Nizza, Göteborg, il salone
delle biotecnologie a
Genova e il forum di Napoli sulla E-governance. Il
clima fu comunque
unitario; e chi criticò la scelta di Genova lo fece
solo in relazione alla
necessità di dover impiegare nuove risorse
finanziarie ( int. on. Armani in
Commissione speciale, 15 giugno 2001).
A questa critica rispose l'on. Baiamonte, di Forza
Italia, che ricordò il
comportamento cooperativo tenuto dall'opposizione
nella precedente
legislatura.
Ma la questione fu affrontata in modo più
approfondito dal senatore Grillo,
del gruppo F.I., in sede di dichiarazione di voto il
27 giugno 2001:
"Si è parlato in questi giorni e a lungo del
G8 e da taluni si è osservato
che Genova, per la sua struttura urbanistica e per
le caratteristiche del
suo territorio mal si addice ad ospitare vertici così
importanti.
Non c'è dubbio - lo dico io, rappresentante eletto
in questa città- che ci
sia del vero in questo, ma credo che il problema non
sia Genova e la sua
struttura urbanistica e orografica, bensì un altro.
Credo infatti che
finché i vertici fra i Grandi della Terra si
svolgeranno nei centri urbani,
dovremo mettere comunque e sempre in conto i
problemi della contestazione
e, conseguentemente, quelli della sicurezza. D'altro
canto credo che sia
inimmaginabile pensare di svolgere incontri di
questo livello, che hanno
avuto in questi anni lo sviluppo che conosciamo, in
località isolate, dando
così l'impressione di cercare un rifugio in
soluzioni che potrebbero
apparire, queste sì , conseguenza di una scelta
ancora più elitaria, ancora
più distante dal consenso della gente.Sono convinto
invece che a Genova il
nostro Paese saprà ben figurare, dimostrando con le
sue capacità
organizzative, all'opinione pubblica mondiale quanto
sia meritata la sua
credibilità internazionale."
Un mese prima
dell'evento, illustrando una sua interrogazione al
vice
presidente del Consiglio, l'on. Bornacin (AN)
confermava l'unanimità della
scelta:
" (Il vertice di Genova) nacque come
un'occasione importante per il nostro
Paese, per la città di Genova, tanto è vero che,
pur essendo stato
approvato dal precedente Governo, i disegni di legge
che ne varavano
l'organizzazione vennero votati anche dal
centrodestra con una procedura
d'urgenza sia al Senato che alla Camera" AAPP,
Camera deputati, seduta 27
giugno 2001
Dopo il
vertice di Göteborg i quotidiani dettero notizia di
discussioni in
sede di governo circa la possibilità di spostare il
vertice da Genova ad
altra sede. Si ritenne di confermare Genova,
informava il Corriere della
Sera del 17 giugno, perché ormai era troppo tardi
ed anche per un'altra
ragione:
".la tesi
politica a favore del mantenimento del vertice nel
capoluogo
ligure - scriveva l'autorevole quotidiano - è che
l'eventuale grave
insuccesso sul piano dell'ordine pubblico sarebbe
stato attribuibile
pressoché in toto ai governi di centrosinistra. Se
invece la sede venisse
spostata il nuovo governo ne avrebbe una più
diretta responsabilità."
La tesi veniva
confermata da successive dichiarazioni del
presidente del
Consiglio, secondo il quale i meriti ed i demeriti
del G8 sarebbero
comunque ricaduti sul precedente governo che aveva
scelto la città di
Genova v. Il Giornale, 17.6.2001, p.4: "
Berlusconi: sul G8 meriti e colpe
vanno a chi ci ha preceduti".
La dichiarazione appariva prevalentemente diretta ad
attribuire le
responsabilità di un cattivo esito al precedente
governo. Se il vertice non
avesse avuto problemi si sarebbe infatti sostenuto
che il merito era di chi
lo aveva gestito. La riprova è nel vertice ONU del
1994 che si tenne a
Napoli. Il vertice era stato organizzato dal governo
Ciampi, sostenuto dal
centro-sinistra, ma venne condotto dal primo governo
Berlusconi; ebbe un
buon risultato, ma a nessuno venne in mente di
accreditarlo al precedente
presidente del Consiglio.
Per queste ragioni, dopo le dichiarazioni del
presidente del Consiglio,
autorevoli esponenti dell'opposizione sostengono,
come titola Il Sole 24
Ore del 17 giugno, che il leader della CdL "è
un irresponsabile".
Il presidente della Regione Liguria, Sandro
Biasiotti, dichiara a La Stampa
del 18 giugno: "O si fa a Genova o non si fa da
nessuna parte".
Il Ministro Scajola in una lettera a Il Secolo XIX
dell'11 luglio escludeva
l'inidoneità di Genova pur lamentando i ritardi
nell'organizzazione, che ,
come emergerà dai lavori del comitato, erano
determinati dalle incertezze
di alcune delegazioni, in particolare quella degli
USA, sulla sistemazioni
logistica, incertezze motivate da ragioni di
sicurezza .
