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PIETRO BRUNO
La
sera di
sabato 22 novembre del 1975
si svolge a Roma, con un'ampia convergenza
di forze democratiche, una manifestazione a sostegno della lotta del
popolo angolano. Il corteo si snoda per Via Labicana quando, all'altezza
dell'Ambasciata dello Zaire, un gruppo di manifestanti – una decina -
si stacca. L’intenzione è quella di una protesta dimostrativa contro
un paese che partecipa all'aggressione imperialista in Angola,
responsabile di continui massacri di quella popolazione.
Appena il gruppo si affaccia, dall'imbocco di Via Muratori, in largo
Mecenate, si sente gridare: “eccoli!”.
“Eccoli!” è un’esclamazione che lascia pochi dubbi sullo stato
d’animo di chi la grida. Nessuna sorpresa: “ecco stà arrivando chi
stiamo aspettando”. Da parte dei compagni la sensazione è quella
della trappola; vengono lanciate un paio di molotov, distanti da dove
sono posizionate le forze dell’ordine, l’intenzione è di coprirsi
la fuga, di sparire al più presto. In una frazione di secondo inizia la
fuga e l’inizio di un vero e proprio tiro al bersaglio da parte di chi
vedeva le spalle del proprio “nemico”.
Le forze dell’ordine sparano, i giovani scappano.
Tre bersagli, nonostante siano “bersagli
mobili”, sono colpiti: uno
al “centro”,
crolla sull’asfalto, colpito alla schiena; altri due
di “lato”,
sono colpiti alla testa, ma riescono a continuare la fuga.
Chi giace sull’asfalto urla. Chi è più vicino a lui si ferma: prova
ad alzarlo, non ci riesce, chi è a terra non sente più le gambe. Chi
soccorre tenta di trascinarlo via da quell’inferno. Verso quel
pericoloso gruppo, formato da un giovane di diciotto anni disteso per
terra e da un altro giovane che, disperato, prova a salvarlo, vengono
sparati altri colpi di pistola. Due raggiungono quei bersagli, diversi
dai precedenti, questi sono: “bersagli immobili”. Chi è a terra
viene colpito di nuovo su una gamba, chi osava soccorrere viene colpito
su un braccio. Chi può cambia il proprio stato di bersaglio, da
immobile diventa mobile: non rimane che fuggire.
La strada è vuota, il tiro al bersaglio è finito per mancanza di
………: a terra è rimasto un bersaglio immobile che grida per il
dolore.
Prima
testimonianza
-
S.D.B.
«... Giunta in Via Ruggero Bonghi ho notato sulla piazzola antistante
l'ambasciata delIo Zaire dei reparti di poliziotti e carabinieri. In
perfetta calma sono andata a casa e dopo cinque minuti circa ho udito e
visto due o tre bagliori, come i fuochi d'artificio e dei bagliori
filtrare in casa. Mi sono affacciata alla finestra ed ho visto sette o
otto giovani correre in Via Muratori, in discesa, in direzione di Via
Pietro Verri».
A
Domanda Risponde. - Non ho notato se questi giovani avessero il
viso coperto, avendoli visti di spalle.
Contemporaneamente ho visto che militari in divisa, non so se poliziotti
o carabinieri inseguivano detti giovani e, contemporaneamente ho udito
dei colpi secchi di pistola provenire decisamente dal gruppo dei
militari; è stata una scena fulminea e non sono perciò in grado di
precisare quanti poliziotti o carabinieri avessero sparato. A questo
punto la mia attenzione è stata immediatamente attratta da un giovane
disteso per terra in Via Muratori, sul lato opposto alla mia abitazione
a circa 5 o 6 metri dal piazzale antistante l'ambasciata; ho notato
poliziotti o carabinieri, anzi credo più poliziotti disporsi alla fine
di Via Muratori, evidentemente per isolare la zona. Ho quindi sentito
che il ragazzo disteso per terra si lamentava e contemporaneamente ho
visto un uomo in borghese sbucare attraverso i poliziotti che si è
avvicinato di corsa al ragazzo disteso per terra urlando, presso a poco
« TI PARE QUESTO IL MODO DI AMMAZZARE UN COLLEGA» e quindi, « CANE,
BASTARDO, CAROGNA », ho quindi visto che l'uomo ha puntato la pistola
verso il ragazzo disteso per terra, urlando « TI AMMAZZO » ed ho
sentito il clic del grilletto.
Il ragazzo ha gridato «NO » ed ha fatto il gesto di coprirsi il volto
con le mani. Quindi l'uomo, chinandosi sul ragazzo gli ha detto « MA IO
TI AMMAZZEREI VERAMENTE » e lo ha scosso.
Seconda
testimonianza
-
J.F.