Tuttavia il Ministro Frattini in un'intervista a Il
Messaggero del 19
luglio, rispondendo al giornalista che obiettava:
"Ma è stato il governo di
cui fa parte a trasformare Genova in una città di
guerra", rispondeva:
" Noi abbiamo dovuto rispondere ai messaggi
inquietanti ed alle minacce.
Era nostro dovere stendere una rete di sicurezza per
i genovesi e le
delegazioni straniere. Tanto più che non può
essere il governo Berlusconi a
pagare il prezzo della scelta sbagliata di Genova
come sede del G8."
A queste
affermazioni se ne aggiungeva un'altra,
"Sarebbe stata meglio una
video conferenza", che lascia perplessi non
solo per l'inopportunità, non
solo per la disarmante irresponsabilità, ma anche
per la sua inutilità; a
meno che tutto lo sforzo di alcuni uomini di governo
non fosse concentrato,
piuttosto che sulla buona riuscita del vertice,
sulla ricerca di espedienti
per attribuire le responsabilità di un previsto
insuccesso al precedente
governo.
La scelta, condivisa dal centro destra sin
dall'inizio, era confermata da
alcuni uomini di governo e solo alla vigilia, quando
maggiore sarebbe stata
l'esigenza di rasserenamento, diventava per altri, e
per lo stesso
presidente del Consiglio, sbagliata e pericolosa.
Peraltro una parte delle polemiche non dipendeva da
una valutazione attenta
delle circostanze di fatto, ma da pure ragioni di
lotta politica.
In questo quadro si colloca una singolare iniziativa
assunta dalla
componente ligure di Forza Italia il 22 febbraio
2001, alla vigilia dello
scioglimento delle Camere per le elezioni politiche.
Il Secolo XIX
pubblicava un'intera pagina di inserzione
pubblicitaria dove era riprodotta
una fotografia della presidente della provincia di
Genova, Marta Vincenzi,
insieme ai contestatori della mostra-convegno
internazionale sulle
biotecnologie, tenutasi a Genova dal 24 al 26 maggio
2000; la foto
raffigura la polizia che fronteggia i dimostranti
con le scritte "Pericu,
Vincenzi, volete che tutto questo si ripeta? Forza
Italia: no alla violenza
e alle ambiguità, sì ad un G8 sicuro". La
presidente Vincenzi contestava
l'idea di eccitare la tensione e la paura, insita
nel messaggio contenuto
nel manifesto, ed aggiungeva di essere "onorata
di essere stata ritratta in
una foto dove si può osservare sia l'efficienza
delle Forze dell'ordine che
il diritto democratico di manifestare da parte di
chi contestava".
Peraltro il senatore Grillo, appartenente a FI ed
eletto in Liguria,
contestava seccamente l'iniziativa del suo partito
in un'intervista allo
stesso quotidiano, definendola "Una brutta
provocazione".
Da questo tipo di messaggi e dalle contraddittorie
posizioni sopra
ricordate nasce il disorientamento in cui si
trovarono non solo i cittadini
di Genova ma soprattutto le forze dell'ordine,
incerte persino sulla
condivisione, da parte del Governo che le dirigeva,
della stessa scelta
della città del vertice.
Il Governo e le forze politiche che lo sostengono
avrebbero dovuto giocare
la carta dell'autorevolezza, della serenità e del
prestigio; giocarono
invece quelle della divisione e della paura.
TOP
9.
La fuga delle notizie provenienti dai servizi di
sicurezza
Il G8 si è
presentato all'attenzione dei servizi di sicurezza
con caratteri
del tutto inediti.
I problemi sono derivati dall'intreccio di rischi
provenienti da varie
fonti: dalle organizzazioni eversive italiane, da
quelle terroristiche
operanti nei diversi Paesi del G8 che avrebbero
potuto avere uno specifico
interesse ad attentare all'iniziativa in quanto tale
o al responsabile
politico del loro paese; dal terrorismo
internazionale antiamericano ed
antioccidentale; dal terrorismo degli estremisti
islamici. Come è stato
osservato in un saggio dedicato a questa materia
E.C.Del Re, I servizi al
G8, Limes, 3/2001, p. 203ss., si continua a trattare
il movimento
antiglobalizzazione come un problema di eversione e
di antagonismo,
tendendo ad accomunarlo ad altri del passato.
Soprattutto non si è distinto
tra il movimento antiglobalizzazione in quanto tale
e coloro, del tutto
diversi, che avrebbero potuto approfittare delle
iniziative
antiglobalizzazione per realizzare i loro piani
eversivi. Secondo alcuni, i
servizi italiani sarebbero cresciuti negli ultimi
anni dal punto di vista
qualitativo molto più della capacità istituzionale
di utilizzare
l'intelligence E.C. Del Re, cit., p.207. In realtà
sembra che le
informazioni siano state più spesso utilizzate dai
mezzi di informazione
per "colpi" giornalistici, che dai
responsabili politici come elemento di
riflessione e di intervento. Ciò è grave perché
snatura lo stesso lavoro
del sistema di sicurezza.
Se la valorizzazione prevalente delle informazioni
dei servizi è di
carattere mediatico, senza alcuna distinzione tra
informazioni, illazioni,
previsioni, sospetti e descrizione di ipotetici
scenari, è inevitabile una
tendenza dei servizi stessi a lavorare sulle notizie
che possono apparire
più eclatanti rispetto a quelle che possono
apparire più fondate. Questa
deformazione si verifica non per loro responsabilità,
ma per responsabilità
di quella parte dei responsabili politici, che non
utilizza ancora nelle
forme e con l'attenzione dovuta il lavoro dei
servizi, senza contare che
appartengono proprio a questo mondo coloro che con
maggiore frequenza
trasmettono le notizie ai mezzi di informazione
provenienti dai servizi.
Per quanto è apparso al Comitato, i servizi non
hanno selezionato il
materiale in loro possesso, facendo invece giungere
sul tavolo dei
responsabili una congerie di informazioni confuse ed
inutilizzabili. Alcune
di queste, per la loro eterogeneità, dal sangue
infetto da gettare sugli
agenti, alle buste con sangue di maiale (perché poi
di maiale?) agli
alianti per colpire i capi di Stato - erano inidonee
a prevenire alcunchè
ma idonee a suscitare l'allarme più elevato. E ciò
è tanto più grave se,
come puntualmente avvenuto, quelle informazioni
erano fatte pervenire, con
tempestività pari alla irresponsabilità, alle
redazioni dei quotidiani e
dei settimanali e pubblicate quindi con grande
risalto e con titoli,
coerenti con il contenuto, che suscitavano paura e
tensione v. ad es. Il
Giornale 17 giugno 2001 "Il piano segreto per
far tremare Genova"; Id., 18
giugno "Spunta Bin Laden dietro i finanziamenti
del popolo di Seattle".
Il dr. La Barbera, per le sue funzioni di direttore
centrale della Polizia
di Prevenzione, aveva appunto il compito della
prevenzione e doveva quindi
elaborare i dati che pervenivano dai servizi. Egli
ha precisato di aver
diffuso alle articolazioni periferiche 126 note di
interesse ( i servizi ne
avevano elaborate oltre 200), ma ha lamentato che i
dati rilevanti erano
stati "complessivamente rari, comunque non
dettagliati e, soprattutto,
indistinti tra una moltitudine di informazioni
risultate nella maggior
parte dei casi prive di un qualche riscontro"
(seduta 28 agosto 2001,
p.145).
Si è verificato il paradosso che quelle
informazioni mentre non aiutavano,
per la loro eterogeneità e la conseguente scarsa
affidabilità, ad elaborare
una razionale strategia di difesa si rivelavano, per
la loro irresponsabile
comunicazione agli organi di informazione, del tutto
idonee tanto ad
aumentare la tensione nella città di Genova quanto
a motivare i gruppi più
violenti.
TOP
10.
Le scelte autonome di Alleanza Nazionale
Le confusioni
maggiori sono derivate dalla linea tenuta da
Alleanza
Nazionale anche in divergenza dagli orientamenti del
governo e degli altri
partiti della maggioranza.
Gli elementi di fondo di questa linea sono due:
generare un clima di paura
nella città di Genova; tentare di costruire un
proprio rapporto politico
privilegiato con le forze dell'ordine.
Sulla paura a Genova insistono numerosi commenti di
uomini politici di
destra ed organi di stampa che a questa parte
politica fanno riferimento.
La linea è espressa chiaramente dal deputato
Bornacin in un'intervista del
10 luglio a Il Secolo d'Italia:
"Ribadisco che Genova resta una città in preda
al terrore, l'effetto
positivo dell'azione dell'esecutivo non basta a
colmare una paura
alimentata anche dai ricordi del convegno
internazionale sulle
biotecnologie della primavera di un anno fa..Negozi
chiusi, tassisti in
agitazione per le mancate risposte sulla propria
tutela da parte
dell'amministrazione comunale di centrosinistra e
fuga dei residenti nei
tre giorni del vertice sono il quadro attuale della
situazione che sta
coinvolgendo anche Imperia e Sanremo, centri
attraverso i quali transiterà
il popolo di Seattle".
La tesi,
espressa con chiarezza da vari articoli de Il
Giornale, è che la
sinistra, proprio perché ha perso le elezioni
politiche, cerca una
rivincita a Genova contro il governo di centrodestra
"Il Giornale" 20
maggio: in : E' allarme rosso al G8. L'estrema
sinistra in cerca della
rivincita.".:
"Proprio
per questo il voto del 13 maggio è destinato a
pesare, eccome,
sullo svolgimento dal 20 al 22 luglio prossimo del
vertice degli otto Paesi
più industrializzati del mondo: da un lato si
agitano i 200 mila
contestatori internazionali della globalizzazione,
blanditi e sponsorizzati
dai "compagni" italiani che ne faranno
un'occasione di rivincita dopo la
batosta elettorale."