«…La
mia attenzione è stata richiama dalla visione di un giovane, bocconi
con la testa rivolta verso il basso di Via Muratori e piedi verso il
largo, abbastanza vicino al marciapiede di destra per chi sale e
pressoché parallelo al marciapiede. Quanto al luogo ove io l'ho visto
ritengo di poter dire che trovavasi, a livello della scalinata che è
fra il primo palazzo di Via Ludovico Muratori che fa angolo (proveniente
dal largo) ed il mio palazzo. Occorre tener presente che tale percezione
io l'ho avuta dal punto in cui ho potuto vedere e cioè dal portone del
mio palazzo che è in posizione rispetto al detto luogo e alla
scalinata. Il giovane in borghese vicino al corpo a cui ho fatto
riferimento più sopra, era evidentemente armato di pistola. Sempre dal
mio posto di osservazione, ho visto degli agenti di polizia diversi da
quelli che stavano mettendosi in riga che correvano in giù a zig zag
per Via Muratori. L'inseguimento è stato reso difficoltoso da qualche
ostacolo posto di traverso, alla strada. A tal proposito con certezza
posso affermare che il detto ostacolo era costituito da
un’autovettura. Non posso dire se ve ne fosse altra. Dopodiché la mia
attenzione è stata nuovamente richiamata dal ragazzo disteso accanto al
quale ve ne era un'altro in borghese che come ho detto prima aveva in
mano una pistola. Ho sentito chiaramente pronunziare da costui le parole
«bastardo» che mi sono sembrate rivolte verso giù, poi mi pare, ma
non ci posso giurare, di aver sentito sempre il giovane in borghese in
piedi dire: «guarda che mi hai fatto o guarda che avete fatto». Non
posso dire però a chi tale espressione fosse stata rivolta. A.D.R. -
Effettivamente il giovane in borghese vicino a quello caduto, gli ha
alzato la testa (non posso precisare in che modo) mi è sembrato di
molto, dal terreno lasciandola poi cadere. In altre parole non l'ha
accompagnata nel poggiarla... ... Posso dire soltanto che a un certo
punto si sono avvicinati allo stesso due agenti in divisa o forse tre,
due dei quali lo hanno preso per le ascelle e lo hanno trasportato verso
il marciapiede per due o tre metri dopodiché l'ho perduto di vista
poiché mi è stato nascosto alla vista da altri militari che nel
frattempo erano sopraggiunti. Nel mentre i poliziotti sostenevano per le
ascelle questi urlava di dolore. Non sono in grado di dire altro e in
particolare non sò dire quando è giunta l'autoambulanza... » Dal
punto dove è caduto, all'incrocio tra la piazza e Via Muratori, Piero
è stato trascinato per alcuni metri all'interno della piazza, per
dimostrare che era stato colpito mentre attaccava l'ambasciata. Sulla
piazza Piero è stato lasciato agonizzante per oltre un quarto d'ora
prima di essere trasportato all'ospedale dove viene subito piantonato.
Arriva in condizioni disperate, il proiettile mortale, sparato alla
schiena, ha provocato un'emorragia interna. Fin dalla domenica mattina
si riuniva all'Armellini, la scuola di Piero l'assemblea degli studenti
per discutere i fatti di sabato, alle 18 circa arriva la notizia che
Piero è morto. Si decide di invitare gli studenti di tutta Italia a
scioperare e a scendere immediatamente in piazza per protestare contro
il governo Moro e chiedere l'incriminazione di tutti i responsabili
dell'assassinio di Piero e della tentata strage di sabato. Poi gli
studenti escono e formano un corteo che si dirige verso l'ospedale San
Giovanni dove è la salma di Piero. La veglia si prolunga fino a notte
alta.
ATTI
DEL PROCESSO
Prefazione del Senatore Umberto TERRACINI
- membro del collegio degli avvocati difensori di parte civile -
Questa
pubblicazione, dalla quale si può documentatamente apprendere
come sia morto ammazzato un militante rivoluzionarlo raggiunto
di spalle da alcuni colpi di arma da fuoco sparati a breve
distanza da uomini della forza pubblica, è intitolata a Pietro
Bruno, studente, ucciso mentre partecipava ad una manifestazione
popolare dinanzi all'Ambasciata dello Zaire per protestare
contro la politica razziale di quel governo. Mutando però nome
e date e toponomastica essa potrebbe pari pari anche intitolarsi
a Francesco Lorusso o a Gianni Zibecchi o a Rodolfo Boschi o a
Giorgiana Masi o a un altro dei molti giovani che nel corso di
questi ultimi anni sono stati spicciamente tolti di vita su
strade e piazze d'Italia mentre davano testimonianza operante
della loro dedizione a quegli ideali di emancipazione umana e
nazionale di cui, nonostante tante solenni dichiarazioni e
convenzioni e costituzioni, sono tuttora defraudate troppe genti
nel mondo. Infatti le loro esecuzioni, salvo alcune sbavature
occasionali e qualche esitazione delle controparti (uccidere è
pur sempre un'azione sgradevole ai più!), hanno avuto tutte
un'unica regia conclusasi con un sollecito e disadorno
seppellimento dell'ammazzato e la dichiarazione della piena
innocenza dell'ammazzatore.