Tentativo di
rivincita violenta della sinistra sconfitta alle
elezioni e
terrore nella città sono i due assi di questa
interpretazione politica, che
hanno avuto effetti gravi nell'immagine delle forze
di polizia e nel
comportamento di alcuni appartenenti ai diversi
reparti impegnati a Genova.
D'altra parte solo in questo modo si spiegano le
aggressioni verbali di
alcuni appartenenti alle Forze dell'Ordine contro
gruppi di manifestanti o
di arrestati definiti "comunisti" con
varie qualificazioni spregiative
aggiuntive; la stessa motivazione trova la
provocazione di un agente che a
Bolzaneto fa sentire la canzone fascista
"Faccetta Nera" ad alcuni detenuti
V. lettera di Marco Poggi, infermiere alla Caserma
di Bolzaneto, inviata al
Comitato il 30 agosto 2001..
Alleanza Nazionale cerca di sfruttare a suo
vantaggio l'evento di Genova.
Non può apparire come chi lo ha cogestito e quindi
non può coglierne gli
utili in termini di consenso e di immagine. Questo
spazio è tutto occupato
dal presidente del consiglio e dai ministri
dell'interno e degli affari
esteri. D'altra parte è significativo che il
Ministro dell' Interno non
deleghi neanche un momento della preparazione ad un
sottosegretario.
Per AN non resta che cavalcare il vertice, non sul
versante della politica
bensì sul versante dell'ordine pubblico,
schierandosi aprioristicamente
contro i manifestanti e dalla parte delle forze
dell'ordine, cercando di
aprire una frattura tra società civile e forze di
polizia, come è proprio
di una cultura autoritaria dell'ordine pubblico.
E' significativa un'attenta lettura dell'intervento:
Gli indirizzi politici, sono autorevolmente ed
abilmente espressi dal
vicepresidente del Consiglio on. Gianfranco Fini
alla Camera il 27 giugno
2001, per di più in una seduta trasmessa in diretta
televisiva: a)
attribuire davanti all'opinione pubblica e alle
forze di polizia ogni
manifestazione di piazza ai gruppi violenti ed
eversivi; b) garantire che
in caso di scontri nessuna responsabilità sarà in
alcun caso addebitata dal
governo alle forze dell'ordine.
Il vice presidente del consiglio non parla di
violenza sulle cose e sulle
persone, parla soltanto di manifestazioni e
turbolenze di piazza. Ma un
corteo di migliaia di persone, anche se pacifico, è
di per sé una
manifestazione di piazza ed arreca quelle che sono
chiamate "turbolenze",
blocco della circolazione stradale, chiasso etc.;
altra cosa naturalmente
sono le violenze, le quali peraltro non sono
connaturate ai cortei, se non
in una visione autoritaria, ottocentesca dell'ordine
pubblico, contraria
alla costituzione repubblicana, come "ordre
dans la rue".
Questo indirizzo è profondamente sbagliato; non
serve a garantire né i
manifestanti pacifici né le forze di polizia; è
solo il precipitato di una
cultura autoritaria fondata sulla
separazione-contrapposizione tra forze
dell'ordine e società civile, che potrebbe
annullare il rapporto saldo e
democratico che l'intero paese, indipendentemente
dalle collocazioni
politiche, ha con le sue forze dell'ordine. Ed
infatti sono proprio gli
appartenenti a quest'area politica che insistono
sulla irriducibile
contrapposizione tra manifestanti e forze di
polizia.
Per fortuna solo una ristretta minoranza di
appartenenti alle forze
dell'ordine si è fatta condizionare da questo
indirizzo.
L'ANSA del 19 luglio informa che "un gruppo di
parlamentari della Casa
delle libertà sarà a Genova durante i giorni del
G8 in funzione di
'osservatori', per portare la loro solidarietà alle
Forze dell'ordine e per
evitare che queste possano essere accusate di aver
compiuto provocazioni
contro i manifestanti". L'iniziativa è
presentata dal capogruppo di AN alla
Camera, Ignazio La Russa e dal suo promotore, il
deputato Filippo Ascierto,
anch'egli di Alleanza nazionale. La stessa agenzia
informa che il
presidente La Russa ha dichiarato che quei
parlamentari "vogliono guardare
con i propri occhi per essere sicuri che non possano
essere avanzate facili
accuse verso le Forze dell'ordine" e che i
deputati saranno presenti a
staffetta nella sala centrale operativa. E l'on.
Ascierto spiega
all'ADNkronos che "i parlamentari saranno in
'sala situazione' in modo tale
che nessuno potrà parlare di provocazioni da parte
delle forze
dell'ordine.". Lo stesso deputato, informa Il
secolo d'Italia del 20
luglio, dichiara: "Le forze dell'ordine avranno
dei testimoni di parte ,
così non si potrà dire che hanno messo in atto
provocazioni." Il Secolo
d'Italia, 20 luglio 2001, p.2, I deputati della CDL
"osservatori"
dell'ordine..
In pratica, una forza politica di governo, invece di
invitare alla serenità
e alla calma insiste sul clima di scontro, giunge a
prevedere azioni di
forza degli operatori di polizia e si dichiara
disponibile preventivamente
a dire, in qualità di testimone "di
parte", che non ci sono state
provocazioni da parte delle forze dell'ordine. Ma
nessuno sino a quel
momento, nel mondo politico, tranne i citati
deputati di AN, aveva accusato
la polizia di "provocazioni" o previsto
che tali comportamenti avrebbero
potuto essere messi in atto dalle forze di polizia.
E' in ogni caso la
traduzione degli indirizzi indicati dal
vicepresidente del consiglio e
presidente di Alleanza nazionale, on. Fini.
Le finalità di questo non responsabile
atteggiamento sono due: contribuire
a far aumentare la tensione e rassicurare le forze
di polizia circa la
copertura preventiva offerta da quella forza
politica a qualunque loro
comportamento. Il disordine diventava
"necessario": se, infatti, non ci
fossero stati disordini, non sarebbe scattato il
meccanismo politico che ha
portato quel partito ed i suoi dirigenti ad assumere
a Genova una
visibilità tutta propria, persino superiore a
quella del presidente del
Consiglio.
A questo clima si associano alcuni piccoli
sindacati, politicamente vicini
ad AN. Il presidente di una Unione Sindacale di
Polizia, riporta l'ANSA del
17 giugno, chiede di annullare il vertice di Genova
che si trasformerà "in
una trappola per le forze di polizia" con
"il rischio di un massacro per i
nostri agenti". Nessun dialogo "con i
contestatori " del G8 contro i quali
va usato "il pugno di ferro", sostiene un
Libero sindacato di polizia
all'ANSA il 21 giugno. Lo stesso sindacato (ANSA 29
giugno) "contesta il
diritto a manifestare invocato dal popolo di Seattle
"quando lo stesso
diritto viene negato, con fulminee ordinanze di
divieto, per tantissime
manifestazioni di estrema destra e di altro segno
politico. La stessa
organizzazione annuncia il 5 luglio (ANSA) che terrà
il giorno successivo
un presidio davanti alla Questura di Genova per
protestare "contro la
mollezza governativa di fronte alle assurde
richieste di alcuni esponenti
dell'organizzazione antiG8".
Il carattere non responsabile di questi
comportamenti emerge con chiarezza
ancora maggiore se si considera che nei giorni
antecedenti al vertice erano
stati commessi vari attentati Il 16 luglio 2001, un
plico bomba ferisce il
carabiniere Stefano Storri della stazione dei CC di
S. Fruttuoso a Genova
[F,144] [U,90] [MM, I,24];
Il 17 luglio 2001, una busta contenente due
proiettili e le foto di
Agnoletto e Casarini è indirizzata al Sindaco di
Genova, dott. Pericu
[MM,I,24] [MM, 29].
Il 18 luglio 2001: esplode una lettera bomba nella
sede del TG4 di Segrate;
viene recapitata una busta incendiaria alla società
Benetton Group di
Ponzano Veneto [F,144]; un plico incendiario è
inviato al prefetto di
Genova [HH, 110,126]; a Bologna viene disinnescata
una bomba in pieno
centro [ANSA]; si verifica un attentato alla sede di
un'agenzia milanese di
lavoro interinale, rivendicata da un sedicente
"Fronte rivoluzionario per
il comunismo" [ANSA]., con conseguenze in
qualche caso gravi, che avevano
contribuito a creare un clima di allarme.
Sarebbe stato più saggio da parte di un'importante
forza politica, con
grandi responsabilità di governo, non cavalcare il
terrore a fini di parte,
ma contribuire a rasserenare gli animi e a ridurre
le tensioni.
TOP
10.1.
La presenza a Genova dei parlamentari di Alleanza
nazionale
Durante i
giorni del vertice, e dei disordini, furono presenti
a Genova il
vicepresidente del consiglio ed alcuni deputati di
Alleanza nazionale. Si
trattava dell'adempimento della "missione"
anticipata attraverso la
conferenza stampa del 18 luglio. I deputati si
trattennero per pochi minuti
nelle sale operative della polizia di Stato e per
molte ore tanto il 20
quanto il 21 luglio, in Forte San Giuliano, sede del
Comando provinciale
dell'Arma dei carabinieri a Genova. E' stato
riferito al Comitato che il
lungo prolungarsi della visita presso la sede
dell'Arma era stato
determinato dalla violenza dei disordini attorno a
Forte san Giuliano. E'
pur vero che, come risulta anche al Comitato, i
disordini iniziarono
intorno alle 11,30 del mattino; ma il momento di
massimo scontro si ebbe
tra le 16, 30 e le 17,30 (ora in cui morì Carlo
Giuliani), proprio quando i
deputati lasciarono il comando.