E, per realizzarla, dato che gli stessi codici vigenti, pur di
genitura fascista, non avrebbero potuto correlativamente coprire
l'intero spazio nel quale il potere armato dello Stato è andato
sempre più dilatando la propria azione, si è dovuto
rafforzarne il rigore dando il via a una successione di leggi
nuove che mettono sempre più in mora il garantismo
costituzionale e cioè, fuori di ogni sottilizzazione
linguistica, leggi eccezionali. Tali infatti devono considerarsi
la legge Reale dei 1975 portante "Disposizioni a tutela
dell'ordine pubblico" e l'altra Bonifacio dell'agosto 1977
anch'essa contenente disposizioni in materia di ordine pubblico,
come lo sarà anche quella che il Parlamento sta per approvare
sotto il titolo "Nuove disposizioni per la tutela
dell'ordine pubblico", le quali tutte, distorcendo
spigliatamente molte norme da lungo tempo acquisite di procedura
penale, specie strozzandone i termini, spalancano le porte tutte
larghe alla discrezionalità di polizia. Per intanto in linea di
fatto queste leggi non sono riuscite ad altro che a rendere
sempre più facile il giuoco del grilletto, mentre l'ordine
pubblico, che avrebbero dovuto riassicurare al paese, va ogni
giorno più scomparendo. D'altronde di esso i morti ammazzati
non sono mai stati un valido presidio, come la storia, e magari
anche soltanto le cronache, danno larga testimonianza. E neanche
le molte sentenze di archiviazione (archiviazione nei cimiteri)
possono riuscire allo scopo; ed è un'inutile grottesca fatica
quella dei magistrati che metodicamente chiudono in tal modo i
sempre più frequenti tragici capitoli della nostra vita
nazionale. Così il magistrato che ha dato sigillo di legittimità
all'ammazzamento di Pietro Bruno dichiarando che esso fu un atto
di difesa contro il pericolo di un'ingiusta violenza che
incombeva sugli uccisori. Ma noi sappiamo, anche dalle carte
giudiziarie che se sul cadavere dello sventurato e carissimo
giovane compagno furono trovati, mentre giaceva in stato
d'arresto (sic) nella barella del posto di soccorso, 8 sassi di
media grandezza, il carabiniere e l'agente di polizia che
mortalmente lo ferirono hanno sparato contro di lui, come è
risultato computando i bossoli e i proiettili raccolti sul
luogo, rispettivamente con le loro Beretta n. 34 ben 6 e 7 colpi
una vera e propria gragnuola. Da quale parte e su di chi
incombeva dunque il pericolo di una ingiusta violenza?
I lettori di questo fascicolo possono rispondere alla domanda
senza un nostro suggerimento.
Umberto
Terracini
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IL PROCESSO CHE NON
VOGLIONO FARE
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Questa
non è la ricostruzione puntuale, esatta e completa di tutte le
illegalità, gli abusi, le menzogne realizzate dal potere per
uccidere Piero, ferire i suoi compagni, e poi, attraverso un
cinico balletto giudiziario durato un anno, mandare assolti gli
autori immediati del delitto. Il luogo e il tempo per una simile
ricostruzione potranno solo essere quell'aula di tribunale, quel
processo che governo e magistratura vogliono impedire, che noi
continuiamo a pretendere. Ma prima, al di là e ben oltre di
quella sede, pur inalienabile, di giudizio, migliaia di uomini e
donne, di giovani, di antifascisti, hanno già formato il
proprio giudizio, l'hanno diffuso nella società.
La ricostruzione di alcune delle più palesi contraddizioni,
delle più scoperte menzogne e infamie alle quali il regime è
stato costretto per attivare e giustificare l'assassinio deriva
qui dall'incontro di quel giudizio, già formatosi e
inappellabile, con gli atti processuali.
Non è una ricostruzione di tecnici per tecnici.
E' la ricostruzione dei compagni, degli amici di Piero,
indirizzata a tutti, perché continuino a capire e a non
dimenticare.
<<Ho
esploso due colpi di pistola in direzione di un gruppo di
persone col volto coperto che si trovava alla fine di Via
Muratori dalla parte del quadrivio.>>
Sottotenente dei Carabinieri Bossio Saverio
<<Mi
sono avvicinato a 1oro sul1a destra, ed ho visto un ragazzo a
terra e due che lo trascinavano. Ho preso la pistola ed ho
esploso dei colpi a scopo intimidatorio. I colpi erano diretti a
terra.>>
Guardia di P.S. Tammaro Romano
<<I
colpi che ho sparato, stando in piedi, li ho esplosi con
l'avambraccio ad angolo retto rispetto al braccio, e quelli che
ho esploso da terra, con l'avambraccio verso l'alto sempre in
direzione del gruppo di giovani.>>
Carabiniere Colantuono Pietro
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Il
testo integrale degli atti del processo può essere scaricato
qui (formato .doc)
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