Un'Ansa del 20 luglio riporta una dichiarazione
dell'on. Ascierto: "Sono
stato nella centrale operativa dei carabinieri
insieme ad altri due
parlamentari, Guido Bornacin e Federico Bricolo,
fino a pochi minuti prima
della morte del manifestante. Dal monitor ho potuto
vedere le diverse zone
di Genova dove vi erano degli scontri e posso
testimoniare un grande senso
di responsabilità dei carabinieri.". Analoghe
dichiarazioni erano rese
dallo stesso parlamentare a varie radio private e
pubbliche. Da queste
dichiarazioni emerge una presenza costante di questi
deputati in un luogo,
sala operativa, particolarmente delicato, in modo da
rafforzare l'idea, che
AN ha tentato di costruire attorno al vertice, di
partito garante delle
forze dell'ordine. Peraltro il generale Siracusa
precisava, sulla base
delle informazioni in suo possesso, che i deputati
Bornacin, Ascierto e
Bricolo si erano trattenuti il giorno 20 nella sala
stampa e non nella sala
operativa, mentre non era in grado di fornire
precisazioni in ordine alla
visita effettuata il giorno 21 dal vicepresidente
del Consiglio AA PP,
Camera dei Deputati, seduta 8 agosto 2001, p.197. Il
colonnello Graci,
comandante del reparto operativo dei carabinieri di
Genova, smentisce
nettamente l'on. Ascierto: "In centrale
operativa, accompagnati dal
comandante provinciale, sono entrati alcuni
parlamentari, sia il 20 sia il
21 luglio: sono entrati, hanno salutato il personale
di servizio e sono
usciti.in centrale operativa si sono fermati il
tempo strettamente
necessario per salutare." AA PP, Camera dei
Deputati, seduta 29 agosto
2001, p.113.
Non si ha alcun motivo di dubitare della
dichiarazione resa da un ufficiale
dell'Arma, che peraltro coincide sostanzialmente con
quella del Comandante
generale, essendo evidente che se la visita alla
sala operativa era durata
solo i pochi attimi necessari per un saluto di
cortesia non c'era ragione
di informarne dettagliatamente il comandane
generale. Bisogna però
chiedersi per quale motivo l'on. Ascierto millanti
in dichiarazioni la sua
lunga presenza nella sala operativa dei carabinieri.
Non si tratta di una
infantile vanteria. La sala operativa, ha spiegato
il colonnello Graci al
Comitato, è un'area riservata e vi entra solo il
personale autorizzato;
inoltre nei cinque anni di comando del reparto
operativo era questa la
prima volta che vi entravano parlamentari, sia pure
per il tempo
strettamente necessario ai saluti AA PP, Camera dei
Deputati, seduta 29
agosto 2001, p. 114.
Dichiarare quindi di essere stato a lungo in sala
operativa (anche in
diretta radiofonica) era una bugia, ma serviva a
dare l'immagine di un
partito credibile, capace di forzare regole e di
garantire quindi quella
copertura di cui gli esponenti di AN avevano parlato
nei giorni precedenti.
Non c'è dubbio che nessuna forza di polizia si sia
lasciata attrarre da
queste richieste offerte di padrinato, che miravano
a conferire ad esse una
collocazione di parte, contro i principi
fondamentali della nostra
democrazia.
E tuttavia non può non rilevarsi il carico di
responsabilità politica che
quei comportanti assumono nei disordini di Genova e
nel costruire il
convincimento che in piazza, per reagire ai
disordini, ci si poteva
comportare secondo gli indirizzi di quel partito e
non secondo i doveri
imposti alle forze di polizia dal nostro ordinamento
costituzionale e
riassunti in un opuscolo che il Ministro dell'
Interno aveva fatto
distribuire a tutti coloro che operavano a Genova.
TOP
11.
Gli indirizzi di Alleanza nazionale dopo Genova
Subito dopo il
vertice parte una sorta di terzo tempo
dell'operazione degli
esponenti di AN. Occorre tener fede a quanto
garantito prima delle
manifestazioni; ma gli eccessi di alcuni
appartenenti alle forze di
polizia, che sembrano corrispondere alle indicazioni
di esponenti di AN,
rischiano di costituire un boomerang perché
espongono il complesso delle
forze dell'ordine ad un giudizio pesantemente
negativo, tanto in Italia
quanto fuori.
Gli stessi esponenti di AN cercano di riprodurre il
paradigma secondo il
quale c'è una criminalizzazione generalizzata delle
forze di polizia, a
Genova i disordini sono stati ispirati dalla
sinistra, le violenze
ingiustificate a danno dei manifestanti sono un
affare di scarso rilievo.
Un giornalista de Il Corriere della Sera chiede al
Ministro delle
comunicazioni Gasparri se si debba far luce sugli
eventuali abusi delle
forze dell'ordine. Il Ministro risponde:
"D'accordo si faccia luce su queste cose. Per
me sono questioni di
dettaglio. Possiamo anche stabilire se un poliziotto
ha dato quattro
manganellate anziché tre. Ma non è questo il punto
chiave.(il punto chiave)
è la contiguità, la copertura fornita dalla
sinistra alle violenze dei
manifestanti.a fronte di dieci errori compiuti da
funzionari di polizia, ci
sono cinquecento reati commessi da esponenti di
spicco della sinistra." Il
Corriere della Sera, 31 luglio 2001, p. 3: "Gasparri:
stabilire se un
poliziotto ha dato tre o quattro manganellate? Un
dettaglio", intervista di
Giuseppe Sarcina.
Successivamente
quando cominciano le indagini della magistratura sui
disordini, è sempre AN che attacca pesantemente i
magistrati, accusandoli
di incriminare la polizia e di essere indulgenti con
chi ha seminato
violenza a Genova. Il 1° settembre 2001, il
presidente dei deputati di An,
on. La Russa, il portavoce di AN, Mario Landolfi e
il presidente dei
senatori di AN, sen. Domenico Nania, dichiarano
congiuntamente, come
riportato dall'ANSA: " [.] agli occhi degli
italiani è inspiegabile che la
magistratura genovese continui ad indagare
poliziotti e carabinieri e non
arresti i teppisti che hanno tentato di linciare le
forze dell'ordine [.] ".
Infine,
annuncia un'agenzia AGI del 6 settembre 2001, alla
festa di AN
verrà presentato un video realizzato dal SAP,
Sindacato Autonomo di
Polizia, sulle violenze commesse a Genova
"dalla sinistra".
TOP
12. Le conseguenze
dell'atteggiamento di AN
Un'analisi dei
fatti e delle dichiarazioni conduce quindi i
presentatori di
questa relazione a ritenere che parlamentari di
Alleanza Nazionale abbiano
condotto una propria personale gestione del vertice,
separandosi dalle
altre forze della maggioranza, al fine di acquisire
un proprio peso
specifico nella coalizione e di costruire un proprio
personale rapporto con
le forze dell'ordine.
Questa doppiezza di indirizzo politico ha creato
incertezza e, in una
situazione di oggettiva confusione determinata dalla
cattiva gestione
dell'ordine pubblico durante le due giornate, è
stata uno dei fattori di
degenerazione della situazione.
Si è trattato di una scelta rischiosa perché ha
tentato di aprire una
lacerazione tra società civile, sistema politico e
forze di polizia. Le
forze dell'ordine devono godere in democrazia della
fiducia dell'intera
società civile e dell'intero sistema politico.
Altrimenti esse sono
collocate su un fronte di parte che le rende nemiche
di una parte della
società civile e avversarie di una parte del
sistema politico. Questa
lacerazione è incompatibile con l'articolazione dei
poteri in democrazia e
con il corretto rapporto di fiducia che deve
intercorrere tra istituzioni e
società.
Forse maggiori chiarimenti su questa assai
discutibile scelta avrebbe
potuto fornire al Comitato il vicepresidente del
consiglio on. Gianfranco
Fini.
Ma la maggioranza del Comitato si è opposta alla
sua audizione.
TOP
13.
Il comportamento delle forze dell'ordine
Più complessa
è la questione del comportamento delle forze
dell'ordine.
Esse sono state sottoposte a turni pesantissimi;
hanno vissuto la vigilia e
quelle giornate in uno stato di tensione grave
determinato anche
dall'irresponsabile comportamento di quegli
esponenti di AN che avevano
creato le condizioni psicologiche di una sorta di
prova di guerra, non di
una prova, per quanto difficile, di ordine pubblico;
sono state dirette
male sul territorio; hanno subito gli effetti della
ormai tradizionale, ma
non per questo meno grave, mancanza di
coordinamento; sono state lasciate
senza cibo e senza acqua per moltissime ore,
nonostante il caldo, la
fatica, il rischio. Uno dei giovani funzionari
sentito dal Comitato, che si
trovava in piazza Alimonda nel momento della morte
di Giuliani, rispondendo
ad una precisa domanda, ha informato che prestava
servizio da 11 ore, ma si
era alzato alle quattro del mattino perchè era
alloggiato a 40 chilometri
da Genova; da quell'ora era riuscito a bere
dell'acqua solo attorno alle
15,30 AAPP, Camera dei Deputati, audizione dottori
Lauro e Fiorillo, 5
settembre 2001, p.168 ss.h
E' in queste condizioni che si sono verificate le
incertezze nelle piazze e
nelle strade, gli errori di valutazione, le reazioni
violente ed
ingiustificate nei confronti dei manifestanti
pacifici. Non si tratta di
comportamenti giustificabili, perché proprio nel
rischio emerge la funzione
di polizia. Tuttavia nessuna responsabile
valutazione può prescindere dalle
condizioni concrete nelle quali si svolsero gli
eventi. E le condizioni
concrete erano di tensione, di disagio, di cattiva
organizzazione , di
cattiva conoscenza della città, di difetto di
comunicazione. I funzionari
di pubblica sicurezza, infine, erano in molti casi
privi di concrete
possibilità di comando nei confronti dei reparti
dei quali erano
responsabili.
L'esame delle cause dei comportamenti anomali nelle
strade di Genova di
appartenenti alle forze dell'ordine comporta quindi
la considerazione di
molteplici fattori. Alcuni sono di carattere
soggettivo, altri invece
dipendono dalle strutture di comando. Hanno pesato,
ancora, l'inadeguata
distribuzione delle forze nella città di Genova; la
concezione,
insidiosamente propalata da quegli appartenenti ad
AN, per la quale i
manifestanti erano, per il fatto stesso di
manifestare, pericolosi per la
sicurezza pubblica; un atteggiamento, non del tutto
assente nel Paese, e
quindi neanche nelle forze dell'ordine, per le quali
l'uso della forza è
una prerogativa indiscutibile di chi esercita il
potere di coercizione per
conto dello Stato.
Necessariamente diverse sono le valutazioni per le
violenze commesse
durante la perquisizione nella scuola Pertini-Diaz e
a Bolzaneto. Esse sono
oggetto di valutazione da parte dell'Autorità
Giudiziaria; ed è a
quell'autorità che spetta accertare le
responsabilità individuali. Ma la
politica non può sottrarsi ad un giudizio.
La confusione che precedette la perquisizione,
l'assenza di un chiaro piano
di intervento all'interno, la genericità del
mandato, le modalità
dell'esecuzione hanno fatto sì che alla fine, per
il numero di feriti, la
violenza dell'irruzione, l'affollamento non
necessario degli operatori di
polizia, la pochezza dei risultati, è maturata
l'impressione di un
intervento nel quale l'intento di reagire alle
violenze subite nel corso
della giornata sembrava far aggio sull'esigenza di
acquisire elementi di
prova.
Ancora più inaccettabili sono le violenze della
caserma di Bolzaneto. Una o
tante non interessa al giudizio politico. Il corpo e
la dignità
dell'arrestato sono intangibili nello Stato
democratico.
Nello Stato democratico l'arrestato non è ridotto a
cosa, non è alla mercè
di chi lo custodisce; è persona con i diritti e la
dignità che
dall'ordinamento costituzionale gli sono
riconosciuti. Chi lede gli uni o
mortifica l'altra avvilisce la funzione che
esercita, apre una lacerazione
tra Stato e società civile, diffonde paura per lo
Stato invece che
rispetto, rischia di rompere la coesione civile del
Paese.
TOP
Considerazioni
conclusive
Al termine dell'indagine conoscitiva, e al di là
delle legittime diversità
politiche che si esprimono in sede parlamentare, la
Commissione ritiene che
l'intero Parlamento debba riaffermare unitariamente
alcuni principi
fondamentali che riguardano il rapporto tra sistema
politico, forze di
polizia, società civile, dissenso.
Il sistema politico deve garantire, in tutte le sue
componenti, che le
forze di polizia siano e si sentano forze
dell'intero Paese,
indipendentemente dalle maggioranze e dalle
minoranze che vivono nel
parlamento e nella società. La coesione di un Paese
si misura anche sulla
base del grado di fiducia che nelle forze di polizia
ha la società civile,
soprattutto nelle sue aree di dissenso politico.
Le forze di polizia italiana hanno saputo
conquistare questa fiducia non
solo attraverso il quotidiano impegno, ma anche
attraverso la lotta contro
le organizzazioni terroristiche e le organizzazioni
mafiose. La polizia che
era in strada a Genova è la stessa che ci ha
liberato dal terrorismo rosso
e dallo stragismo nero; è la stessa che ha
arrestato i più importanti capi
delle organizzazioni mafiose. Gli errori che sono
stati commessi a Genova,
e che ha riconosciuto lo stesso Ministro
dell'Interno nel corso della sua
audizione davanti al Comitato , non possono essere
utilizzati per rompere
quel rapporto di fiducia. Tutti dobbiamo auspicare
che nessuna forza
politica tenti più nel futuro di mettere la polizia
contro una parte della
società civile.
Le forze dell'ordine, dal canto loro, devono
esercitare il più rigoroso
controllo sui propri comportamenti per evitare, in
qualsiasi ipotesi, che
l'esercizio della forza possa trasformarsi in abuso.
Il dissenso, infine, non può essere considerato una
patologia. Il dissenso,
la possibilità di manifestarlo e di organizzarlo,
sono l'essenza stessa
della democrazia, che contiene dentro di sè le
regole perchè una minoranza
dissenziente possa diventare maggioranza, attraverso
il consenso dei
cittadini. Il sistema politico e le forze di polizia
hanno il dovere di
garantire che il dissenso possa esprimersi
liberamente, soprattutto, quando
porta in sè i germi del nostro futuro, come quello
che la grande
maggioranza dei cittadini ha manifestato a Genova.
Il dissenso, per parte
sua, non deve mai esprimersi in forma violenta e non
deve indulgere a
comportamenti equivoci o tolleranti nei confronti
della violenza.
La democrazia infatti non è solo esercizio di
pluralismo; è soprattutto
esercizio di responsabilità.
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